Un'anticipazione dal libro “L’economia come scienza sociale e politica” (Aracne, 2010)
Il primo capitolo del volume “L’economia come scienza sociale e politica” che qui si presenta parte dall’idea che sogno degli economisti è quello di quello di individuare, spiegare, interpretare, diffondere “leggi economiche” naturali, immutabili e incontrollabili. Quindi sogno e pratica di molti economisti sono quelli di inventarsi e presentare leggi, comportamenti, relazioni oggettive e naturali attraverso i quali studiare e interpretare i fenomeni economici.
Il grosso problema per gli economisti è però, da sempre, che ciò che ci si aspetta da loro è una spiegazione di quanto avviene nella realtà economica, e anche la proposta di eventuali strumenti per modificare e migliorare una realtà considerata non soddisfacente o non giusta. La scienza economica, come tutte le scienze sociali, si interessa delle relazioni tra gli uomini, e gli uomini, si sa, sono un po’ imprevedibili e litigiosi, hanno comportamenti che non rientrano nei comodi schemi di razionalità ipotizzati dagli economisti: la realtà spesso va per proprio conto non rispettando la teoria economica. Insomma la realtà non rispetta le leggi.
Questo fenomeno porta a due conseguenze, di segno opposto, ma entrambe gravi. La prima è relativa a un crescente distacco dell’analisi teorica economica dalla realtà: il sistema economico di riferimento dell’analisi diventa cioè sempre più astratto, e le ipotesi semplificatrici diventano uno strumento che, invece di essere utilizzato per isolare da una situazione complessa i problemi più importanti, ha come fine a sé la possibilità di applicazione degli strumenti analitici, con un ribaltamento della relazione strumento-obiettivo.
Il secondo fenomeno è che, mentre tali livelli di sofisticazione rimangono ristretti al dibattito accademico, la società civile si trova ad affrontare problemi e domande sul funzionamento di una economia reale. Si è quindi sviluppata una tendenza, senza dubbio da parte dei mass media e molto spesso anche della classe politica, ad appropriarsi, divulgare e malauguratamente a tramutare in interventi di politica economica alcuni dei risultati provenienti da ricerche che si basavano sulla costruzione di sistemi economici e di individuazione di leggi comportamentali del tutto irrealistici. I risultati così “volgarizzati”, che spesso diventano luoghi comuni di massa e di mass media, sono strettamente dipendenti dalle ipotesi irrealistiche che stanno alla base del modello utilizzato per ottenerli. Siamo quindi in presenza di un fenomeno che, da una parte, vede una sempre maggiore astrattezza ed estraneità ai problemi reali da parte della letteratura economica accademica e, dall’altra, una volgarizzazione di queste teorie e leggi che, isolate dal proprio contesto, diventano inutili luoghi comuni o veri e propri errori.
La via alternativa non è facile: la cosa migliore dovrebbe essere, per gli economisti che non si riconoscono in questa tendenza, quella non tanto di parlarne, ma di praticarla; se un approccio alternativo è veramente efficace, avrà in sé la capacità di affermarsi. Purtroppo un meccanismo del tipo: “le idee buone automaticamente cacciano quelle cattive”, che, come è noto, non si adatta al mondo politico, non funziona neanche nel mondo accademico. La possibilità in astratto di discernere ciò che è buono da ciò che è cattivo è molto difficile, se non impossibile: spesso in economia, come in tutte le relazioni tra gli uomini, ciò che è bene per gli uni può essere male per gli altri, le verità oggettive sono ben poche.
Sta di fatto che i meccanismi di selezione delle idee seguono percorsi tortuosi, conflittuali e di potere ben diversi da un confronto ideale e aperto. Forse ciò è inevitabile, basta però ricordare che le idee che vincono e dominano in economia non rappresentano improbabili leggi oggettive e immutabili, ma solamente quelle che meglio rispecchiano i rapporti di forza istituzionali, politici e accademici, indipendentemente dalla loro capacità di comprendere la realtà dei fenomeni economici.
In questo capitolo del volume sono raccolti tre interventi, il primo relativo alla mia critica generale, vicina allo sfogo, della deriva che la teoria economica negli ultimi decenni ha preso; degli altri due, il primo descrive uno schema generale dal quale, a mio avviso, è possibile partire per portare di nuovo la teoria economica a interessarsi della interpretazione della realtà, ritornando a essere considerata una scienza sociale e politica e quindi con un ampio uso della multidisciplinarietà; il secondo scritto è relativo al rapporto chiave tra ecologia ed economia, rapporto a mio avviso in grado di essere affrontato proficuamente soltanto da una teoria economica che abbandoni quasi completamente le impostazioni teoriche mainstream.
da Paolo Palazzi, “L’economia come scienza sociale e politica”, Aracne, 2010
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