I risultati degli stress test ci consegnano la fotografia di un sistema fatto di banche zombie. Perchè se anche la domanda privata di credito crescesse fortemente nell’eurozona per effetto di politiche espansioniste questo sistema potrebbe non essere in grado di sostenerla
Nei giorni scorsi sono stati annunciati solennemente dalla BCE e dalla European Banking Authorithy, ad essa collegata, i risultati dell’asset quality review e degli stress test svolti negli ultimi mesi sui bilanci delle principali banche europee. Tali analisi si inseriscono, come è noto, nel progetto di unione bancaria perseguita nell’eurozona. L’unione, per come all’inizio era stata concepita, aveva due obiettivi principali: superare la situazione di debolezza del sistema finanziario dei paesi dell’area e spezzare il legame perverso esistente tra i bilanci pubblici dei vari paesi da una parte e le difficoltà bancarie dall’altra.
Essa doveva consistere di tre parti: 1) la creazione di un supervisore unico delle banche, la BCE e la sua affiliata EBA, 2) la messa in piedi di un’autorità incaricata della ristrutturazione degli istituti, dotata di sufficienti mezzi, 3) la configurazione di uno schema di assicurazione comune sui depositi.
Ma guardando al primo punto, i piccoli istituti, che pure sono spesso all’origine delle crisi finanziarie, sono stati esclusi dal meccanismo, sostanzialmente per volere della Germania, che presenta una struttura del suo sistema fortemente basato su banche di piccole dimensioni, strettamente collegate al potere politico.
Per quanto riguarda il secondo fronte, l’agenzia che dovrebbe provvedere al salvataggio in caso di crisi sarà dotata, e solo molto gradualmente, di mezzi largamente insufficienti per far fronte alla bisogna – essi alla fine saranno appena sufficienti a coprirsi da un soffio di vento -, mentre la procedura comunque molto bizantina di uscita dalle crisi è affidata ancora per lungo tempo sostanzialmente alle singole autorità nazionali; e questo sempre per volontà della Germania.
Sul terzo punto lo stesso paese non accetta di venire in soccorso degli altri e quindi non si è più parlato dell’assicurazione sui depositi.
La valutazione dei risultati
In un ambito nel quale gli obiettivi iniziali dell’unione sono stati comunque poi fortemente ridimensionati, come si può valutare il lavoro svolto ora dalla BCE?
Partiamo dal fatto che nello stress test portato avanti dalla EBA su 123 banche, 24 di esse, con i dati di fine 2013, non lo avevano superato, per un importo di capitali pari a 24,6 miliardi di euro; dopo le misure prese dalle stesse banche nel corso del 2014 ne restavano in difetto 14, per un deficit di capitale di 9,5 miliardi, pari appena allo 0,03% del totale degli asset degli stessi istituti, una cifra abbastanza ridicola.
Sono sembrate uscire male dai risultati particolarmente alcune banche italiane, anche se non le due maggiori. Ma con qualcuno la BCE doveva pur mostrare di fare la faccia un po’ feroce; e quale miglior obiettivo dei greci e degli italiani?
Willem Buiter, uno dei maggiori esperti a livello mondiale di questioni monetarie - se non il maggiore -, non è molto convinto dei risultati sopra citati; egli riporta in un suo scritto (Buiter, 2014) una stima alternativa a quella della BCE, stima svolta dai professori Virak Acharia e Sacha Steffen su appena 39 banche, che rappresentano meno del 45% degli asset totali del campione della EBA. Essa ha portato al risultato che alla fine del 2013 il deficit di capitale era pari a 450 miliardi di euro, ciò che rappresentava il 3.0% degli asset degli istituti analizzati; se applicassimo la stessa percentuale sul totale degli asset delle banche analizzate dall’EBA, otterremmo una cifra ben maggiore, intorno ai 1000 miliardi.
W. Buiter pensa che la stima di Acharia e Steffen sia più corretta della precedente. Per lo studioso ci sono vari indicatori che vanno in tale direzione. Il primo è quello che l’Eba ha una tendenza, già verificata in passato, di sottostimare i buchi di capitale delle banche. D’altro canto, gran parte dei calcoli sono stati affidati ai regolatori e ai controllori nazionali, che in passato non hanno visto e controllato niente di quello che passava sotto i loro occhi. Ci sono perdite nascoste, dice ancora Buiter, legate alla crisi che non sono emerse dall’indagine. Gli stress test ignorano poi cosa potrebbe succedere in caso di una situazione di deflazione, prospettiva certo non tanto remota.
Ma possiamo seguire anche un’altra pista per sospettare che i risultati non siano attendibili. I calcoli delle carenze di capitale si basano per larga parte sui criteri messi a punto nei protocolli di Basilea III. Gli indici elaborati negli accordi parlano della necessità che il capitale sociale più i profitti non distribuiti degli istituti raggiungano almeno il 4,5% degli asset ponderati per il rischio. Il cosiddetto Tier I (che include anche le azioni privilegiate e il debito subordinato perpetuo) dovrebbe poi raggiungere almeno il 6% sempre degli asset ponderati. Nello studio della BCE la soglia di capitale minima per il Tier I è stata fissata al 5,5% - del resto le misure di Basilea III dovrebbero valere pienamente solo dal 2019….
Ora, si sono a suo tempo levate voci molto autorevoli per mostrare che i livelli di capitale delle banche dovrebbero essere fissati a livelli ben superiori a quanto previsto da Basilea.
Così Anat Admati e Martin Hellwig, in un loro testo fondamentale (Admati, Hellwig, 2013) che sino ad oggi rimane insuperato sulla questione – le obiezioni alle loro tesi sono state facilmente smontate; si veda ad esempio in proposito il testo di Wolf, 2014, a, pagg. 244-252 -, suggeriscono la necessità di un livello dei mezzi propri pari al 30% degli asset ed in certi casi anche di più. Si può discutere se tali percentuali non siano alla fine troppo abbondanti; Davis Miles ed altri studiosi della Bank of England sono, in effetti, per un rapporto minimo del 20% (Miles, 2011), ma comunque tutto indica che un indice del 5,5% sia largamente al di sotto delle necessità.
L’insufficienza degli sforzi della BCE esce fuori anche da un altro approccio ancora alla questione. Partendo dal fatto che la determinazione della ponderazione del rischio è in genere lasciata alla discrezione delle singole banche, che sistemano troppo spesso i risultati secondo i loro comodi, molti hanno pensato che sia meglio considerare un indice che metta in relazione il livello di capitale con il totale degli asset non ponderati per il rischio, configurando un semplice indice di leva.
Per considerare i vantaggi di tale metodo si veda ad esempio il testo di Haldane e Andrews (Haldane, 2010). Martin Wolf (Wolf, 2014, a) sostiene, a tale proposito, che un valore minimo di tale rapporto dovrebbe essere fissato perlomeno al 10%. E’ tale metodo che hanno preferito seguire gli Stati Uniti.
Conclusioni
Ci troviamo di fronte ad un sistema fatto di banche zombie, ci dice Buiter. Se anche per caso la domanda privata di credito crescesse fortemente nell’eurozona per effetto di politiche espansioniste questo sistema non sarebbe in grado di sostenerla, egli afferma. Sarebbe necessario un molto più forte processo di capitalizzazione ed un’ondata di consolidamento cross-border in un settore nel quale sono presenti troppe banche sottodimensionate.
Se ci chiedessimo anche con Wolf (Wolf, 2014, b) se delle banche anche più solide sarebbero sufficienti a far crescere l’economia e a ridurre le minacce di deflazione, la risposta sarebbe per l’autore ancora no.
Lo stress test è stato una sciocchezza, conclude Buiter. Ci si continua a trastullare con dei modellini inutili, tanto per far vedere che si fa qualcosa.
Wolf appare un po’ meno drastico, sottolineando l’esistenza comunque di un miglioramento rispetto alla situazione precedente, miglioramento che peraltro non servirà per l’autore a far crescere l’economia. Anche egli conclude che la situazione attuale dell’eurozona è al disastro.
Appendice
Dalle analisi della BCE esce piuttosto malconcia la MPS, che sarebbe quindi costretta ad un forte aumento di capitale. Ma, non esistendo apparentemente in Italia dei possibili cavalieri bianchi (le due principali banche italiane hanno reclinato l’invito), l’istituto presumibilmente andrà fra poco a rimpinguare ancora -come se ce ne fosse bisogno- la ormai lunga lista delle imprese acquistate dallo straniero. Si parla, a questo proposito, di Santander o di una cordata di banche anglosassoni, magari con la foglia di fico di qualche società nostrana.
Eppure una via di uscita diversa ci sarebbe. Il Tesoro potrebbe trasformare i Monti bond, a suo tempo emessi per sostenere l’istituto, in capitale sociale e diventare così l’azionista di controllo, in maniera più o meno permanente. Ma è molto probabilmente sperare troppo da una compagine ministeriale ferocemente liberista. Per aggiungere al danno la beffa, i miliardi dei Monti bond potrebbero magari essere invece graziosamente abbuonati ai nuovi azionisti privati.
Testi citati nell’articolo
-Admati A., Hellwig M., The bankers’ new clothes : what’s wrong with banking and what to do about it, Princeton University Press, Princeton, 2013
-Buiter W., Four rescue measures for stagnant eurozone, www.ft.com, 30 ottobre 2014
-Haldane A., Madouros V., The dog and the frisbee, Federal Reserve Bank of Kansas City 36th economic policy symposium, The changing policy landscape, Jackson, Wyoming, 31 agosto 2012
-Miles D., Jing Jang, Marcheggiano G., Optimal bank capital, External MPC unit, discussion paper n. 31, Bank of England, Londra, 2011
-Wolf M., The shifts and the shocks, Allen Lane, Londra, 2014, a
-Wolf M., Europe banks are too feeble to spur growth, www.ft.com, 28 ottobre 2014, b
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