Statistiche e politica, come i numeri per misurare il mondo lo configurano e già lo trasformano. Una lettura sociologica delle nostre statistiche di Alain Desrosières
Che ci siano problemi - e dunque che sia bene essere cauti nel leggere e nell’utilizzare i dati statistici - lo ripetono di continuo economisti, demografi, quelli dei vari settori delle “scienze sociali”. I numeri che “misurano” disoccupazione, decrescita, andamento del Pil ecc. e che delineano possibili trend (a livello nazionale o europeo, in analisi comparate, serie storiche) sono comunque alla base del dibattito attuale, si tratti di riesaminare errori del passato o di avanzare proposte per interventi futuri.
Val la pena di riflettere su alcune considerazioni suggerite da un “esperto” (meglio, mi viene da dire, “appassionato”, nel suo modo di definirle ed affrontarle, queste questioni), Alain Desrosières (1), in numerosi scritti e nel corso di un incontro organizzato nei giorni scorsi presso l’università Bicocca di Milano. Sono il risultato di un lungo e denso percorso di riflessione: una “lettura sociologica” della questione, con riferimento in particolare al campo delle politiche pubbliche (una precisazione importante: in Francia gli organismi predisposti alla raccolta ed elaborazione delle statistiche sono parte del sistema dei “servizi pubblici”).
La questione si colloca in un dibattito - portato avanti a livello internazionale da alcuni anni- sull’uso di parole (e, per gli statistici soprattutto, dei numeri) a cui si fa riferimento, spesso, “affidamento”: misurare, comparare, valutare, classificare. Desrosières precisa che “dicendo misurare si assume che qualcosa esista appunto in una forma misurabile”, come se si trattasse di una grandezza fisica (un modo di procedere che trasferiamo dalle scienze della natura ai fatti sociali). Invece, con i dati statistici, si quantifica (un fenomeno, un cambiamento, una performance).
E’ diverso.
Aggiunge: lo si fa sulla base di “procedure codificate”, e dice anche: “negoziazioni”, “confronti”, “codici”. La quantificazione si basa su e diventa possibile perché ci sono queste convenzioni. Tutti passaggi che richiamano come, in tutto questo, c’entrino decisioni politiche e anche interessi e rapporti, tema su cui questo autore ha sviluppato contributi illuminanti.
Di più. Le procedure di definizione e di misurazione non soltanto riflettono qualcosa che c’è nel mondo, ma quel qualcosa “lo trasformano, lo configurano in modi diversi”.
Di questo non si tiene conto nell’uso prevalente delle pratiche di misurazione: Alain Desrosières parla di un “effetto di retroazione” introducendo con queste parole una prospettiva molto importante. Gli indicatori e le misurazioni “retroagiscono“, cioè determinano effetti, conseguenze, per i comportamenti individuali e i processi sociali. L’ attore sociale -con riferimento alle condotte degli altri e alle informazioni che ne riceve attraverso appunto gli indicatori disponibili- valuta le proprie azioni e decisioni, calcola, agisce strategicamente.
Questioni, queste, non direttamente rilevanti per gli usi statistici, ma che sono da tempo al centro dell’attenzione degli operatori pubblici (o sarebbe bene che lo fossero, e lo studioso porta l’analisi sulla fase attuale e la “fragilità” dell’uso politico delle statistiche).
Essere pienamente avvertiti delle interferenze e degli effetti che possono avere i criteri di misurazione e i numeri che ci vengono proposti (spesso, è ovvio, senza consapevolezza dei possibili “effetti perversi”: anche questo, un efficace termine dello studioso).
Un suggerimento, un percorso di riflessione sul quale, nella fase attuale in particolare, mi sembra cruciale portare l’attenzione.
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1) Un suo recente testo in italiano è stato pubblicato sulla Rivista delle Politiche Sociali, n.3, 2009,“Stato, mercato e statistiche. Storicizzare l’azione pubblica”.
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