Dalla ex Fralib di Gémenos in Francia alla Mancoop di Castelforte, nel basso Lazio le occupazioni operaie dimostrano che fermare la spirale di delocalizzazioni e ristrutturazioni è possibile
Finalmente, dopo 1336 giorni di occupazione, una vertenza aspra quant’altre mai e la riacquisizione dei locali dall’Unilever, i lavoratori della ex Fralib di Gémenos, in Provenza, riconvertiti in Scop Ti (Societé Cooperative Ouvriere Provencale), sono tornati sugli scaffali dei supermercati con i loro nuovi prodotti: non più the agli aromi chimici, bensì tisane biologiche alle erbe provenzali. Il 13 agosto è ricominciata la produzione in grande stile e da settembre gli infusi si possono trovare nei Carrefour, negli Auchan e nelle altre grandi catene distributive d’oltralpe. Tra le storie nelle quali mi sono imbattuto nel mio viaggio tra i lavoratori recuperati di tutta Europa e che mi ha portato a tirarne fuori un libro (Lavoro senza padroni, Baldini&Castoldi), questa è di sicuro la più paradigmatica e non solo per l’esito finale, superiore alle più rosee aspettative.
La Fralib di Gémenos, a mio parere, rappresenta un caso di scuola di come si può ricostruire il lavoro nell’Europa della Grande Crisi: quando la multinazionale (l’Unilever, proprietaria del marchio Lipton, la stessa che ha appena acquistato i gelati Grom in Italia) ha deciso di delocalizzare in Polonia, i lavoratori non si sono arresi agli ammortizzatori sociali e hanno occupato lo stabilimento. Nella loro resistenza hanno coinvolto reti di militanti, gli operai delle fabbriche vicine e pian piano hanno allargato il campo ai sindacati e alla politica, costringendo le amministrazioni locali (la Municipalità di Marsiglia) a requisire i terreni, i leader socialisti e della sinistra radicale a incontrarli e il ministero del Lavoro ad aprire un tavolo di trattativa. Dopo tre anni e mezzo di lotta e negoziati, l’hanno spuntata: di fronte a una campagna di boicottaggio che cresceva di giorno in giorno, la multinazionale ha riconosciuto loro stipendi arretrati e indennità, e alla fine gli ha lasciato pure i macchinari e accettato che la nuova produzione fosse veicolata, per tre anni, attraverso i loro canali di vendita. Nel frattempo, gli ex lavoratori si sono costituiti in cooperativa e hanno ripreso a lavorare.
Nell’Argentina del dopo-crac sono stati recuperati, in questo modo, 10 mila posti di lavoro (emblematico, da quelle parti, il caso della Zanon). I dati diffusi dall’Euricse (l’Istituto europeo di ricerca sull’impresa cooperativa e sociale) parlano di 252 imprese recuperate solo in Italia, il 60 per cento delle quali nel settore manifatturiero, quasi tutte di piccola o media dimensione ma altamente specializzate. Il tasso di successo è stimato nel 36 per cento, un dato non da poco se si pensa che in molti casi il contesto da cui si parte è a dir poco sfavorevole, tra ex proprietari che mettono i bastoni tra le ruote, ostacoli legislativi o giudiziali, mancanza di capitali per ripartire. Secondo l’Eurisce, “questi risultati suggeriscono che, quando adottata, questa forma cooperativa è effettivamente in grado di superare situazioni di crisi e di stabilizzare e sviluppare l’attività produttiva a beneficio non solo dei soci lavoratori, ma anche del contesto socio-economico di riferimento".
“Vogliamo essere un modello”, mi hanno detto alla Mancoop di Castelforte, nel basso Lazio. Anche loro, come alla Fralib di Gémenos, hanno occupato la fabbrica (nastri adesivi) per due anni, nel silenzio mediatico e istituzionale, e alla fine ce l’hanno fatta. Ora vorrebbero insegnare agli altri che si trovano nelle loro condizioni come si fa a resistere e ripartire. Appunto, come si fa? Coniugando la lotta (gli operai della Mancoop avevano una forte cultura sindacale) e il sapere operaio che le giovani generazioni apprendevano dalle vecchie, un alto tasso di pragmatismo alla ricerca di soluzioni innovative (alla ex Montefibre di Acerra si sono inventati una plastica biodegradabile ottenuta dagli scarti di caseifici e oleifici), e mettendosi in rete con i loro simili. Rischiando e investendo (tfr e assegni di mobilità), facendosi supportare da esperti e passando, dopo un’iniziale fase di autogestione, alla forma cooperativa.
In Italia esiste una legge, la Marcora del 1985, che sostiene il percorso di recupero delle aziende. C’è un fondo che si chiama Cooperazione finanza imprese e fa capo al ministero dello Sviluppo, la Legacoop ne ha uno proprio (si chiama Coopfond) e un sistema di ingresso nel capitale delle nuove imprese che coinvolge pure Banca Etica e Unipol. Non si riparte da zero ma gli strumenti esistenti avrebbero bisogno quantomeno di una revisione, nonché di risorse. Nel programma di governo di Syriza, in Grecia, c’è una legge sulle fabbriche recuperate ispirata proprio al modello cooperativo italiano. La rete Solidarity4all, che gestisce le farmacie e gli ambulatori sociali, sostiene i lavoratori che vogliono riprendersi il lavoro. I pionieri sono stati gli operai della Vio.Me di Salonicco: erano impegnati nell’edilizia (con padrone), ora producono saponi biologici (senza padrone). Quando li ho incontrati, mi hanno detto che in Grecia le difficoltà di recupero di una fabbrica erano gigantesche, proprio perché mancava un’apposita legge. Ora Tsipras gliel’ha promessa, troika permettendo.
E’ anche, e soprattutto, sul lavoro che si combatte l’egemonia neoliberale in Europa: gli operai della Fralib, dalle campagne provenzali, hanno dimostrato che fermare la spirale di delocalizzazioni e ristrutturazioni (in buona sostanza, la finanziarizzazione dell’economia) è possibile.
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