Le ragioni dei nuclearisti nella lettera di Veronesi al Pd, di qualche tempo fa. E le ragioni del "no"
Le ragioni che più frequentemente i sostenitori del ritorno del nucleare in Italia adducono a sostegno della loro tesi sono ben riepilogate nella lettera che qualche tempo fa Umberto Veronesi scrisse al segretario del Pd Bersani. La ripubblichiamo, con tutte le firme e con una nostra risposta (ndR: sono documenti di qualche anno fa, la cui lettura però torna molto utile oggi, in emergenza nucleare).
«Caro Segretario Bersani,
chi ti scrive guarda con attenzione al Partito Democratico, alla sua evoluzione ed al ruolo che esso ricopre nella vita pubblica italiana. Alcuni sono, anche, impegnati nelle vita del PD. Ed apprezzano il lavoro che stai facendo per dare al PD concretezza e radicamento, ponendo al centro della sua iniziativa i temi del lavoro e della insufficiente struttura produttiva italiana.
Vorremmo dare un contributo serio a questa discussione. Tornando ai fondamentali, come si dice, e cercando di approfondire le questioni con rigore intellettuale e scientifico. E con spirito concreto.
Fra le grandi questioni irrisolte del nostro Paese vi è il problema energetico.
I dati ti sono chiari: importiamo più dell'80% dell'energia primaria di cui abbiamo bisogno, da paesi geopoliticamente problematici. Produciamo l'energia elettrica per il 70% con combustibili fossili. Circa il 15% la importiamo dall'estero, prevalentemente di origine nucleare. Se non la importassimo la nostra dipendenza dai combustibili fossili per la produzione di energia elettrica (gas e carbone in primo luogo) salirebbe oltre l'80%. Con le rinnovabili, se escludiamo l'idroelettrico, patrimonio storico del nostro paese, ma praticamente non aumentabile, produciamo circa 6% la maggior parte di origine geotermica, un'altra risorsa storica italiana.
Risultato: emissioni di CO2 e di inquinanti atmosferici molto alte, costo delle importazioni molto elevato e continuamente esposto al rischio "prezzo del petrolio", sicurezza energetica a rischio, come si è visto qualche anno fa con la crisi fra Russia e Ucraina, prezzi dell'energia elettrica mediamente più elevati del 30% rispetto agli altri paesi, in particolar modo europei.
Una situazione che richiederebbe scelte ragionate, risposte strutturali " sostenibili", oltre che efficaci, sia in termini di riduzione dello sbilanciamento energetico nazionale, sia in termini di miglioramento del suo impatto ambientale complessivo.
Per definire tali scelte, a nostro avviso, tutte le opzioni dovrebbero essere considerate, nessuna esclusa, inclusa quella nucleare, non come "LA SOLUZIONE" ma come "PARTE DELLA" soluzione.
L'energia nucleare, quasi ovunque, nel mondo industrializzato è vista come un'insostituibile opportunità che contribuisce alla riduzione del peso delle fonti fossili sulla generazione di energia elettrica, compatibile con un modello di sviluppo ecompatibile.
Dal punto di vista ambientale non vi è programma internazionale accreditato per la riduzione della CO2 che non preveda anche il ricorso all'energia nucleare e non vi è un solo studio internazionale che affidi alle sole rinnovabili il compito di ridurre i combustibili fossili.
E invece tutti gli accenti che sentiamo nel PD prescindono dall'analisi di questi dati e fatti.
Come ha autorevolmente affermato il Presidente Barack Obama: "Io credo che la creazione di lavori verdi sarà il traino della nostra economia per un lungo periodo. Per questo abbiamo destinato un grande ammontare di denaro per l'energia solare, quella eolica, il biodisel e tutte le altre fonti di energia pulita. Nello stesso tempo, sfortunatamente, per quanto velocemente crescano queste fonti avremo un enorme fabbisogno di energia, che non potrà essere soddisfatto da queste fonti. E la domanda è: "Da dove verrà quest'energia?" L'energia nucleare ha il vantaggio di non emettere gas serra e dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che paesi come la Francia ed il Giappone ed altri paesi sono stati molto più aggressivi nel ricorrere all'energia nucleare e con molto più successo, senza alcun incidente. Siamo consapevoli dei problemi legati al combustibile esausto ed alla sicurezza, ma siamo fermamente convinti che questa via sia da percorrere se siamo preoccupati per il cambiamento climatico.
Ed è proprio, a nostro parere, dalla cooperazione fra le diverse opzioni, efficienza energetica, rinnovabili, fossili sempre più puliti e nucleare, che si può individuare la soluzione al duplice problema che abbiamo di fronte: disporre di energia elettrica e ridurre l'impatto ambientale. Senza preclusioni.
L'Europa produce circa il 30% della sua energia elettrica con il nucleare.
Nell'Europa dei 27 ben 15 paesi possiedono impianti nucleari, 12 (Gran Bretagna, Francia, Svezia, Polonia, Lituania, Romania, Bulgaria, Finlandia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia) hanno annunciato nuovi programmi nucleari. Siamo l'unico paese del G8 che non ospita alcuna centrale nucleare. Paesi, un tempo considerati sottosviluppati, come la Cina, l'India, il Brasile sono fra i primi investitori in nuovi impianti nucleari. Grandi paesi produttori di petrolio stanno lanciandosi nella costruzione di nuove centrali.
Sebbene la legge che reintroduce la possibilità di utilizzo del nucleare contenga forzature e punti sbagliati e ci siano limiti nell'azione di governo per la realizzazione dell'annunciato programma nucleare, riteniamo che non sia in alcun modo giustificata l'avversione al nucleare.
Gli errori del governo meritano una puntuale sottolineatura da parte dell'opposizione e le prese di posizione ufficiali dei Gruppi Parlamentari del PD nelle sedi competenti si sono ispirate ad una logica di contestazione di merito.
È incomprensibile la sbrigatività e il pressapochismo con cui, spesso, da parte di importanti esponenti del PD vengono affrontati temi che meriterebbero una discussione informata e con dati di fatto.
Abbiamo sentito parlare di "masserie fosforescenti" ed altre falsità di questo genere, che cozzano contro il buon senso ed ogni spirito di razionale e serio approccio al problema. Basterebbe attraversare il confine e visitare centrali nucleari francesi vicine ai Castelli della Loira o quelle nella vallate svizzere per capire l'enormità di queste affermazioni.
O ancora per quel che riguarda i costi del programma nucleare: incomprensibile senza una discussione completa (costi di generazione del KWh, costo del combustibile, durata di vita delle centrali, ecc.) e senza confronti con i costi delle alternative in caso di rinuncia al programma nucleare. Per non dire del tema della sicurezza che punta a sottacere il track record di sicurezza degli impianti nucleari, che non ha paragoni con quello di ogni altra filiera industriale.
Le tecnologie nucleari sono, ormai, essenziali e diffuse nel campo sanitario, industriale e della ricerca.
Il tema dello smaltimento, del deposito e della sicurezza dei rifiuti nucleari, ad esempio, ci riguarda indipendentemente dalla scelta di costruire nuove centrali. E costituisce un grande tema di ricerca e di innovazione tecnologica.
Infine. Crediamo che a te non faccia difetto la sensibilità di capire l'importanza per l'industria italiana di partecipare ad un processo internazionale di rinascita del nucleare che significherà investimenti significativi in tecnologia, infrastrutture e servizi. E nello sviluppo di occupazione qualificata.
Caro Segretario,
occorre evitare il rischio che nel PD prenda piede uno spirito antiscientifico, un atteggiamento elitario e snobistico, che isolerebbe l'Italia, non solo in questo campo, dalla frontiere dell'innovazione. Ampi settori di intellettualità tecnica e scientifica, che un tempo guardavano al centrosinistra come alla parte più aperta e moderna dell'Italia, non capiscono più e guardano altrove.
Noi ti chiediamo di prendere atto che il nucleare non è né di sinistra né di destra e che, anzi, al mondo molti leader di governi di sinistra e progressisti puntano su di esso per sviluppare un sistema economico e modelli di vita e di società eco-compatibili: Brasile con Lula; Usa con Obama; Giappone con Hatoyama; Gran Bretagna con Brown. Noi ti chiediamo di garantire che le sedi di partito nazionali e locali, gli organi di stampa, le sedi di riflessione esterna consentano un confronto aperto e pragmatico. Riterremmo innaturale e incomprensibile ogni chiusura preventiva su un tema che riguarda scelte strategiche di politica energetica, di innovazione tecnologica e sviluppo industriale così critiche e con impatto di così lungo termine per il nostro paese».
Le prime firme
Sen. Umberto Veronesi
Giorgio Salvini, presidente onorario Accademia Lincei
Carlo Bernardini, professore emerito di fisica università di Roma- direttore di "Sapere"
Margherita Hack, astrofisica, professore emerito università Trieste
Enrico Bellone, professore ordinario di storia della scienza
Edoardo Boncinelli, genetista, professore di Biologia e Genetica Universiutà San Raffaele
Gilberto Corbellini, docente di Storia della medicina-Università di Roma
Giovanni Bignami, astrofisico
Roberto Vacca, scienziato e scrittore
Franco De Benedetti, economista
Erminio Quartiani, deputato PD
Enrico Morando, senatore PD
Tiziano Treu, senatore PD
Pietro Ichino, senatore PD
Francesco Tempestini, senatore PD
Chicco Testa, manager
Umberto Minopoli, manager
Adolfo Spaziani, presidente Federutility
Massimo Lo Cicero, economista
Anna Ascani, manager
Andrea Camanzi, manager, consigliere Autorità vigilanza sui contratti pubblici
Marco Valenzi, bioinformatico
Fabrizio Rondolino, giornalista
Silvio Simi, pubblicista, fondatore di " Libearal"
Enza Bruno Bossio, manager
Paolo Mautino, funzionario pubblico
Francesco Romano, ingegnere
Pietro Costantino, manager
Amedeo Lepore, professore universitario
Andrea Margheri, senatore
Aldo Amoretti, sindacalista consigliere Cnel
Carlo Pedata, direzione nazionale giovani PD
Mario Bianchi, dottore Comunità francescana O.F.S.
Riccardo Casale, presidente Iride Energia
Maria Giovanna Poli, giornalista
Marino Mazzini, professore ordinario Università Pisa
Bruno Neri, professore ordinario Università Pisa
Gianni Petrangeli, ingegnere
Vincenzo Rosselli, imprenditore
Angelo Tromboni, imprenditore
Marco Ricotti, professore ordinario Politecnico Milano
Giuseppe Bolla, ingegnere
Raffaella Di Sipio, manager
Ernesto Pedrocchi, professore ordinario Politecnico Milano
Bettanini, Ph in ingegneria elettrotecnica
Maria Luisa Mello, fisica
Giovanni Forasassi, professore
Gianfranco Bangone, direttore di Darwin
Anna Meldolesi, giornalista scientifica
Andrea Gemignani, presidente Confindustria Livorno
Francesco Semino, manager
Myrta Merlino, giornalista
Luigi De Paolis, professore Univesità Bocconi
Herman Zampariolo, presidente Vona Energy
Silvia De Grandis, ingegnere, imprenditrice
Giorgio Turchetti, docente Unibo, presidente Centro A. Volta
Giulio Valli, Galileo 2001, già dirigente Enea
Carlo Artioli, ingegnere
Perché no al nucleare in Italia
Ben volentieri accogliamo l’invito a discutere della questione laicamente, senza pregiudizi ideologici, scientificamente. Ci sembra giusto però dare enfasi particolare alle considerazioni economiche e ci permettiamo di aggiungere tra le cose che ci guidano anche onestà intellettuale e – perché no – un bel po’ di buon senso.
I nostri argomenti del “perché no al nucleare” sono sostanzialmente due:
1 – Perché l’Italia non ha bisogno per molti anni a venire e forse per sempre di consistenti apporti di potenza elettrica aggiuntiva.
2 – Perché il nucleare è antieconomico: anzi si sta rivelando sempre di più un’opzione catastrofica sul piano economico.
Si noterà che questi due argomenti sul piano logico – o del buon senso se si preferisce – sono preliminari alle questioni della sicurezza, del trattamento e collocazione delle scorie ecc. Riconosciamo, beninteso, a questi temi tutta la rilevanza che meritano e capiamo assai bene la preoccupazione, o addirittura l’angoscia ed il rifiuto che si può avere su questi argomenti. Ma abbiamo una buona notizia in materia: il problema non si pone.
Se infatti l’Italia non ha bisogno di nuove grandi centrali elettriche e se le centrali nucleari sono altamente antieconomiche perché porsi l’obiettivo di costruirne in Italia?
1 – L’Italia non ha bisogno di nuove centrali
In Italia, come ormai in tutti i maggiori paesi europei, i consumi di energia elettrica crescono assai poco: negli ultimi dieci anni (2000-2009) sono passati da 298,5 a 317,6 mld di kWh, con un incremento quindi del 6,4%.
Nonostante il fatto che le politiche implementate per il risparmio siano state piuttosto inconsistenti, sembra chiaramente in atto una spontanea tendenza alla saturazione del mercato, saturazione che verosimilmente non è molto lontana.
Per contro in Italia, assai più che negli altri paesi europei, negli ultimi dieci anni si sono costruiti – silenziosamente – moltissimi nuovi impianti.
Invitiamo i nostri interlocutori che invocano “scientificità e dati” a documentarsi in materia, perché i dati sono impressionanti: sempre nel decennio 2000-2009 la potenza efficiente lorda degli impianti termoelettrici è passata da 56,4 a 78,8 MW, con un incremento quindi del 39,7%. A ciò si deve aggiungere l’ormai abbastanza rilevante apporto delle fonti rinnovabili (soprattutto eolico e rifiuti). L’Italia è quindi chiaramente oggi in una situazione di overcapacity e le attuali centrali sono sufficienti per coprire il fabbisogno dei prossimi trenta-quarant’anni e probabilmente di sempre se, come assai verosimile, si sarà nel frattempo raggiunto il livello di saturazione dei consumi.
Ultima notazione: l’attuale ancora consistente livello delle importazioni non deve trarre in inganno. Hanno solo motivazioni economiche: corrisponde a vecchi contratti ancora in essere e assai convenienti, soprattutto con la Francia e con la Svizzera. D’altronde un certo livello di importazioni si può ritenere fisiologico e persino auspicabile e iniziative in materia sono già programmate e in corso di realizzazione: solo che in Italia rischiano di aggravare la già menzionata situazione di overcapacity.
2 – Le centrali nucleari sono antieconomiche
Gli “economics” delle centrali nucleari si dispiegano lungo un arco di tempo lunghissimo, che non ha eguali per nessun altro tipo di impianti industriali: si tratta infatti di circa un secolo.
Servono 10 anni per costruirle (6 o 7 se volete essere ottimisti), poi ci sono 40 anni di esercizio, poi 50 anni di decontaminazione ed infine si giunge allo smantellamento.
Quando si è cominciato a costruire impianti nucleari – circa 50 anni fa e più – questi due ultimi costi (periodo di decontaminazione e smantellamento) erano stati enormemente sottovalutati. Oggi in Europa (e nel mondo, ma fermiamoci all’Europa) molti impianti sono alla fine del periodo di esercizio e quindi il “decommissioning” (decontaminazione+smantellamento) è un problema da affrontare e i suoi costi si stanno rivelando altissimi, anzi impressionanti.
Per i paesi europei che hanno una rilevante presenza nucleare il problema oggi non è quello di costruire nuovi impianti, neanche semplicemente in sostituzione di quelli che già ci sono, ma come uscire da questo cattivo affare col minor danno possibile. Non ci risulta affatto il fervore di nuovi ordini menzionato nella vostra “lettera aperta”.
Noi siamo usciti da questo guaio 23 anni fa: perché rientrare proprio ora che gli altri cercano faticosamente di uscirne?
3 – Centrali nucleari ed emissioni
Per prevenire una obiezione ai nostri argomenti.
Vero: le centrali nucleari non comportano emissioni di gas di serra, in particolare di CO2. Ma:
1 – A confronto con gli altri maggiori paesi europei (con l’eccezione della Francia naturalmente) l’Italia presenta nel settore elettrico tra i più bassi livelli di emissione specifica (grammi di CO2 per kWh prodotto).
2 – Sembra manifestamente improponibile costruire nuove e costosissime centrali nucleari solo per abbassare i livelli di emissione: la cosa si può fare in altri e più economici modi.
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