Nonostante la diminuzione del tasso di crescita del Pil, il livello di disoccupazione nel paese scende mentre i salari crescono ad un ritmo abbastanza sostenuto
Chi si è occupato in qualche modo dello sviluppo dell’economia brasiliana in questi ultimi anni non può non essere rimasto colpito dal netto contrasto registrabile, da una parte, tra una riduzione significativa nei tassi di sviluppo recenti dell’economia del paese e invece, dall’altra, dall’andamento ancora molto favorevole, a tutti i livelli, del suo mercato del lavoro.
Per quanto riguarda il primo fenomeno, va ricordato che il pil del paese era cresciuto tra il 2003 e il 2010 ad un tasso annuo medio del 4 per cento. Si tratta certo di un valore abbastanza inferiore a quello di paesi come la Cina o anche l’India nello stesso periodo, ma va sottolineato chi si trattava comunque di un ritmo sempre interessante se si considera la storia del paese negli ultimi decenni e se si tiene anche conto del fatto che il livello di partenza della sua economia e il suo pil pro-capite erano ben superiori a quelli delle due nazioni asiatiche citate.
Del resto, tale tasso di crescita si accompagnava a importanti misure sul fronte sociale che tendevano a ridurre in qualche modo le diseguaglianze e ad accrescere comunque il livello di vita dei più disagiati.
Invece, a partire dal 2011, i ritmi di sviluppo dell’economia si sono ridotti in misura rilevante. Si avrà così un aumento del pil del 2,7% nel 2011, dell’1,0% nel 2012 e forse un po’ meno del 2,5% nel 2013. La borsa è in calo rilevante, mentre il livello degli investimenti appare abbastanza deludente.
La buona crescita dell’economia è stata attribuita a suo tempo a molteplici fattori, quali una forte domanda e a prezzi elevati delle materie prime di cui il paese è ricco, lo sviluppo dei consumi interni, favorito, oltre che dalla stessa crescita del reddito, da un credito bancario abbondante, infine un importante afflusso di capitali esteri; il Brasile è stato per diversi anni anche di moda tra gli investitori internazionali. Hanno contribuito in positivo allo sviluppo anche le politiche sociali e di tipo redistributivo attuate dal governo Lula nel tempo.
Ora quasi tutti questi fattori presentano dei segnali di difficoltà, se non di blocco e il paese deve riuscire a trovare un nuovo mix di politiche su cui basare uno sviluppo ulteriore dell’economia.
La crescita dell’occupazione
Un discorso diverso deve essere invece fatto per quanto riguarda le questioni legate all’occupazione.
In effetti, nonostante la diminuzione recente della dinamica di aumento del pil, il tasso di disoccupazione del paese ha continuato a scendere nel tempo ed ora esso, alla fine del 2013, si presenta ad un livello basso record nella sua storia, intorno al 5,5 per cento, mentre i salari crescono parallelamente ad un ritmo abbastanza sostenuto. Va considerato che nel 2003 la percentuale dei senza lavoro si collocava al livello del 12,8 per cento, che essa era ancora superiore al 10 per cento sino all’inizio del 2005 e che era poi scesa al 9,2 per cento nel 2007 e al 6,0 per cento circa nel 2011 (fonte: Fondo Monetario Internazionale).
Ancora nell’ottobre del 2013 il livello della disoccupazione si posizionava al 5,2 per cento della forza lavoro (fonte: Ibge, istituto di studi geografici e statistici brasiliano).
Un quadro meno positivo si configura per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, che si colloca ancora come vicina al 15 per cento.
Parallelamente, il totale della forza lavoro del paese non cessa di crescere in misura rilevante da molti anni. Esso era pari a 79 milioni di persone nel 1999, era salito a 90, 4 nel 2005, sino a 101,7 nel 2009, a 103,6 nel 2010, 104,7 nel 2011, infine a circa 107,0 nel 2012 (fonte: Cia). La percentuale della forza lavoro sul totale della popolazione in età lavorativa raggiungeva già il 70 per cento nel 2010 (fonte: Us Department of Labor).
La qualità del lavoro
Anche la qualità del lavoro sta migliorando. Non si tratta soltanto del rilevante incremento della qualificazione e dell’istruzione della manodopera in generale. Un altro dato interessante è quello che mostra come la percentuale delle persone che lavorano nel settore informale stia tendendo a ridursi grazie alla crescita dell’economia. Sino a poco tempo fa si valutava che la parte dell’attività in nero coprisse il 40 per cento dell’economia nel 2009 e riguardasse ancora, nello stesso anno, il 38,2 per cento dei lavoratori; ma uno studio recente stima che il settore copra, in realtà, il 17 per cento dell’economia totale e che il numero delle persone che vi lavorano si collochi nel 2009 intorno al 22,9 per cento del totale (contro il 25,8 per cento del 2003), con tendenza ad una ulteriore diminuzione di tale percentuale nel tempo (De Holanda Barbosa Filho, 2013).
In ogni caso, l’offerta di lavoro continua a crescere in tutti i settori dell’economia e senza riguardo al sesso o alla razza delle persone. Così nel 1960 solo 17 per cento delle donne lavorava fuori casa, uno dei tassi di occupazione più bassi dell’America Latina, mentre oggi circa i due terzi di esse hanno un lavoro, ormai uno dei livelli più alti della regione. Contemporaneamente le donne brasiliane sono sempre più qualificate ed in media oggi le ragazze studiano più a lungo che i ragazzi; tre quinti dei laureati recenti sono donne (The Economist, 2013). La forte crescita della componente femminile nella forza lavoro è dovuta anche alla mancanza di alternative per i datori di lavoro in presenza di una domanda di occupazione relativamente ridotta. La percentuale di donne sul totale della forza lavoro aveva raggiunto il 43,6 per rcento nel 2010 (fonte: Us Department of Labor), con tendenza ad un’ulteriore crescita negli ultimi anni.
Un’area problematica è invece quella dei lavoratori a contratto, che sono occupati in genere nel settore dell’outsourcing; essi sono oggi nel paese circa 11 milioni e non hanno gli stessi diritti che sono garantiti ai lavoratori normali. In media lavorano 3 ore al giorno in più e guadagnano il 27 per cento in meno, mentre 8 su 10 incidenti sul lavoro li riguardano (Monteiro, Jaquinto, 2013). Sono in corso discussioni sul tema tra governo e parti sociali, ma le vedute di sindacati ed imprenditori sono molto differenti.
Le stesse discussioni si rilevano per quanto riguarda il tema della durata dell’orario di lavoro. Oggi essa è fissata per legge in 44 ore settimanali, anche se circa il 50 per cento dei dipendenti, per accordi aziendali, lavorano di fatto 40 ore. Ma l’idea di abbassare l’orario settimanale per tutti incontra l’ostilità padronale; ufficialmente si teme un rilevante incremento dei costi del lavoro senza un parallelo aumento della produttività.
Perché tale andamento
I teorici neoliberisti hanno sostenuto a lungo che l’esistenza di un elevato livello di disoccupazione nel paese fosse ascrivibile ai molti vincoli presenti nella legislazione del lavoro brasiliana (conosciamo bene la musica), in particolare alla presenza di un salario minimo, di contributi sociali elevati (essi ammontano oggi a circa il 65,3 per cento dei salari), di molti altri diritti ottenuti nel tempo dai lavoratori. Ma pur con il fatto che tali fattori permangono inalterati ancora oggi, la disoccupazione è comunque fortemente diminuita.
Gli elementi che in realtà spiegano l’apparente divaricazione tra andamento dell’economia e tendenze dell’occupazione sono molteplici (Rapoza, 2013, a). Per l’autore, l’offerta di lavoro diminuisce in relazione alla riduzione dei tassi di natalità della popolazione e alla tendenza all’aumento nel numero degli anni di studio dei giovani. Così la proporzione dei brasiliani con 9 o più anni di scuola rispetto a quelli con 9 o meno è passato dal 47,8 per cento del 2001 all’80,8 per cento nel 2009.
Sempre per lo stesso autore, intanto, la domanda aumenta in relazione alla crescita del settore di servizi, che è molto più labor intensive rispetto a quelli tradizionali.
Qualcuno pensa che bisogna considerare nel quadro anche la bassa crescita della produttività del lavoro e il fatto che il passaggio di molti lavoratori dall’economia informale a quella ufficiale dia la sensazione che vengano creati dei nuovi posti di lavoro quando in realtà a volte questo non avviene.
Il livello dei salari
Ad ogni modo chi vuole lavorare trova ancora oggi occupazione in maniera relativamente facile e nel paese si registra in particolare una penuria importante di personale qualificato.
La McKinsey ha pubblicato uno studio sul mercato del lavoro brasiliano e sulle sue prospettive (Renard, 2013) che sottolinea come sia prevedibile una rilevante carenza di lavoratori qualificati in tutti i settori dell’economia ancora da qui al 2020.
Anche in relazione a questo fenomeno i salari e gli stipendi medi non cessano di aumentare in misura rilevante. Per altro verso nessuno in Sud America guadagna come un lavoratore brasiliano (Rapoza, 2013, b). L’aumento delle retribuzioni supera normalmente e in misura ragguardevole nel paese i livelli di inflazione, sia per l’aumento continuo del salario minimo che per il forte aumento dell’offerta di lavoro a fronte di carenze nella domanda.
In ogni caso, tra il 2003 e il 2012 i salari medi sono aumentati del 25,7 per cento in termini reali (fonte:Ibge)e il salario minimo è contemporaneamente cresciuto molto di più.
Conclusione
L’economia brasiliana e il suo mercato del lavoro sono oggi arrivati ad un bivio, come peraltro altre volte nella storia recente.
Molti pensano che con la caduta dei tassi di crescita dell’economia, se essa in particolare dovesse continuare, il livello della disoccupazione potrebbe aumentare nei prossimi anni e la lievitazione dei salari per lo meno fermarsi, almeno in termini reali; in effetti, nel 2012 il paese ha registrato 1,1 milioni di nuovi posti di lavoro contro i 2,2 milioni creati nel 2011 (Rapoza, b, 2013). Qua e là sembrano manifestarsi dei segni di un rallentamento nel trend positivo. Il settore dei servizi, che assicurava l’assorbimento della gran parte della forza lavoro, sta rallentando e le offerte di lavoro si vanno apparentemente un po’ rarefacendo.
A questo punto appare urgente soprattutto trovare una strategia efficace per il rilancio dell’economia, affrontando adeguatamente alcuni dei mali storici del paese, come hanno sin troppo bene ricordato al governo i numerosi manifestanti di qualche mese fa.
Testi citati nell’articolo
-De Holanda Barbosa Filho F., An estimation of underground economy in Brazil, Brazilian Institute of Economics (IBRE), gennaio 2013
-Monteiro S., Jaquinto K., Where is the labor market heading?, Brazilian economy, n. 9, IBRE, settembre 2013
-Rapoza K., In Brazil strong labor market, weak economy, www.forbes.com, 5 marzo 2013, a
-Rapoza K., In Brazil red hot labor market begins to cool, www.forbes.com, 10 novembre 2013, b
-Renard A., Le marché du travail brésilien en 2020: pénurie de travailleurs qualifiés? L’étude de McKinsey, www.mylittlebrasil.com, 2013
-The Economist, Amazons at work, 30 giugno 2012
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