Sul fronte finanziario, la situazione della Fiat è la peggiore tra i principali gruppi del settore. Pochi gli investimenti in ricerca. E il Financial Times parla di poca dimestichezza di Marchionne con il settore dell’auto
Negli ultimi giorni sono state pubblicate molte notizie sul positivo andamento del settore auto ne1 2013. Nel mondo si sono venduti vetture e veicoli leggeri per un totale di 82,5 milioni di unità (+ 3,6 per cento). Toyota, General Motors e Volkswagen si sono avvicinati al traguardo dei 10 milioni di pezzi. Seguono Renault-Nissan, Hyundai-Kia, Ford.
Il mercato cinese è cresciuto del 13, 9 per cento, con 22 milioni di vetture vendute, più di una su quattro a livello mondiale. Esso è oggi il primo sbocco in assoluto per Gm, Vw, Nissan, Bmw, Psa.
Negli Usa le vendite hanno raggiunto i 15,6 milioni di unità (+7,6 per cento); aumentano anche le esportazioni, che nel 2013 dovrebbero collocarsi sui 2,1 milioni. Bisogna, tra l’altro, considerare che oggi il costo medio di un operaio dell’auto è in America pari a 38 dollari, contro 60 in Germania. I tre produttori Usa hanno visto nell’anno migliorare la loro situazione.
Intanto l’Europa è in difficoltà, attanagliata dalle politiche di austerità; le vendite sono ancora diminuite di quasi il 3,0 per cento. Ma i produttori tedeschi battono dei nuovi record. Il gruppo Volkswagen ha venduto 9,5 milioni di vetture (+ 5 per cento). L’ Audi ha collocato 1.580.000 pezzi, mentre la Mercedes è progredita del 9,7 per cento con 1.560.000 auto e la Bmw è arrivata vicina ai 2,0 milioni se consideriamo anche i piccoli modelli della mini; senza di essi siamo comunque intorno a 1.650.000 pezzi. Tra i produttori francesi, in rilevanti difficoltà la Psa (è ormai quasi sicuro che entreranno nella compagine azionaria i cinesi della Donfeng e lo stato francese; da notare che i produttori cinesi controllano già con successo la Volvo), abbastanza bene la Renault, legata in maniera più o meno stretta alla giapponese Nissan.
Il Brasile registra il primo anno di calo in un decennio, mentre aumenta fortemente la concorrenza e anche la produzione indiana è in diminuzione; in crescita quella della Russia, che dovrebbe diventare fra qualche anno il primo mercato europeo.
I produttori giapponesi appaiono in rilevante ripresa sul mercato interno e all’estero e molto bene va la coreana Hyundai-Kia.
Evoluzione tecnologica, investimenti, economie di scala
Il mercato registra una grande evoluzione a livello di prodotti e di processi; si tende a vetture sempre più efficienti a livello di consumi e sempre meno inquinanti, si sviluppano nuove piste energetiche (elettrico, ibrido, idrogeno), si va verso l’auto che si guida da sola, mentre avanzano anche veicoli sempre più connessi. L’innovazione si sta riprendendo, come afferma un esperto del settore, il centro del palcoscenico.
L’industria dell’auto sta così spendendo sempre di più in R&S; gli esborsi stanno crescendo al ritmo dell’8 per cento all’anno, più delle vendite e dei profitti e parecchio più che in passato; la Volkswagen prevede di spendere da sola 84 miliardi di euro di investimenti nei prossimi cinque anni.
In questo settore le dimensioni d’impresa contano molto. Si deve fare riferimento, come scrivono gli specialisti, alle economie di scala, al potere di mercato verso i fornitori, alla possibilità di offrire una gamma di prodotti che sfrutti ogni nicchia del mercato ed a quella di distribuire su di una platea molto ampia di vetture gli elevati costi resi necessari dalle regole ambientali, ecc.
Ma bisogna anche considerare che produttori quali Bmw e Daimler ottengono dei risultati economici di tutto rilievo pur producendo soltanto 1,5-1,6 milioni di vetture circa a testa; quindi un secondo fattore da considerare è la possibilità di incorporare un elevato valore aggiunto nei prodotti, collocandosi nel settore cosiddetto premium.
Peraltro diversi produttori riescono a fare degli utili anche senza prodotti premium e restando lontani dai sei milioni di vetture che per Marchionne era almeno una volta un numero magico. Il quadro appare quindi complesso.
Una via per ridurre i costi è quella delle joint-venture per sviluppare dei modelli in comune, via sempre più percorsa oggi dalle case. Le fusioni hanno invece apparentemente una vita molto difficile.
La Fiat-Chrysler
Il gruppo ha venduto nel 2013 4,4 milioni di vetture, collocandosi al settimo posto a livello mondiale. I risultati economici complessivi sono piuttosto mediocri, perché, tra l’altro, esso guadagna negli Stati Uniti e in Brasile, ma perde in Europa. Intanto la Ford ha ottenuto profitti per 10 miliardi di dollari nel 2013 ed è solo il sesto gruppo mondiale.
Sul fronte finanziario, la situazione della nostra azienda, come ci ricorda la stampa internazionale, è la peggiore tra i principali gruppi del settore. Il livello di indebitamento della Fiat è piuttosto elevato. Quello lordo si collocava sui 19,0 miliardi di euro alla fine di settembre 2013 e quello industriale netto a 7,1, contro un margine operativo lordo di 2,5 miliardi e un flusso di cassa netto (free cash flow) negativo per 1,0 miliardo. Il debito consolidato netto sarà di 10 miliardi. Bisogna poi considerare l’elevato debito pensionistico della Chrysler.
Eppure la Fiat negli ultimi anni ha speso molto poco in ricerca e in investimenti produttivi, nonché nell’avvio di nuovi modelli, meno di pressoché tutti i concorrenti. Non è del tutto chiaro perché lo abbia fatto, perché non aveva i soldi necessari o perché, come dice Marchionne, il mercato era in crisi e non ne valeva la pena; di fatto, tutti gli altri produttori hanno spinto sulla questione molto di più. Un recente articolo del Financial Times parla invece di poca dimestichezza del manager con il settore dell’auto. Egli viene valutato come un brillante negoziatore, ma anche non come un car guy e si stima anche che non sia in grado di diventarlo; si pensa, correttamente a nostro avviso, che egli sia troppo accentratore e, tra l’altro, che non stia preparando in alcun modo la sua successione.
In ogni caso, se il gruppo vuol stare al gioco, deve ora prevedere molti investimenti sia per i nuovi modelli che per la ricerca. Con la collocazione in borsa prevista entro l’anno dovrebbero entrare un po’ di soldi. Ma non sembrerebbero certo bastare.
A livello geografico, Fiat-Chrysler ha una buona posizione negli Stati uniti, dove il mercato è previsto in crescita ancora per un paio d’anni, in Brasile, dove però il mercato è fermo e la concorrenza è sempre più agguerrita e in Italia, dove è in perdita di vendite e di quote per la mancanza di modelli; la sua presenza è modestissima in Europa ed inesistente in Russia. Gravissima la pratica assenza dall’Asia e in particolare dalla Cina, dove ora si sta avviando, per di più con una certa fatica di mercato, un insediamento molto modesto.
A livello di fasce di mercato, la strategia di Marchionne appare ormai, dopo anni di nebbia, chiara almeno per alcuni aspetti. L’ambizione è quella di passare a prodotti a maggiore valore aggiunto. Nella parte alta del mercato, a parte la Ferrari, essa sembra puntare sulla Maserati e sulla Alfa Romeo per raggiungere risultati relativamente, ma forse non abbastanza, importanti.
Nella fascia centrale c’è la Chrysler, abbastanza ben introdotta con i suoi suv e i suoi pick-up. Ma essa è debole sulle berline; su tale fronte ora ci riprova con un nuovo modello.
Nella parte bassa ci sono la Panda e la 500 nelle sue varie versioni e nel 2014 dovrebbe vedere finalmente la luce, con moltissimo ritardo, la nuova Punto, radicalmente riprogettata per ottenere più ampi margini di guadagno. Ma resta anche in questo caso una rilevante debolezza nelle fasce medie.
Marchionne promette che riuscirà ad assorbire tutti i cassa integrati in Italia. Secondo i calcoli fatti da qualcuno, con il nuovo piano si dovrebbero produrre nel nostro paese circa 700.000 vetture all’anno. Qualche anno fa il manager prometteva, oltre a 20 miliardi di investimenti, 6 milioni di vetture globalmente e 1.400.000 unità prodotte in Italia; sappiamo come è andata a finire.
Vero è che le 700.000 auto ora immaginate dovrebbero essere a maggiore valore aggiunto di quelle di qualche anno fa, ma sia lecito essere dubbiosi sul risultato finale in termini di occupazione se anche le previsioni di vendite fossero rispettate. Più in generale, perché credere ancora alle parole del manager?
Anche al settore auto, come del resto anticipano i giornali, sarà probabilmente somministrata una cura simile a quella fornita a Fiat Industrial, che oggi ha la sede legale in Olanda, quella fiscale in Gran Bretagna e la quotazione principale in Borsa a New York. Si dovranno probabilmente contare i posti di lavoro che si perderanno negli uffici a Torino.
Sembra plausibile, comunque, che il nuovo gruppo difficilmente possa reggere da solo la prova del mercato. Ha bisogno di un qualche altro partner che porti delle vendite in Asia e in Europa, poi dei modelli nella fascia media del mercato, nonché esperienze con le nuove tecnologie e che sia infine fornito di risorse. I buchi per essere un player globale non sono pochi. Si è parlato di intesa con Peugeot (ma sembra ormai improbabile e l’alleanza comporterebbe, tra l’altro, la perdita di tanti posti di lavoro), con Opel (anche in questo caso con problemi occupazionali), con qualche produttore giapponese o cinese. Ma una sola nuova alleanza non basterebbe probabilmente a coprire tutti i vuoti attuali della strategia.
Vedremo. Aspettiamo rispettosi che Marchionne ci illumini. Intanto continua il sostanziale vergognoso silenzio del governo italiano sul caso.