I rapporti di collaborazione tra le due potenze dovrebbero crescere con il varo della banca dei Bric, con quello della nuova banca asiatica di sviluppo e con i progetti per la nuova via della seta
Negli ultimi due anni abbiamo assistito ad un rilevante rallentamento dello sviluppo economico dei paesi facenti parte del cosiddetto raggruppamento dei Bric, Cina, India, Brasile, Russia.
Peraltro, mentre Brasile e la Russia hanno visto nell’ultimo periodo le loro prospettive di sviluppo economico bloccate - ma gli stop and go in queste due economie costituiscono ormai un’abitudine-, per quanto riguarda la Cina e l’India il discorso appare molto diverso. I due paesi hanno registrato un rallentamento, ma la loro crescita si colloca ancora a livelli sostanzialmente sostenuti.
le statistiche indiane
Nel caso della Cina siamo così passati da un aumento del pil annuo del 10-11% in tempi ancora recenti al 7,5% del 2014 e al 7,0% stimato per il 2015. Non sappiamo quale sia stata invece la reale crescita del pil in India negli ultimi due anni.
Il fatto è che l’ufficio statistico del paese ha cambiato di recente i criteri di calcolo; con i nuovi parametri il tasso di sviluppo risulta parecchio più alto che non con quelli vecchi. Ma sono pochi quelli che, in India e fuori, prendono sul serio le nuove statistiche e ad esse non crede neanche il governatore della Bank of India, Raguram Rajan.
Le cifre ufficiali registrano così una crescita del pil tra l’aprile 2014 e il marzo 2015 del 7,4%, contro il 6,9% sempre ufficiale dell’anno precedente –ma con la vecchia stima il tasso di crescita per il 2013-14 era fissato in poco meno del 5,0% e quello del 2014-2015 al 5,5%, ciò che appare in linea con qualche segno di ripresa manifestatosi nel periodo.
Ora l’ufficio statistico promette per l’anno 2015-2016 un tasso di sviluppo ancora più elevato, tra l’8,1% e l’8,5%, maggiore di quello cinese. E sui media del paese e tra molti politici si ricomincia di nuovo a sognare di superare un giorno il pil del paese vicino, oggi peraltro maggiore di quello indiano di circa 4 volte, mentre solo qualche decennio fa i due valori erano sostanzialmente analoghi (Kazmin, 2015).
la situazione dell’economia indiana e la politica del nuovo governo
Certo il paese presenta molti atout: una popolazione giovane, rilevanti risorse tecnologiche ed imprenditoriali, una larga diffusione della lingua inglese, delle istituzioni democratiche. Ma i suoi problemi sono ancora più rilevanti: una burocrazia elefantiaca, inefficiente e molto corrotta, la mancanza cronica di infrastrutture, un sistema finanziario molto arretrato, un settore industriale poco sviluppato e molto indebitato, una fascia molto importante della popolazione priva anche dei servizi essenziali, diseguaglianze enormi e che continuano a crescere.
Poco più di un anno fa Narendra Modi ha vinto le elezioni promettendo un ribaltamento delle politiche precedenti e suscitando molte aspettative sia tra gli industriali che tra la gente del popolo. Ma sino a questo momento i progressi sono stati piuttosto ridotti e relativamente lenti; la sfiducia comincia qua e la a serpeggiare.
Certo alcune cose vanno meglio. Si registra un tasso di sviluppo economico che sembra in moderato rialzo, grazie anche alla riduzione del prezzo del petrolio e delle altre materie prime, di cui il paese è fortemente tributario rispetto all’estero; tale calo ha anche contribuito a ridurre l’inflazione, che si colloca oggi intorno al 5%, mentre anche il deficit commerciale e quello budgetario sono diminuiti in misura rilevante.
Due delle idee guida del suo governo sono quelle di dare un forte impulso alle infrastrutture da una parte, una forte spinta all’industrializzazione dall’altra.
Per quanto riguarda il primo tema, il governo ha annunciato per l’anno 2015-2016 un incremento della spesa complessiva per infrastrutture di 11 miliardi di dollari solo per quanto riguarda il livello federale, mentre per il settore ferroviario ha rivelato un piano di spesa di 137 miliardi di dollari in cinque anni. Una stima generale fatta dalla Banca Mondiale valuta però le necessità finanziarie per il settore delle infrastrutture a 1,7 trilioni di dollari da qui al 2020. Ma le risorse sono scarse, anche in relazione al relativamente basso livello del risparmio interno.
Per quanto riguarda il secondo tema, la volontà dichiarata - in un paese in cui la popolazione rurale è ancora il 68% del totale e in cui 750 milioni di abitanti su 1,25 miliardi sono al di sotto dei 25 anni-, appare quella di far passare in dieci anni il peso del settore manifatturiero indiano dal 18% del pil oggi (contro il 32% circa in Cina) al 25% nel prossimo decennio, ciò che dovrebbe tra l’altro contribuire in misura rilevante all’aumento dell’occupazione: sarebbero in effetti necessari tra 100 e 130 milioni di nuovi posti di lavoro nel periodo per far fronte ai nuovi arrivi di giovani sul mercato del lavoro (Guélaud, 2015). Una sfida certamente terrificante.
A tal fine sono state prese in India alcune misure, tra le quali quelle di favorire gli investimenti esteri, aprendo tra l’altro al capitale straniero alcuni settori prima vietati, di ridurre i vincoli all’attività delle imprese, in un paese valutato dai mercati finanziari internazionali come ancora dirigista e protezionista, di rendere più facile l’esproprio delle terre necessarie agli insediamenti produttivi. Delle promesse privatizzazioni, per il momento il governo ha annunciato solo quella degli alberghi di stato.
Ma mentre qualche progresso sembra già in qualche modo in essere, la sensazione diffusa appare quella che sembra piuttosto difficile che emerga con l’India un nuovo grande protagonista della scena industriale asiatica.
Intanto rispetto ad una replica del modello cinese mancano dei presupposti importanti, le risorse finanziarie ( le imprese, come gli stati, sono molto indebitati), una manodopera qualificata (solo il 10% della popolazione ha ricevuto una formazione professionale), la capacità di imporre le scelte dal centro verso la periferia. In effetti, per cambiare le cose, Modi deve mettersi d’accordo con molti differenti poteri, dal momento anche che il suo partito non ha comunque la maggioranza assoluta alla camera alta, che la metà degli stati sono governati dall’opposizione e che le relazioni centro-periferia sono spesso tese.
D’altro canto, la Cina e l’Asia del Sud-est hanno ormai sviluppato un rapporto sostanzialmente simbiotico tra di loro, ciò che contribuisce a fare di tale area la più importante base industriale del mondo e con prospettive di ulteriore rilevante crescita. L’impressione è che soltanto con un grande accordo con la Cina –anche se non è da sottovalutare il contributo che potrebbe dare il Giappone -, l’India potrebbe aspirare a fare dei passi di rilievo nel settore.
le relazioni con la Cina
Certo le dispute di confine appaiono la minaccia più pesante e più immediata nelle relazioni tra i due paesi, ma la mancanza di fiducia reciproca tocca diversi campi. Il pubblico indiano diffida della Cina e le sue classi dirigenti guardano soprattutto agli Stati Uniti; tutti vedono quello vicino soprattutto come un paese di cui superare le prestazioni economiche. Modi appare altrettanto diffidente, ma guarda con ammirazione e rispetto ai successi dell’Impero di Mezzo, alle sue imprese, private e pubbliche, alle sue infrastrutture, al suo processo di industrializzazione e ai suoi parchi industriali, alle sue risorse finanziarie.
I rapporti di collaborazione dovrebbero comunque crescere con il varo della banca dei Bric, con quello della nuova banca asiatica di sviluppo, con i progetti per la nuova via della seta, con la presenza indiana nell’alleanza di Shangai. Di recente, inoltre, sul piano politico Cina, Russia e India hanno deciso di varare un meccanismo di consultazioni permanente per gli affari dell’area Asia Pacifico.
Nel maggio di quest’anno il presidente indiano ha poi fatto una visita di stato in Cina. Sono stati firmati importanti accordi di cooperazione in molti campi, in particolar nel settore delle ferrovie, minerario, dell’aerospazio, del turismo, ma non si ha una percezione chiara. Si fa riferimento ad un pacchetto che prevede nuovi progetti per 22 miliardi di dollari, principalmente finanziamenti di infrastrutture da parte di banche cinesi (Guélaud, 2015). La Cina ha comunque promesso investimenti per qualche decina di miliardi di euro, al pari del resto del Giappone.
Ma contemporaneamente Modi, nell’ambito della ricerca di un ruolo molto più assertivo a livello internazionale, sembra soprattutto cercare una maggiore integrazione con gli Stati Uniti, con cui sta, tra l’altro, sviluppando anche la cooperazione militare (The Economist, 2015); esso sta cercando di far crescere anche i rapporti con il Giappone e l’Australia, nonché con altri paesi asiatici, non è chiaro quanto tutto questo in funzione anticinese.
Ma una più stretta cooperazione tra India e Cina, superando le attuali diffidenze, potrebbe essere essenziale e di rilevante effetto per far crescere l’economia indiana. Tra l’altro i due paesi presentano molte complementarietà. La Cina è ricca di capitali e manca di manodopera, l’India è ricca di manodopera e carente di capitali; quest’ultima è fortemente presente in alcuni settori dei servizi, la Cina appare molto forte nel settore industriale. Vedremo come Modi fisserà l’agenda per il suo paese.
Testi citati nell’articolo
-Guélaud C., Le reve industriel de Narendra Modi, Le Monde, 17-18 maggio 2015
-Kazmin A., Analysts greet indian 7,5% growth with scepticism, www.ft.com, 29 maggio 2015
-The Economist, Come, meet Mum, 24 gennaio 2015
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