La scarsa trasparenza della Fiat a Kragujevac, in Serbia, preoccupa sindacalisti e lavoratori, che sperano nel rilancio industriale della città e aspettano chiarimenti
Mille pagine illeggibili. È il contratto tra la Fiat Automobili Srbija (FAS) e il governo di Belgrado. Mille pagine circa in cui ogni dato e molte clausole sono coperte da ordinati e sistematici tratti di pennarello nero. In Serbia il 2012 è un anno elettorale e il presidente in carica, il democratico Boris Tadic, si gioca buona parte della sua credibilità proprio sulla vicenda della fabbrica che la Fiat ha impiantato a Kragujevac, nella Shumadja, il cuore della Serbia centrale, rinnovando gli impianti di quella che fu la Zastava. Il grande impianto, appena fuori città, di fronte a un piccolo cimitero, ha ricevuto a metà dicembre la visita ufficiale dello stesso Tadic, accompagnato dal primo ministro Mirko Cvetkovic, da Alfredo Altavilla, amministratore delegato di Fiat Industrial, e da Antonio Cesare Ferrara, ex direttore dello stabilimento di Cassino, promosso pochi mesi fa a direttore generale di Fiat Automobili Srbija. Ai soli cronisti presenti alla visita, quelli dell’agenzia di stampa ufficiale serba Tanjug, Altavilla ha detto che la Fiat «sta portando a termine l’investimento di 940 milioni di euro» e ha aggiunto che la fabbrica di Kragujevac «sarà a un livello mondiale e tra gli impianti Fiat più avanzati». Nello stabilimento, a pieno regime, cioè entro la fine del 2012 (Altavilla), dovrebbero lavorare 2400 operai. In realtà, ciò che innervosisce il governo di Belgrado, così come i sindacati e gli abitanti di Kragujevac che sperano nel rilancio industriale della loro città, è che questi piani, per ora, sono praticamente solo nelle parole dei vertici di Fiat. Ferrara ha spiegato alla Tanjug che «fino al salone di Ginevra» (marzo), saranno prodotti 200 o 300 esemplari del nuovo modello, per ora chiamato L-0. «Il piano prevede di iniziare con 50 auto al giorno - ha aggiunto – Poi vedremo». In teoria, entro il 2012 la produzione dovrebbe arrivare a 30-50 mila vetture l’anno, per salire fino a 100 mila entro il 2013. Molto, però, dipende dal mercato, soprattutto da quello statunitense, a cui le L-0 sono destinate.
«In fabbrica al momento ci sono 1200 operai ma non sono impegnati nella produzione in sé e per sé – spiega in un bar della città serba Zoran Mihajlovic, responsabile del sindacato autonomo dei metalmeccanici a Kragujevac – Il programma di produzione è stato rimandato più volte e siamo in ritardo sulla tabella di marcia. Abbiamo paura che la data prevista adesso, cioè marzo 2012, slitti ancora. La Fiat continua a giustificarsi adducendo la scusa della crisi economica e sappiamo ovviamente che tutto il comparto auto è calo. Questo aumenta i nostri timori».
Mihajlovic spiega che la Fiat ha fatto investimenti molto consistenti, rinnovato gli impianti, comprato nuovi macchinari: «In questo momento, però, chi non sta mantenendo gli impegni è il governo serbo, in ritardo sulla realizzazione del raccordo che collega la fabbrica all’autostrada per evitare di paralizzare Kragujevac». «Finora non ci sono stati grossi problemi con la Fiat – aggiunge Mihajlovic – Anche se sappiamo che Fiat in generale non ama i sindacati e siamo riusciti a bloccare alcune proposte di modifica all’orario di lavoro. Il problema principale è il salario, troppo basso». Un operaio Fiat a Kragujevac guadagna 360 euro al mese, poco meno del salario medio serbo (400), ma la disoccupazione in Serbia (30 per cento) fa sì che non manchi certo la manodopera, peraltro spesso con un buon livello di preparazione tecnica. Inoltre, per due anni, il governo serbo paga i contributi agli operai assunti dalla Fiat e l’area della FAS di Kragujevac è stata dichiarata «Zona franca» non soggetta alle tasse dello stato serbo. Se tutto ciò non bastasse, agevolazioni simili sono previste per le imprese dell’indotto, indispensabili per far andare la fabbrica a pieno regime. Delle 14 aziende attese nei 70 e passa ettari (in comodato d’uso gratuito) della Zona franca di Kragujevac, però, ne sono arrivate solo quattro, tra cui Magneti Marelli, che a sua volta pensa di usare la Serbia come trampolino di lancio per tutta l’Europa centrale.
Gli investimenti complessivi per la FAS ammontano a circa un miliardo e cento milioni di euro, di cui Fiat avrebbe dovuto coprire 650 milioni. Secondo una fonte riservata, però, il gruppo di Marchionne, di tasca sua, ne avrebbe messi solo un centinaio. Il mezzo miliardo mancante sarebbe arrivato dalle banche grazie alla garanzia offerta dal governo serbo. Questo spiega la ritrosia di Belgrado a scoprire le carte. «Il fatto puro e semplice che l’accordo sia stato concluso con una procedura poco trasparente e nel mezzo della campagna pre-elettorale, fa sorgere il sospetto che voci di bilancio e beni dello stato siano stati usati – dice Verica Barac, presidente del Consiglio anticorruzione del governo serbo – Per questo, il Consiglio, fin dal 2008 ha cercato di ottenere dalle autorità statali tutta la documentazione connessa». La Fiat arriva come ultimo protagonista di una vicenda molto complicata, quella della dismissione e privatizzazione della Zastava, iniziata nel 2001, dopo i bombardamenti Nato che non hanno risparmiato la fabbrica e la città di Kragujevac. «Nella nostra ultima richiesta, il 17 marzo 2011, abbiamo chiesto copia degli allegati al Contratto, quelli del 2009 e del 2011, e le quattro appendici, che contengono i dati di cui abbiamo bisogno per analizzare gli investimenti fatti dalla Repubblica di Serbia». Tutto quello che il Consiglio vuole sapere non riguarda dati tecnici della produzione, precisa Barac, né elementi che la Fiat potrebbe voler proteggere dai concorrenti, ma «solo» l’ammontare degli investimenti fatti dallo stato serbo. «Tutte i dati finanziari importanti contenuti negli allegati e nelle appendici sono stati nascosti, così come tutto il testo delle appendici, dalla prima all’ultima pagina».
Il sospetto del Consiglio è che adesso possa ripetersi lo «spettacolo» del 2008: «Quattro anni fa il governo, in fretta e con poca trasparenza, ha concluso un contratto di investimento congiunto con la Fiat. Questo contratto, con la promessa di un gran numero di posti di lavoro è stato una delle carte migliori nella campagna elettorale – racconta Barac – E nonostante il fatto che i documenti non ci vengono consegnati, si può vedere che l’investimento, finora, non ha avuto il ritorno atteso. Per noi è chiaro che ci sono state violazioni delle clausole contrattuali, ma non è chiaro chi le abbia commesse e quali siano le penalità previste». Secondo fonti vicine all’azienda torinese, il finanziamento è arrivato dalla Banca Europea di Investimenti (Bei). Il risultato è che Fiat Automobili Srbija è una joint venture: 67 per cento Fiat e 33 per cento del governo serbo. Il prestito della Bei è stato firmato in Lussemburgo. Il governo serbo, secondo questa versione, sarebbe riuscito a ottenere dalla Fiat che, a fronte di un impegno finanziario così pesante, in caso di inadempimento contrattuale da parte di Fiat, la proprietà della fabbrica torni in mani serbe. I vertici del Lingotto avrebbero cercato invano di evitare questa clausola. Belgrado così si sarebbe assicurata una cintura di sicurezza per attutire l’impatto con una situazione che, in vista del voto di primavera, si fa sempre più nervosa. Nonostante l’armonia ostentata in pubblico.
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