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La crisi e il ruolo delle banche centrali

26/11/2013

In un periodo di basso sviluppo economico e di basso livello di inflazione, in cui la politica è sostanzialmente assente, le banche centrali si sono viste affidare obiettivi sempe più ampi

Due articoli recenti scritti da due dei più noti esperti e divulgatori di cose finanziarie a livello internazionale ci possono aiutare a riflettere in generale sulla situazione attuale delle banche centrali, almeno in occidente, e sulle politiche che in particolare dovrebbe seguire oggi la Bce. Gli autori ne sono rispettivamente Mohamed El-Erian (El-Erian, 2013) e Wolfang Munchau (Munchau, 2013).

Parallelamente, due altri testi, anch’essi recenti, questa volta di Paul Krugman (Krugman, 2013) e di Martin Wolf (Wolf, 2013), si occupano invece delle prospettive delle economie occidentali, che essi vedono come certamente poco rosee. Questi ultimi due articoli si collegano poi agevolmente ai due precedenti e aiutano, insieme agli altri, a comporre un quadro non entusiasmante della situazione.

Presentiamo una sintesi dei testi citati con qualche breve commento.

Cosa devono e possono fare le banche centrali

L’articolo di El-Erian, di carattere più generale, riflette intanto sul fatto che i governi occidentali, una volta molto gelosi del potere delle banche centrali, ora, in particolare dopo lo scoppio della crisi, sono felici invece che esse compensino le lacune e le difficoltà dell’azione politica.

Le banche centrali si sono viste così affidare negli ultimi anni, in via ufficiale o ufficiosa, obiettivi sempre più ampi sui fronti della stabilità finanziaria, della spinta allo sviluppo economico, della riduzione dei livelli di disoccupazione. A detta dell’autore quasi tutti i banchieri centrali hanno abbracciato con molta riluttanza questo loro nuovo ruolo e la rilevante visibilità acquisita.

In ogni caso, spinte dalle crescenti difficoltà della politica, le stesse banche hanno acquisito una più grande autonomia operativa e una relativa indipendenza politica. Ma ad ogni nuovo passo sulla strada dell’intervento, esse pensavano che con le loro azioni avrebbero concesso più tempo ai politici perché essi arrivassero a decidere; si sono ritrovate invece, di fronte all’inazione e alle rinunce dei loro interlocutori, a dover agire ancora per concedere ai politici ancora più tempo.

Ma, d’altro canto, le stesse banche centrali sono consapevoli dei limiti della loro azione e degli strumenti che essi sono in grado di adoperare. La situazione appare dunque di stallo.

Certo, i problemi presenti in questa situazione scomparirebbero se le banche centrali fossero capaci di ottenere i risultati di una ripresa economica durevole, di una rilevante riduzione della disoccupazione, di condizioni finanziarie stabili e di un benessere più equamente distribuito. Ma le banche centrali non possono ottenere questi risultati da sole. Su molti indispensabili fronti deve intervenire la politica.

Una situazione piena di rischi e di difficoltà

L’articolo di Munchau parte invece dalla constatazione di come gli ultimi non positivi dati sull’andamento economico dell’eurozona mostrino che quello che ci aspetta è un periodo di basso sviluppo economico e di troppo basso livello di inflazione.

In questo quadro, cosa deve e può fare la Bce? Certo, essa può tagliare ancora i tassi di interesse, ma nell’attuale situazione questo non è certo sufficiente. Se Draghi vuole veramente far qualcosa, afferma Munchau, egli deve varare un programma di quantitative easing.

La prima ragione che mostra la necessità di un tale intervento è appunto legata alle non brillanti prospettive economiche e alla minaccia deflazionistica. La seconda, alla mancanza di strumenti alternativi dopo il prossimo eventuale taglio dei tassi di interesse. La terza ragione, infine, ha a che fare con la promessa fatta qualche tempo fa dallo stesso Draghi di diventare nella sostanza un prestatore di ultima istanza, con il meccanismo della Omt che egli ha lanciato lo scorso anno.

Ora, se la Omt ha perso credibilità, bisogna rivolgersi ad un altro programma di acquisti di asset. Così la Bce acquisterebbe titoli pubblici e privati, acquisti che si potrebbero estendere, anche se con meccanismi indiretti, anche alla piccole e medie imprese.

Senza questo programma l’eurozona si troverebbe appunto bloccata in una situazione di bassa crescita e di troppo bassa inflazione, se non di deflazione.

Nella sostanza, così, Munchau invoca comunque l’intervento della Banca Centrale, di nuovo in una situazione, come già sottolineato da El-Erian, in cui la politica appare ancora una volta sostanzialmente assente.

Un blocco permanente dello sviluppo delle economie occidentali?

L’articolo di Munchau ci ricorda l’esistenza di minacce concrete di una stagnazione economica nell’eurozona.

Chi scrive pensa da tempo che il destino che aspetta l’intera economia occidentale, e non solo l’eurozona, è presumibilmente, in un orizzonte temporale di lungo termine, quello di un sostanziale blocco, alla giapponese. Ora un importante articolo di Krugman sembra rafforzare in chi scrive tale idea. Tanto più che anche Wolf sembra ormai vicino a tali conclusioni.

Krugman sottolinea infatti che, mentre tutti si aspettano un ritorno alla normalità, con una ripresa, prima o poi, dell’economia, tale ripresa potrebbe non esserci in alcun modo e la stagnazione registrata negli ultimi cinque anni potrebbe diventare la nuova normalità dei prossimi decenni per le economie occidentali.

L’autore fa riferimento, tra l’altro, ad un recente discorso di Larry Summers, già segretario al Tesoro con Clinton, nell’ambito di un incontro che si è avuto di recente al Fondo Monetario Internazionale.

Nonostante che la crisi finanziaria sia passata da tempo, afferma Summers (ma questa affermazione vale peraltro più per gli Stati Uniti che per l’Europa), l’economia occidentale rimane depressa. Prima della crisi si registrava una grande bolla dell’immobiliare e del debito, come conferma lo stesso Krugman, ma nonostante questo l’economia andava soltanto moderatamente bene. Noi, affermano Summers e Krugman, abbiamo ormai una situazione in cui la normalità è costituita da una carenza di domanda e da una moderata depressione; ci si avvicina al pieno impiego solo quando si gonfia qualche bolla.

Perché questo sta succedendo?

Krugman fa riferimento intanto al rallentamento nella crescita della popolazione; ma bisogna ricordare che questo vale peraltro per la situazione statunitense, mentre in diversi paesi europei ed in Giappone siamo ad una sua riduzione, ciò che peraltro rafforza le argomentazioni dell’autore. Una popolazione che cresce spinge normalmente in alto la domanda.

Un altro fattore causale ha a che fare con i persistenti deficit commerciali. Ma, aggiungiamo noi, nella situazione europea questo fattore vale di meno e bisognerebbe semmai far riferimento alle politiche di austerità.

Al discorso di Summers, sostanzialmente condividendolo, fa riferimento nella sua analisi anche Wolf.

L’autore elenca tre aspetti importanti e negativi della attuale situazione economica occidentale.

Il primo è quello che la ripresa dalla crisi è stata decisamente debole, nonostante, in particolare negli Stati uniti, delle politiche monetarie ultra-espansionistiche. Il secondo ha a che fare con il fatto, già sottolineato da Krugman, che le economie occidentali avevano sperimentato prima della crisi un rilevante aumento dei livelli di indebitamento, mentre anche alcuni governi avevano adottato politiche di bilancio espansionistiche. Ma tutto questo non aveva prodotto grande espansione economica né alti livelli di inflazione. Il terzo fattore, infine è relativo al fatto che i tassi di interesse a lungo termine erano rimasti a livelli molto bassi.

Wolf ne conclude che quindi, anche ritornando ad un sistema finanziario sano e riducendo il livello di indebitamento presente prima della crisi, appare improbabile che si torni ad una piena ripresa dell’economia.

La ricetta a tale stato di cose, suggerita da Summers e approvata da Wolf, appare quella di aumentare gli investimenti privati ed anche pubblici, approfittando anche della esistenza a livello mondiale di grandi livelli di risparmio in cerca di impiego.

Siamo sostanzialmente d’accordo; ma almeno per l’Europa bisognerebbe dirlo alla Merkel.

 


Testi citati nell’articolo

-El-Erian M., Have we overestimated the power of the central banks?, www.theguardian.com, 13 novembre 2013

-Krugman P., A permanent slump?, www.nytimes.com, 17 novembre 2013

-Munchau W, Why Europe needs to try unconventional policy, www.ft.com, 17 novembre 2013

-Wolf M., Why the future looks sluggish, www.ft.com, 19 novembre 201311

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