La cura imposta dell'austerity lascia il Portogallo in (debole) crescita ma con una disoccupazione e un debito più alto. E, alla vigilia delle elezioni, la sensazione dell’inesistenza di alternative
Andare “Além da troika”, oltre la troika, è l’obiettivo che si è dato il governo Coelho, tra i più solerti d’Europa nel richiedere l’applicazione del rigore in Grecia. La coalizione al governo, composta dal centro destra del PSD (Partido Social Democratico) e dal Cds-Pp (Centro Democrata e Social), il 4 ottobre esporrà al giudizio del voto la propria narrazione della crisi e del suo superamento. Secondo l’ultimo sondaggio di Público, la Coligação è riuscita a staccare di tre punti il Partido socialista (PS)di Costa, precedentemente dato in vantaggio.
“La propaganda sul Portogallo come caso di successo lavora essenzialmente su due indicatori: il deficit che è sceso dal 11.2% del 2010 al 4.5% del 2014 e il tasso di disoccupazione che è diminuito dal 16.4% del 2013 al 14.1 % del 2014. Sono comunque numeri più alti rispetto alle stime del memorandum d’intesa del 2011, che prevedeva un 2,5% di crescita, mentre oggi abbiamo lo 0,9% - spiega Margarida Antunes, docente di economia dell’Università di Coimbra - Ciò che nessuno può celebrare è la crescita del rapporto debito – Pil di 34 punti percentuali rispetto ai 22 stimati, e che fanno sì che il debito pubblico sia al 130% del Pil”. E infatti per Francisco Louçã, economista tra i fondatori del Bloco de esquerda, “essendo l’eccessivo debito la ragione dell’intervento” il solo dato dell’esplosione del rapporto debito - Pil è sufficiente a sostenere come l’intervento della Troika sia stato “una truffa e un modo per distruggere i servizi sociali.”
Antunes nota che se nel 2011 il tasso di disoccupazione si trovava al 12,9%, nel 2014 è salito al 14,1%. Così, se si considerano le ore non lavorate di chi è costretto al tempo parziale (+8%), chi cerca lavoro ma non lo trova e chi è uscito dal mercato (100.000 persone in più), si arriva a una disoccupazione del 21%. Una cifra che comunque non tiene conto di altri due fenomeni: l’enorme emigrazione (circa mezzo milione di persone, il 5% della popolazione) e il dilagare del sotto-impiego. La verità è che neanche il Fondo Monetario è così convinto del successo portoghese, tanto è vero che, nelle dichiarazioni fatte ad agosto nel Second Post-Program Monitoring with Portugal, si rilevava come la relativa stabilità portoghese fosse influenzata da fattori esterni come “il prezzo favorevole delle materie prime, i bassi tassi di interesse e un euro debole”. Il rapporto prosegue poi prevedendo un attenuarsi della crescita oltre il breve termine, in relazione alla fine del ciclo favorevole. Ma già nell’analisi del FMI di fine programma di maggio, relativamente alla caduta dello spread, si affermava l’importanza dei fattori come l’abbassamento del prezzo del petrolio e del tempestivo intervento di Draghi, più che dei fondamentali economici, in molti casi peggiorati.
Ma nonostante ciò, dopo l’estate del 2014, sono cessate le mobilitazioni. Per provare a interpretare tale fenomeno, Guya Accornero e Pedro Ramos Pinto del Cies, in Mild Mannered’? Protest and Mobilisation in Portugal under Austerity, 2010 –2013, analizzano le mobilitazioni a partire dalla Rivoluzione dei Garofani, che ha visto il succedersi di manifestazioni oceaniche, assemblee quotidiane e occupazione di fabbriche, case e terre. Di lì la partecipazioni politica andò progressivamente a diminuire. Molto dipende da una società civile debole, anzitutto perché scarsamente alfabetizzata, a causa dell’Istruzione del regime salazarista. Pertanto, nelle recenti proteste contro l’austerità, hanno prevalso le proteste indette dal sindacato, ancora capace di mobilitare massicciamente, in particolare nel settore pubblico. In ogni caso, anche se poi non sono divenuti mareas, i nuovi movimenti sono riusciti a coinvolgere nuove persone precedentemente non politicizzate, arrivando a contaminare le pratiche di partiti e sindacati. Tutto ciò a fronte di un’opinione pubblica portoghese che, secondo un sondaggio svolto nel 2008 dallo European Value Survey, era per oltre il 50% contraria alla partecipazione a manifestazioni legali, con solo l’11,7% che vi aveva già preso parte, mentre in Spagna, più del 30% degli intervistati rispose che già aveva preso parte a delle manifestazioni e solo meno di un terzo rispose che non lo avrebbe mai fatto.
Secondo la sociologa del Cies (Centro de Investigação e Estudos de Sociologia) Britta Baumgarten, che ha studiato le proteste sociali in Geração à rasca and beyond: mobilizations in Portugal after 12 march 2011, la debolezza dei movimenti portoghesi risiede proprio nella prevalenza, all’interno del ciclo di proteste, dei movimenti “classici”, legati a questioni particolari, circoscritte entro un quadro nazionale. Chi reclamava democrazia e partecipazione oltre lo Stato-nazione non è riuscito a sfidare il discorso ufficiale. Ma nel dibattito politico si riflette sulla possibilità di uno spazio nazionale e sovranazionale del conflitto, con la vicenda greca a fare da spartiacque.
Così a luglio Boaventura De Sousa Santos, Professore di Sociologia all’Università di Coimbra, sul manifesto ha affermato l’impossibilità di uno spazio per la sinistra in questa Europa. “Il problema non è solo europeo ma globale, di sistema. Non è possibile nessun mutamento a livello nazionale” – afferma Antunes – “Lasciando il neoliberismo intatto, infatti, ogni cambiamento risulta gattopardesco. E i partiti socialisti e socialdemocratici hanno molte responsabilità in questo approccio”. Antunes spiega la subalternità culturale del PS inserendola in una critica generale al socialismo europeo, artefice della costruzione europea che preludeva necessariamente all’attuale stato di cose. Ma per Louçã “è impossibile contare su una divisione tra Merkel e Hollande per un cambiamento delle politiche e delle regole europee. Pertanto, l’uscita dall’euro diviene l’unica possibile alternativa per contrastare l’austerità”. Anche André Carmo, geografo dell’Università di Lisbona e attivista del movimento contro gli sfratti Habita, è estremamente scettico sull’esistenza di spazi politici dentro l’Eurozona e dell’europeismo di Costa, interprete di “un’austerity intelligente”, poiché “vuole rimanere nella zona euro e stare alle regole e ciò vuol dire austerità permanente. Un governo veramente democratico, senza necessariamente uscire dalla UE, dovrebbe considerare la possibilità di lasciare l’euro. Altrimenti rimarremo una colonia dei paesi dell’Europa occidentale, intrappolati per sempre in una gabbia di sottosviluppo. Anche perché c’è la possibilità di ricreare uno spazio lusofono”.
Se nel Bloco de esquerda c’è un dibattito intorno al tema, che in alcune posizioni assume toni nazionalisti, nel Partito Comunista Portugues (PCP) l’antieuropeismo, accanto al “patriottismo”, è una consolidata linea politica. Sfugge a questo approccio LIVRE/Tempo de avançar, che continua a battersi per un’Europa diversa e che alle ultime europee ha totalizzato il 2,2%. Il partito nasce nel 2013 da una scissione dal Bloco de esquerda, ma, a differenza di quanto si legge, per Carmo, non è l’erede dei movimenti di piazza e non è equiparabile a Podemos, dal momento che non vuole “rompere con l’alternanza PS-PSD ma solo farvi parte, cercando di influenzare i Socialisti per renderli più socialdemocratici e meno legati alla terza via blairista”. Per Baumgarten, invece “LIVRE ha avuto buoni risultati alle europee e, essendo stato creato dopo le proteste del 2011-2012, ha dei legami con i movimenti”. Anche se il PS ha fatto entrare la troika nel paese LIVRE guarda ai Socialisti: il Portogallo è stato il primo paese a reagire all’austerità, ma, a differenza della Spagna e della Grecia, nessuno a sinistra è riuscito a verticalizzare le lotte anti-austerity facendo leva sullo spazio lasciato dal centrosinistra piegatosi alla Troika.
Per André Carmo, in un contesto dove la maggioranza delle persone è convinta della ragionevolezza del neoliberismo, Bloco e PCP, pesando insieme il 15% dei consensi elettorali, esauriscono lo spazio per una sinistra d’alternativa. Il PCP, inoltre, con il suo approccio centralistico verso i movimenti prova costantemente a influenzarli e gli impedisce di svilupparsi, tenendo le proteste nei limiti del regime che cerca di combattere. Ma per Baumgarten “anche se CGPT e PCP (il più grande sindacato del paese a cui è legato il partito comunista n.d.r.) hanno ignorato le proteste organizzate dai movimenti, non c’è alcuna ragione plausibile per pensare che questi partiti abbiano il potere per impedire manifestazioni di massa. Oltre a tutto ciò, a depotenziare la creazione di un nuovo movimento c’è “la storia di successo” della Troika che lascia il Portogallo nel 2014 in (debole) crescita e la sensazione dell’inesistenza di alternative. La lapidaria sentenza della Thatcher “TINA, there is no alternative, in Portogallo è divenuto realtà” termina André Carmo.
(Ringrazio per l’articolo Goffredo Adinolfi e Simone Tulumello)
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