La grande officina del mondo cresce ancora, sposta gli impianti in aree meno intasate, con una manodopera di più modeste pretese (e fornite perfino di treni)
“…l’economia cinese soffre di una seria mancanza di bilanciamento, di coordinamento e sostenibilità nel suo processo di sviluppo…”
Hu Jintao
Premessa I
Nell’ultimo periodo la questione del lavoro ha registrato delle grandi novità in Cina. Hanno influenzato i mutamenti, tra l’altro, la tendenza relativamente recente a un’importante crescita dei salari nel paese, parallelamente a un miglioramento, almeno relativo, delle norme che reggono i diritti sindacali dei lavoratori e, più in generale, ad alcune spinte governative tese a cercare di riorientare l’economia, nonché alcune conseguenze portate nel paese dal perdurare della crisi occidentale. Si susseguono varie ipotesi su quello che potrà succedere in futuro, mentre comunque la realtà si sta muovendo in maniera decisa. Il testo che segue cerca quindi di elencare alcune delle principali tendenze in atto, nonché di analizzare qualcuna delle ipotesi messe in campo dai commentatori.
Premessa II
Bisogna ricordare, come fa ad esempio in un recente articolo J. Anderlini (Anderlini, 2011), che lo sviluppo cinese si è basato, sino a ieri, sul basso livello di costo alcuni dei principali fattori di input, il lavoro, il capitale, l’energia e la terra. Questo tipo di sviluppo è ora arrivato in sostanza al capolinea; tra le manifestazioni più evidenti della sua crisi potenziale stanno la forte crescita delle diseguaglianze sociali e il grave degrado ambientale. Ma ora la terra è sempre più scarsa e più cara e il costo del lavoro sta crescendo di più del 20% all’anno, mentre entrano in crisi anche i prezzi bassi del credito e dell’energia.
L’attuale gruppo dirigente del paese si trova di fronte all’immane compito di cambiare in corsa il modello di sviluppo, come promette di fare il nuovo programma quinquennale per il periodo 2011-2015. Tale piano, com’è noto, punta tra l’altro a spostare, il motore dell’economia dagli investimenti e dalle esportazioni verso i consumi interni. Un aspetto fondamentale di questa trasformazione riguarda il costo del lavoro. Lo stesso governo ha dichiarato di recente che esso mira a far sì che i redditi medi della popolazione crescano più velocemente del Pil.
Un ripensamento nei processi di delocalizzazione delle imprese estere verso la Cina?
Una importante questione riguarda le possibili conseguenze che l’aumento dei costi del lavoro – anche con l’approvazione recente di una norma che obbliga le imprese multinazionali a pagare dei rilevanti contributi sociali per i loro dipendenti non cinesi (Branigan, 2011) –, nonché il miglioramento dei diritti sindacali nel paese avrà sulla localizzazione futura degli investimenti delle imprese estere e su quelli delle stesse aziende cinesi.
A questo proposito è stato pubblicato di recente uno studio del Boston Consulting Group (BCG, 2011), secondo il quale l’aumento del costo del lavoro in Cina sta cambiando le convenienze economiche globali del settore manifatturiero e potrebbe contribuire alla creazione di 2-3 milioni di posti di lavoro in più negli Stati Uniti entro il 2020 per effetto del ritorno nel paese di insediamenti industriali che erano emigrati in Cina nell’ultimo decennio. Questa tendenza potrebbe contribuire, sempre secondo il rapporto, a ridurre in misura rilevante il deficit commerciale degli Stati Uniti con il resto del mondo.
Lo studio della BCG, pur individuando effettive potenzialità che potrebbero essere innescate dai recenti mutamenti, sembra non cogliere tutta la complessità del reale, al contrario di quanto avviene spesso nelle analisi portate avanti dalle grandi società di consulenza statunitensi.
Vengono elencate di seguito almeno cinque forze che potrebbero operare in controtendenza rispetto a quanto indicato nello studio del BCG per quanto riguarda la possibile minaccia di un ridimensionamento della convenienza economica del capitale straniero a continuare ad operare massicciamente nel paese:
1) Va considerato nel quadro anche il forte e continuo aumento di produttività che si verifica in Cina e che riduce in misura molto rilevante il peso della crescita del costo del lavoro, come è del resto avvenuto largamente negli ultimi venti anni;
2) bisogna prendere in conto lo spostamento in atto di molte delle imprese localizzate in Cina, sia a capitale nazionale che estero, verso produzioni a maggiore valore aggiunto e a minor peso del fattore lavoro;
3) lo spostamento in atto di molte imprese e di interi settori industriali verso il centro del paese, offre condizioni di sfruttamento della manodopera più favorevoli per le stesse imprese;
4) si può aggiungere la contemporanea crescita del mercato interno, che spinge molte imprese estere a trattenersi comunque nel paese e sta anzi portando all’afflusso di altre realtà imprenditoriali dall’esterno e al potenziamento di molte di quelle già esistenti;
5) infine, non si possono trascurare le politiche governative che tendono a incentivare in molti modi la crescita delle attività industriali ed a spingere verso una loro crescente qualificazione.
Tutte queste forze dovrebbero portare al risultato di un ridimensionamento rilevante delle cifre individuate in specifico dal BCG per quanto riguarda la convenienza per le imprese Usa, come per quelle di altri paesi, a ritornare a produrre in patria. Si potrebbe anche aggiungere che molte imprese statunitensi, volendo riportare in patria alcuni insediamenti da tempo delocalizzati in Cina, non troverebbero più tutte quelle infrastrutture necessarie per produrre in modo profittevole. Peraltro, bisogna semmai considerare che molte imprese straniere, come anche diverse imprese cinesi, stanno spostando produzioni a più basso valore aggiunto verso altri paesi asiatici, quali il Vietnam e il Bangladesh e certamente molto meno verso gli Usa o la Gran Bretagna.
Alcune delle controtendenze in atto
Noi non abbiamo lo spazio sufficiente per trattare per esteso delle cinque forze sopra elencate; ci limiteremo quindi ad analizzarne brevemente soltanto un paio.
Vediamo intanto i processi di spostamento dell’industria verso il centro del paese.
Guardando alla carta geografica dal punto di vista dei livelli di sviluppo economico del territorio, oggi la Cina può essere grossolanamente suddivisa in tre parti; 1) la fascia costiera all’est e al sud con il suo immediato retroterra, la più sviluppata del paese che ora presenta problemi di saturazione, di alti livelli di inquinamento, di elevati costi del lavoro e, qua e là, di carenze di manodopera; 2) la fascia interna intermedia, ora in via di rilevante sviluppo, con una tendenza in corso ad accoglere la dislocazione degli investimenti delle imprese cinesi e straniere, presentando più bassi costi di manodopera e una sua maggiore disponibilità, mentre appare sempre più dotata di infrastrutture adeguate; 3) infine la fascia più esterna, nord-occidentale, che si trova ancora nelle prime fasi dei processi di industrializzazione.
Significativo di questa tendenza allo spostamento verso il centro il caso dell’industria dei computer, come viene riferito ad esempio in un articolo di The Financial Times (Hille, 2011).
Spinti proprio da un rilevante aumento dei costi del lavoro, dalla parallela carenza di manodopera e dalla crescita del costo dei terreni per gli insediamenti industriali, i produttori di Pc e i loro fornitori stanno trasferendosi all’interno e in particolare verso le città di Chongquing e di Chengdu, che stanno così diventando le più grandi basi di produzione di Pc del mondo. Ma, contemporaneamente, anche una parte crescente del mercato interno di tali prodotti tende a focalizzarsi nelle stesse aree.
Dal punto di vista logistico, nel frattempo, tali città tendono a essere legate via ferrovia e via aerea con l’occidente con servizi sempre più efficienti. Così, mentre tradizionalmente spedire i prodotti via mare da Shanghai in Europa richiedeva da 24 a 28 giorni, ora l’invio degli stessi verso le identiche destinazioni attraverso la rete ferroviaria con partenza da Chongqing richiede soltanto da 12 a 14 giorni, con evidenti risparmi di tempi e di costi.
Una seconda via di fuga dalla crescita dei costi del lavoro e dalla sua rarefazione quantitativa consiste, come ricordato, nell’innalzamento dei livelli tecnologici delle imprese. In particolare, si può indicare il caso della Foxconn, il gigante mondiale della sub-fornitura nel settore elettronico, come ci informa ad esempio Le Monde (Thibault, 2011).
La Foxconn, impresa taiwanese che è stata tra le prime ad aumentare di recente i salari dei suoi dipendenti più che raddoppiandoli, che vede contemporaneamente uscire dalle sue catene di montaggio nella Cina continentale prodotti come l’iPad, i telefoni di Nokia e della stessa Apple, nonché i computer della Dell e di altre marche molto note e che impiega attualmente più di un milione di persone, risultando così essere il più importante datore di lavoro privato del paese, ha anch’essa partecipato all’ondata di insediamenti industriali verso il centro della Cina.
L’impresa ha deciso di recente di varare anche un piano di automazione delle sue fabbriche, installandovi un milione di robot in tre anni, robot che dovrebbero sostituire circa 500.000 lavoratori. Il padrone della società afferma che tale operazione dovrebbe permettere ai suoi dipendenti di occuparsi di compiti più qualificati e tecnologicamente più avanzati senza specificare peraltro se e quanti licenziamenti ci saranno in conseguenza della decisione.
Certo, si può avanzare qualche dubbio sul fatto che il grande processo di automazione alla fine funzioni come programmato; si ricordi, ad esempio, come andò a finire molti anni fa un’operazione simile da noi, sia pure su scala più ridotta, con lo stabilimento Fiat di Melfi. Ciò non toglie che la Foxconn ci provi e che il caso rappresenti un esempio significativo delle spinte in atto.
Il caso della HSBC
Possiamo a questo punto ricordare come perdurino comunque anche delle spinte a nuovi insediamenti dei gruppi esteri nell’area cinese. Ricordiamo anche a questo proposito un caso importante.
Sempre Le Monde (Gatinois, 2011) e The Guardian (Pratley, 2011), tra gli altri, ci informano in effetti di un’altra importante operazione che riguarda il lavoro, questa volta concepita in Europa e non in Asia, ma che tocca comunque anche l’area cinese.
La HSBC britannica è una delle più grandi banche del mondo; essa ha annunciato, diverso tempo fa, la sua intenzione di trasferire il suo quartier generale da Londra a Hong Kong, decisione che non si è peraltro ancora materializzata e che potrebbe forse essere rivista; apparentemente è in corso in proposito una discreta trattativa con il governo inglese. Se lo spostamento della sede appare ora incerto, quello che è sicuro è che la banca sta tagliando 30.000 posti di lavoro nei suoi uffici in Occidente, cifra che corrisponde al 10% di tutta la sua forza lavoro. L’operazione dovrebbe essere completata entro il 2013, nel contempo portare ad un risparmio di 2,5 miliardi di euro all’anno e assicurare anche una buona redditività all’azienda. Naturalmente, l’annuncio delle drastiche misure che toccano la forza lavoro ha fatto salire nei giorni successivi le quotazioni del titolo in borsa. Il mercato, mai sazio di sangue, giudica peraltro che ulteriori tagli dovrebbero seguire in futuro.
La misura rientra nel quadro di una più generale riduzione degli effettivi del settore bancario in Europa, business alle prese con la crisi partita nel 2008, con quella più recente del debito sovrano, nonché con le nuove, sia pure deboli, regolamentazioni pubbliche del suo operato. Per adattarsi alla nuova situazione le banche stanno ripensando al loro modello di funzionamento. Così il settore, nel nostro continente, ha perso circa 250.000 addetti dal 2007 a oggi e anche le banche italiane sono state toccate dal fenomeno.
Ma l’istituto britannico ha nel frattempo comunicato un’altra notizia importante: mentre esso licenzierà 30.000 addetti al Nord, ne assumerà, sempre entro il 2013, almeno 15.000 nei paesi del Sud, in particolare a Hong Kong e in Brasile.
Si tratta di un altro segnale, in particolare per la Cina, legato anche alle vicende di Foxconn che ci suggerisce come sia in atto un mutamento rilevante nella composizione della forza lavoro, con la possibile perdita di occupazione per quanto riguarda quella poco qualificata e la crescita invece dei settori a maggiore livello di competenze.
Conclusioni
Il mutamento in essere nell’economia cinese appare certamente complesso e non scevro di punti interrogativi. È probabilmente vero, come afferma qualcuno, che essa è come una gigantesca macchina che procede a grande velocità e almeno in parte senza controlli verso territori inesplorati e forse pericolosi, ma tale corsa non sembra poter essere fermata, almeno nel futuro prossimo, dagli ostacoli, comunque numerosi e rilevanti, che si vanno parando sul suo cammino, né ancora di meno da tutti quelli che si affannano da moltissimi anni, cifre ed analisi approfondite alla mano, nel cercare di dimostrare che la corsa non può durare. Questo non significa che non si potrebbero verificare, anche a breve termine, processi temporanei di rallentamento della corsa. Ma le opportunità di crescita futura sono ancora enormi, come mostra, tra l’altro, il recente varo di un gigantesco piano governativo per la costruzione in pochi anni di decine di milioni di appartamenti per le classi popolari.
Certo, prima o poi, come dicono i francesi, tout passe, tout casse, tout lasse, ma il momento di un crollo dell’economia cinese, sotto il peso delle sue pur evidenti contraddizioni, sembra, almeno secondo chi scrive, ancora lontano.
Testi citati nell’articolo
Anderlini J., A workshop on the wane, www.ft.com, 16 ottobre 2011
Boston Consulting Group, Made in America, again: why manufacturing will return to the U.S., Boston, Massachussets, agosto 2011
Branigan T., Concerns rise over China’s new welfare rules for foreign workers, www.guardian.co.uk, 4 novembre 2011
Gatinois C., La sino-britannique HSBC “degraisse” au Nord et embauche au Sud, Le Monde, 3 agosto 2011
Hille K., China’s computer makers march inland, www.ft.com, 23 maggio 2011
Pratley N., Will HSBC’s “long journey” take it all the way to Hong Kong?, www.guardian.co.uk, 1 agosto 2011
Thibault H., Dans ses usines chinois, la géant Foxconn va remplacer des ouvriers par des robots, Le Monde, 3 agosto 2011
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