Il lavoro autonomo rappresenta il 23% degli occupati in Italia eppure spesso lo si affronta solo nel tentativo di ricondurre le forme di lavoro free lance a rapporti di lavoro subordinati
Sicuramente apprezzabile il lavoro di Sbilanciamoci!, che ancora una volta smaschera la retorica autoritaria vestita malamente da innovazione portata avanti dalla “sinistra di governo”. Rimane però qualche perplessità su alcuni punti, a mio avviso non secondari: l’innovazione e il lavoro autonomo.
Esiste una parte del mondo del lavoro del nostro Paese che non vive di contratti di lavoro. Una parte sempre più ampia, che non è solo il frutto del capitalismo “on demand”, ma è una caratteristica peculiare del sistema produttivo italiano. Il lavoro autonomo rappresenta il 23% degli occupati in Italia, con una media europea del 14%. L’atteggiamento dei sindacati nei confronti di questo bel pezzo di Italia, è sempre stato lo “smascheramento”, cioè il tentativo di ricondurre forme di lavoro free lance a rapporti di lavoro subordinati. Forse solo in questo caso si potrebbero difendere i diritti di questi lavoratori da parte dei sindacati, viceversa, se pervicacemente non si accetta la subordinazione, si è sostanzialmente lasciati soli, alla faccia dei diritti di tutti i lavoratori. Con questo non si vuole dire che non esistano le finte partite IVA, o in taluni casi di monocommittenza sarebbero auspicabili rapporti di lavoro subordinati (quindi tutelati), ma la questione non cambia: il lavoro indipendente in quanto tale non è degno di alcuna politica o vertenzialità da parte dei sindacati (dei lavoratori? Non di tutti…).
Significativo dell’impostazione ideologica è il passo relativo al salario minimo, che si dice sarebbe efficace per il Quinto Stato, ma l’attenzione non è per questo, bensì per le conseguenze che potrebbe determinare nei confronti del lavoro subordinato, nell’efficacia dei Ccnl, nell’indebolimento del sindacato, che evidentemente non tutela affatto il Quinto Stato … Perché si parla solo di partite iva in monocommitenza e non anche di quelle in pluricommitenza? Forse avere più clienti è una ragione per non avere tutele (malattia, previdenza, disoccupazione…)?
Il lavoro autonomo, tradizionalmente composto da artigiani, commercianti, imprenditori, vede negli ultimi 10 anni una flessione di queste figure e un aumento del numero dei professionisti autonomi, in decisa controtendenza rispetto alle altre voci, compreso il lavoro dipendente.
Il lavoro professionale è sempre più composto non solo dalle cosiddette nuove professioni legate alla rete, ma anche dai professionisti della legge 4, e dagli ordinisti, esplosi come numero e sempre meno tutelati dal corporativismo elitario degli ordini professionali. Non so se siano un blocco sociale, una classe o un ceto, so di certo che si raggiunge un livello di tassazione che supera il 60%, a fronte di un reddito medio di 20mila euro per gli uomini e 15mila per le donne… Sicuramente parliamo di donne e uomini che ogni mese devono trovarsi più lavori, che il lavoro se lo inventano, che non hanno garanzie di essere pagati per le loro prestazioni, che non hanno alcuna protezione sociale…Capisco che lo schema capitalista/operaio è più semplice da interpretare, ma lo sforzo che fanno gli indipendenti per arrivare a fine mese credo meriterebbe un’analisi quantomeno più approfondita (e tralasciamo gli indipendenti con basse qualifiche professionali… sostanzialmente i nuovi schiavi).
Per quanto riguarda il Capitolo 5 “Un nuovo mondo di lavoratori usa e getta?”, direi che la sharing economy non può essere ridotta alle aziende trasnazionali che tramite piattaforma esplorano nuove frontiere di business “social”… forse sarebbe necessario approfondire l’argomento… per esempio andare a vedere la funzione sociale che esercitano le reti di coworking e fab lab, uniche “istituzioni di prossimità” autorganizzate per il lavoro autonomo e free lance. Perché non ho mai incontrato un sindacalista in un coworking? Evidentemente hanno cose più importanti da fare…
Per quanto riguarda i “piani per creare occupazione”, c’è una buona notizia: le “attività produttrici di valori socialmente utili” ci sono già, le fanno (autonomamente) i gruppi, più o meno formalizzati (imprese, associazioni, start up), che si occupano di sharing economy: dal basso, creando relazioni sociali, redditi, economie sostenibili. Per tutto il resto, complimenti!!!!
La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui