Ripresa o stagnazione in vista? Una bussola per orientarsi nel grande mare dei numeri che arrivano. E che trovano troppe letture interessate
“…Non abbiamo il potere di fuoco finanziario necessario per sollevare in qualche modo questa economia…”
H. Kaufman
“…riuscire a far respirare qualcuno può non essere sufficiente a riportarlo in salute…”
F. Norris
Premessa
E’ proprio vero che i germogli della ripresa crescono e si rafforzano, come sembrano suggerire diverse fonti più o meno interessate? Certo quello attuale appare un momento di disorientamento nell’opinione pubblica, che non riesce a capire bene come siano veramente messe le cose con la crisi in atto. In queste brevi note cerchiamo quindi di districarci attraverso una valanga di dati ed informazioni, in parte almeno ambigui, che vengono resi pubblici a getto continuo.
Come va veramente l’economia
- La Cina e l’India
Se diamo uno sguardo all’andamento dell’economia a livello mondiale, ci accorgiamo intanto come, apparentemente, quella cinese e quella indiana abbiano ripreso a tirare in maniera sostenuta, anche se resta ancora qualche incertezza in proposito e anche se alcune cifre appaiono, in parte almeno, in controtendenza. Le previsioni sul pil cinese per il 2009 fatte dai grandi istituti internazionali e dalle grandi banche globalizzate sono in questo momento comunque allineate con quelle ufficiali governative, che parlano di una crescita attesa dell’8% -qualcuno si spinge audacemente a prevedere anche un po’ di più di tale livello -, mentre, per quanto riguarda l’economia indiana, essa nel primo trimestre del 2009 è cresciuta del 5,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e non si vede perché debba rallentare il suo ritmo nei prossimi mesi, tra l’altro relativamente isolata come essa è dall’economia del resto del mondo.
Lo sviluppo sostenuto di queste economie, in particolare di quella cinese, porta e porterà dei benefici rilevanti effetti anche su quelle di altri paesi appartenenti al continente asiatico – si parla ormai a questo proposito di “effetto Cina” (Gamham, 2009) -, ma tale crescita, per le stesse dimensioni complessive dell’economia dei due paesi, non è tale peraltro da poter riuscire a trainare il resto del mondo. Comunque, tali sviluppi stanno portando ad un nuovo aumento dei prezzi internazionali delle materie prime e del petrolio – si intravede ormai di nuovo per quest’ultimo la soglia dei 75 dollari al barile-, nonché dei noli marittimi e di qualche altro valore in gioco.
- E il resto del mondo?
Ma a parte queste aree geografiche e questi settori per alcuni versi “privilegiati”, cosa sta succedendo nel resto del mondo?
In queste settimane tante buone notizie sono pubblicate dalla stampa, specializzata e non. Sembra quasi che ci avviamo veramente verso un altro periodo di prosperità e benessere, mentre anche per quanto riguarda l’Italia si registrano informazioni incoraggianti non solo sulle tv di Berlusconi (sostanzialmente tutte) o sui suoi giornali. Da tutte le parti si scrutano con estrema attenzione i vari tipi di germogli che sembrano spuntare in maniera inarrestabile qua e là dal terreno.
Così come ci racconta l’Economist, peraltro con una punta di perplessità (The Economist, 2009, a), in pochi giorni abbiamo sentito che la produzione industriale coreana continua a riprendersi, che in Giappone essa è cresciuta in aprile del 5,2%, che negli Stati Uniti si mette contemporaneamente in evidenza come le cifre relative alla riduzione del pil nel primo trimestre dell’anno siano state di recente riviste e come esse appaiono ora un po’ meno negative rispetto ad una prima valutazione; intanto in Europa il pil polacco è aumentato dello 0,8% nel primo trimestre, mentre in Germania, in aprile le vendite al dettaglio sono cresciute dello 0,5% e mentre l’indice dei prezzi delle abitazioni in Gran Bretagna è salito sia a marzo che a maggio, dopo un lungo periodo di caduta libera.
Indubbiamente la situazione non appare più così drammatica come alcuni mesi fa. Ma sulla strada della possibile e auspicata crescita vigilano alcuni grossi macigni, quali quelli rappresentati dal grande livello di indebitamento delle famiglie in diversi paesi, dalla crisi bancaria, senza la cui risoluzione è illusorio trovare una via della crescita per l’economia reale, infine dalla depressione delle esportazioni registrabile in tutto il mondo. Resta, tra l’altro, da capire come faranno, nell’attuale situazione, paesi come il Giappone, la Germania, la Spagna, la Gran Bretagna, per non parlare dell’Italia - che doveva convivere con un’economia stagnante già prima della crisi-, a ritrovare un qualche cammino di sviluppo non accidentato nei prossimi anni. Nessuno sa spiegarcelo in maniera convincente.
Ma guardiamo un po’ più da vicino alla situazione e alle prospettive di Stati Uniti ed Europa.
- Gli Stati Uniti
Sin dai primi anni ottanta, il livello della spesa dei consumatori americani è cresciuto più velocemente del pil, ponendosi come il principale motore dell’espansione economica statunitense e del mondo. Nel 2006 i consumi rappresentavano ormai il 76% del pil del paese, una cifra elevata in maniera persino imbarazzante, se confrontata con quella di altri paesi – l’incidenza dei consumi sul pil cinese si aggirava nello stesso anno intorno alla metà di quello statunitense. Questa crescita dei consumi, in mancanza di un parallelo aumento dei redditi, si è accompagnata ad una forte diminuzione del tasso di risparmio delle famiglie ed ad un progressivo aumento del loro livello di indebitamento, sinché tale ultimo livello ha raggiunto il 133% del pil nel 2007 (The Economist, 2009, b).
Ma nel 2008 la ricchezza degli americani è diminuita di circa il 18%, ovvero di circa 11 trilioni di dollari (The Economist, 2009, b), per la svalutazione dei prezzi delle case, dei titoli di borsa, della situazione patrimoniale dei fondi comuni e dei fondi pensione. La crisi ha inoltre cancellato o ridimensionato molti degli strumenti che avevano contribuito a finanziare questa espansione, a partire dai mutui, subprime o meno e dalle carte di credito.
Mentre da una parte è più difficile trovare credito, dall’altra i consumatori sono costretti a ridurre comunque il loro livello di indebitamento sia in relazione alla diminuzione del valore della loro ricchezza che del loro reddito. Questo processo in atto richiederà che i livelli di consumo crescano meno di quelli dei redditi per almeno un certo numero di anni futuri. D’altro canto, appare difficile che il ridimensionamento dei consumi possa essere controbilanciato dalla crescita delle esportazioni o da quella degli investimenti. Si tratta di una situazione apparentemente senza sbocchi, considerando anche che la capacità di spesa del governo americano sembra aver raggiunto ormai una soglia difficilmente difendibile. O qualcuno ha qualche coniglio da estrarre dal cappello?
- L’Europa
E veniamo al nostro continente.
Secondo le ultime previsioni, mentre il pil degli Stati Uniti si dovrebbe contrarre del 2,9%, quello dell’UE dovrebbe diminuire all’incirca del 3,6% nel 2009, quindi in misura più sostenuta. Ora, i paesi europei hanno sofferto per il crollo delle esportazioni della Germania, l’economia più importante del continente, per il ridimensionamento della domanda interna in seguito allo scoppio della bolla, per la crisi in particolare dei paesi dell’Europa Centrale ed Orientale, infine per la vulnerabilità delle banche europee, esposte sia nei confronti della crisi Usa che di quella dei paesi dell’Europa Centrale ed Orientale, mentre dovranno probabilmente nei prossimi mesi far fronte anche alle crescenti difficoltà dei mercati interni. Nessuno si aspettava certo, ad esempio, che i titoli tossici delle banche tedesche raggiungessero e superassero gli 800 miliardi di dollari. Per altro verso, i flussi finanziari del vecchio continente verso i paesi emergenti della stessa area scenderanno dal 9,5% del pil del 2007 allo -0,7% del 2009. Da notare che i crediti delle banche della vecchia Europa nei confronti dell’Europa dell’Est ammontano a circa 950 miliardi di euro (Wolf, 2009).
Il nostro continente è peraltro costellato di imprese fortemente indebitate che hanno bisogno di un rilevante periodo di ristrutturazione (Tett, 2009).
E’ noto infine che normalmente al termine dei periodi di crisi l’economia europea tende, per ragioni strutturali, a riprendersi più lentamente di quella statunitense.
- Le banche e la domanda
Certo i mercati del credito si sono riaperti, almeno un poco. L’emissione di obbligazioni appare in crescita e alcune grandi banche hanno potuto raccogliere miliardi di dollari, in particolare negli Stati Uniti, vendendo azioni, una cosa che sarebbe stata impensabile soltanto alcuni mesi fa. Ma il credito finanziato dai governi ha i suoi problemi, che tenderanno a crescere, mentre sta aumentando rapidamente il numero dei prestiti inesigibili (Norris, 2009). Intanto negli Stati Uniti stanno entrando progressivamente in difficoltà anche i settori delle carte di credito e quello dell’immobiliare commerciale.
Le svalutazioni contabili previste sulle attività bancarie del vecchio continente nel 2009 e nel 2010 ammonteranno perlomeno a 750 miliardi di dollari per l’eurozona e a 200 miliardi per la Gran Bretagna, per non parlare delle risorse necessarie per ridurre in maniera adeguata la leva finanziaria delle stesse banche, stimate in 375 miliardi di dollari sempre per l’eurozona e in 125 miliardi per la Gran Bretagna (Wolf, 2009).
Ricordiamo, in sintesi, che senza una ripresa adeguata del sistema bancario dei vari paesi non sarà possibile alimentare l’economia reale. Ma sia negli Stati Uniti che in Europa numerose banche restano sospese tra la vita e la morte, tenute in piedi soltanto dal sostegno pubblico.
Passando ora all’economia reale, appare improbabile che nel prossimo futuro la domanda dei paesi europei sia trainata dall’espansione della spesa pubblica, che sembra avere ormai raggiunto dei limiti difficilmente superabili, né appare pensabile che la domanda privata si rianimi in maniera significativa specialmente in alcuni paesi. Se si spera invece in una ripresa delle domanda da parte degli Stati Uniti, che trascini con sé le esportazioni dell’Europa, quanto abbiamo detto dovrebbe escludere che sia molto facile che ciò avvenga veramente e in maniera significativa.
Conclusioni
La crisi, cosa su cui concordano la maggioranza degli osservatori, sembra abbia raggiunto il fondo, o lo stia rapidamente raggiungendo; sono stati scongiurati, almeno per il momento, rotture sistemiche e crollo del sistema bancario. Si rileva certamente qualche segnale meno drammatico, mentre, tra l’altro, il ciclo delle scorte sembra giocare finalmente in senso positivo sulla produzione industriale; ma, una volta esaurito il processo di restocking, non è certamente detto che si presenti all’appuntamento una domanda accresciuta (Pimlott, Gua, 2009).
A questo punto, comunque, si discute di quale forma potrebbe avere la ripresa, se essa potrebbe assumere la forma a V, ad U, a W, o ad L. Pochissimi credono che essa possa ripartire secondo schemi prossimi alle prime due lettere citate. L’ipotesi avanzata ad esempio dalla Tett (Tett, 2009), che ci sembra abbastanza condivisibile, è quella che essa possa mostrare invece una forma simile alla prima parte di una W, per poi spostarsi nella sostanza sulla L; in altri termini, si assisterebbe entro la fine dell’anno, o poco oltre, ad un po’ di ripresa dell’economia, ma poi tutto si fermerebbe lì e l’attività stagnerebbe ai nuovi livelli.
Il problema, di nuovo, appare quello che non si sa come potrebbe essere innescato un nuovo ciclo di crescita almeno relativamente sostenuto. La carenza di domanda e le difficoltà del settore finanziario e dei bilanci pubblici tendono ad escludere novità più sostanziali, almeno nei paesi sviluppati. La teoria del decoupling acquisterebbe comunque nel frattempo nuovo vigore.
Testi citati nell’articolo
-Gamham P., Investors sceptical on stock market rebound, www.ft.com, 1 giugno 2009
- Norris F., Credit relief may not last long, The New York Times, 29 maggio 2009
- Pimlott D., Guha K., Robust output data boost markets, www.ft.com, 2 giugno 2009
- Tett G., Recovery not easy as U, V, W, The Financial Times, 29 maggio 2009
- The Economist, The World economy. Drowing, not wawing?, 29 maggio 2009, a
- The Economist, American consumers. Off their trolleys, 7 maggio 2009, b
- Wolf M., Domanda debole, ecco il problema, Il Sole 24 Ore, 28 maggio 2009
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