La Cina continua a crescere, ma non più come prima. Uno sguardo ai numeri del dragone, tra difficoltà congiunturali e trasformazioni strutturali
Premessa
Nell’ultimo periodo si va assistendo ad un rallentamento dello sviluppo dell’economia cinese, così come di quella degli altri paesi del Bric. Così, mentre il tasso di crescita del pil indiano è sceso nel secondo trimestre del 2012 al livello del 5,5% annuo, rispetto ad una cifra che nell’anno fiscale 2010-2011 si era collocata sull’8% e quello del Brasile si è ridotto dal 7,5% del 2010 (ma si trattava, peraltro, di una punta eccezionale) al 2% previsto per il 2012, per quanto riguarda la Cina i dati ufficiali registrano un aumento dell’8,1% nel primo trimestre del 2012 e del 7,6% nel secondo, contro un valore del 9,2% per tutto il 2011 e di oltre il 10% negli anni immediatamente precedenti.
Ci si interroga in particolare sulle ragioni di tale andamento per la Cina, data la sua maggiore importanza a livello complessivo; ci si chiede se esso sarà di breve o lunga durata, quali siano le sue cause e l’eventuale relazione con la crisi dei paesi occidentali. Al tema avevamo già dedicato un articolo qualche mese fa su questo stesso sito, ma ora sembra opportuno riprenderlo in relazione ad alcuni sviluppi che vanno maturando nel grande paese asiatico.
Le ragioni della crisi
Le difficoltà delle economie occidentali, nonché il rallentamento di alcuni paesi emergenti, creano qualche problema alle esportazioni del paese, che nell’ultimo periodo registrano una dinamica molto poco marcata, ma il fenomeno non sembra tale da influire in maniera veramente importante sull’andamento di un’economia che va diversificando sempre di più le fonti della sua crescita.
Così il paese è passato rapidamente nell’ultimo periodo da un modello precedentemente orientato alle esportazioni e agli investimenti ad uno centrato soprattutto verso gli investimenti e le infrastrutture, mentre ora esso si sta dirigendo verso uno schema che pone come priorità il consumo e gli investimenti (Sender, 2012).
Le ragioni del rallentamento del paese asiatico sembrano essere prevalentemente interne, come del resto per l’India ed il Brasile (forse in quest’ultimo caso si può registrare una influenza maggiore della domanda estera, ma rivolta peraltro prevalentemente verso la Cina). Esse sono da attribuire soprattutto alla volontà dello stesso governo di mettere sotto controllo alcuni problemi che si andavano accumulando negli ultimi anni ed in particolare lo sviluppo dei processi inflazionistici da una parte, il crescere di una rilevante bolla immobiliare dall’altra.
Le azioni messe in campo a tale fine sono sostanzialmente consistite in una relativamente moderata stretta creditizia ed in una serie di limitazioni per l’acquisto di immobili. L’operazione sembra abbia dato i suoi frutti, tanto che il livello dell’inflazione si è quasi annullato, mentre anche le dimensioni della bolla immobiliare si sono fortemente ridotte.
Le nuove misure per la crescita
Parallelamente, si stanno attivando misure per la crescita. Sorprendentemente esse non sono venute, almeno sino a questo momento e come in molti si attendevano, tanto dal governo centrale, che si è limitato, oltre che a ridurre i tassi di interesse e il livello delle riserve obbligatorie delle banche, ad accelerare alcuni programmi nel settore delle infrastrutture e dei trasporti e a ridurre le limitazioni per l’acquisto della prima casa; così esso ha annunciato di recente un programma di investimenti di “soli” 125 miliardi di euro . Veniamo invece informati (Pedroletti, 2012) che le grandi città cinesi stanno varando dei rilevanti piani di investimento nei settori dell’industria ed in quello delle infrastrutture. Il totale degli impegni, considerando soltanto tre grandi agglomerati –Tianjin, Chongqing, Changsha- si avvicina sensibilmente a quello del grande piano di rilancio di 4000 miliardi di yuan, circa 500 miliardi di euro, varato a suo tempo dal governo centrale per rispondere nel 2008 alle conseguenze della crisi globale. A livello dell’insieme degli enti locali qualcuno parla di addirittura di una somma che si collocherebbe intorno ai 1300 miliardi di euro (Rabinovitch, 2012).
Peraltro, sono stati avanzati dei dubbi sulla reperibilità dei fondi necessari a portare avanti tutti questi programmi, mentre si è ricordato che il piano precedente aveva portato al varo di diversi progetti poco produttivi, che avevano portato ad un forte aumento dei debiti degli enti locali nonché dei crediti inesigibili del settore bancario.
La debole iniziativa del governo centrale è forse da collegare al cambio imminente dei vertici del paese – può darsi che i nuovi dirigenti vorranno dare loro stessi il grande annuncio –, o forse essa è legata alle necessarie cautele in ricordo dei problemi posti dal salvataggio del 2008; il gruppo dirigente appare comunque diviso sul tema. Forse ci sono anche delle perplessità sulla desiderabilità stessa di azioni volte ad accelerare lo sviluppo, mentre sembrerebbero prioritarie delle mosse volte semmai a ribilanciare un’economia che appare per molti versi squilibrata.
In ogni caso, i commentatori e gli esperti sono incerti sulle prospettive a breve dell’economia; c’è chi teme una prossima caduta ulteriore dei tassi di crescita e chi invece è fiducioso in una loro rapida ripresa.
Le trasformazioni dell’economia
il rallentamento congiunturale si intreccia con i giganteschi mutamenti di fondo in corso nell’economia del paese. Essi si svolgono in varie direzioni secondo la linee delineate da tempo nei piani del governo, ma richiedono grandi sforzi e presentano rilevanti difficoltà di esecuzione:
- abbiamo già fatto cenno al mutamento in atto verso un’economia centrata sui consumi interni e sugli investimenti;
- si assiste inoltre ad un riequilibrio territoriale, almeno parziale, dello sviluppo, con uno spostamento di molti insediamenti industriali dalla fascia costiera, ormai per molti versi intasata, verso le aree interne; nel frattempo si sono moltiplicati gli investimenti pubblici in infrastrutture nelle campagne;
- mentre aumenta a ritmi sostenuti il costo del lavoro, parallelamente migliora il livello tecnologico e il valore aggiunto delle cose che si producono e si registra anche una maggiore diversificazione delle attività. L’economia cinese avanza ormai in tutti i settori produttivi;
- mentre si riduce fortemente il peso sul pil delle attività agricole e mentre vi diminuisce la percentuale degli occupati complessivi nel settore, sta avanzando fortemente il peso dei servizi.
Da molte parti si sottolinea come l’aumento del costo del lavoro, che è cresciuto in media del 20% all’anno nel corso degli ultimi tre anni, unito alla rivalutazione in atto da tempo della moneta, rischia di minare la competitività del paese. Si sottolinea come negli ultimi mesi molte grandi imprese multinazionali abbiano annunciato piani per l’avvio di nuovi grandi impianti in Asia, ma privilegiando questa volta non la Cina, ma diversi altri paesi.
Qualcuno avanza l’ipotesi che, di questo passo, tenendo conto dell’aumento del costo del lavoro e di quello del valore della moneta, il costo del lavoro cinese sui mercati internazionali si collocherà al livello degli Stati Uniti e della zona euro entro cinque anni (Cosnard, 2012). Si conclude che quindi la competitività dei prodotti cinesi sarà gravemente indebolita.
Ma bisogna considerare che nel frattempo aumenta, come accennato, la produzione di beni a più alto valore aggiunto, nei quali il peso del costo dl lavoro è più ridotto (la strategia cinese in questo campo sembra essere a lungo termine quella di lasciare agli altri paesi i prodotti a bassi margini); che poi gli insediamenti industriali servono sempre più a rifornire un mercato interno sempre più grande e meno quello internazionale; bisogna poi considerare che nel frattempo continua ad aumentare fortemente la produttività del lavoro.
Le disuguaglianze
Ma i fronti su cui potrebbe fare naufragio il modello cinese sono probabilmente altri; essi sono costituiti, a nostro parere, dal problema ecologico e da quello delle diseguaglianze fra i cittadini.
Per brevità di trattazione concentriamo l’attenzione solo sul secondo tema.
Senza idealizzare certo il periodo di Mao, ricordiamo che sino alla fine degli anni settanta la Cina era uno dei paesi più egualitari al mondo, mentre ora essa registra uno scarto tra ricchi e poveri maggiore di quello degli Stati Uniti (Leonard, 2012).
Nel 1978, prima delle riforme di Deng Tsiao Ping, il rapporto tra i redditi medi urbani e quelli delle campagne era di 2,57 volte; esso era poi sceso a 1,86 per effetto delle prime trasformazioni indotte dalle riforme, ma era successivamente salito sino a 3,3 volte nel 2006; se si tengono in conto anche le prestazioni sociali lo scarto era nello stesso anno di circa 6 volte.
A partire dal 1979 è stato progressivamente smantellato il precedente sistema di protezione sociale. Ancora oggi, nonostante dei recenti provvedimenti che vanno nella direzione di ripristinare almeno alcuni suoi aspetti, la situazione non è certo ideale.
Consideriamo ad esempio il quadro dei lavoratori migranti. Nella sola città di Guangzhou, la più grande del Guangdong, su 15 milioni di lavoratori soltanto 3 milioni sono ufficialmente registrati (Leonard). Gli altri non hanno alcun diritto all’alloggio, all’educazione, alla sanità.
Si dibatte da lungo tempo per cominciare a cambiare tale stato di cose, ma gli interessi consolidati intorno agli attuali equilibri sono molto potenti.
Conclusioni
Come abbiamo già sottolineato, la frenata dell’economia cinese sembra di tipo congiunturale, per di più non tanto provocata da fattori esogeni, ma indotta sostanzialmente dai pubblici poteri. È certamente vero che il paese non può crescere all’infinito al 10% e più all’anno, ma le potenzialità di un forte ulteriore sviluppo sono tutte presenti. Ci sono in particolare, tra l’altro, forti margini per l’allentamento del credito e per manovre budgetarie di sostegno all’economia.
Ci sembra peraltro importante che tale crescita vada nella direzione di un rilevante e progressivo arricchimento del sistema del welfare, ancora per diversi aspetti abbastanza embrionale. Comunque, negli ultimi anni si sta forse imboccando, almeno in parte, la giusta direzione, con l’estensione sia pure ancora limitata dei diritti dei lavoratori in fabbrica, l’aumento delle retribuzioni, l’estensione del sistema pensionistico pubblico ad una platea di persone molto maggiore di prima, i forti investimenti sociali nelle campagne
Testi citati nell’articolo
Cosnard D., La Chine perd peu à peu sa suprématie sur la nouvelle carte de l’industrie, Le Monde, 22 agosto 2012
Leonard M., La Chine est prise au piège d’una croissance qui génerè plus d’inégalités, Le Monde, 16 agosto 2012
Pedroletti B., En Chine, les municipalités lancent un plan de relance déguisé, Le Monde, 28 agosto 2012
Rabinovitch S., China gears up for next investment boom, www.ft.com, 13 settembre 2012
Sender H., China strugge to adopt new growth model, www.ft.com, 28 agosto 2012
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