Incertezze e scommesse dell'economia cinese: la ristrutturazione industriale, il piano di rilancio, fino alla proposta di una nuova moneta internazionale
“…traversare il guado a tentoni, di pietra in pietra…”
Deng Tsiao Ping
“…la Cina sembra un treno che sta andando a tutta velocità ma nessuno sa dove sta andando, se ci sarà una qualche fermata, se c’è un capolinea…”
Renata Pisu, 2006
“… crisi ed opportunità vengono sempre insieme…”
Hu Jintao
Premessa
Quando si parla di cifre riferite alla Cina, bisogna sempre ricordare quanto, già agli inizi del Novecento, affermava il geografo francese E. Reclus, che si lamentava di un paese dove mancava secondo lui qualsiasi statistica esatta. La situazione da allora è certamente molto migliorata, me non ci troviamo, ancora oggi, di fronte ad un quadro informativo adeguato. Molte delle cifre citate nel testo sono soggette quindi al dubbio e presentano anche, a volte, un aspetto ambiguo. Ciò porta ad accrescere le incertezze cui oggi ci si trova di fronte nel cercare di analizzare la situazione e le prospettive dell’economia del paese.
L’andamento dell’economia
Prima di tutto, come stanno andando veramente le cose? Giungono nelle ultime settimane dei segnali che sembrano indicare una possibile ripresa a breve termine, anche se essi sono accompagnati da altri elementi meno favorevoli e quindi vanno trattati con cautela. I primi due mesi del 2009 hanno visto un fortissimo aumento del credito, mentre il rischio di una parallela lievitazione delle insolvenze bancarie viene scartato dai responsabili del settore. Gli investimenti sono cresciuti nello stesso periodo del 26,5% rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente – periodo quest’ultimo peraltro caratterizzato da grandi turbolenze atmosferiche che hanno rallentato Il loro sviluppo-, le vendite al dettaglio del 15,2% (China daily, 2009, a), anche se la produzione industriale soltanto del 3,8% (China daily, 2009, b); va peraltro ricordato che tali percentuali sono inferiori rispetto a quelle del mese di dicembre 2008. Aumentano in misura rilevante anche le vendite di auto. Crescono i prezzi di alcune materie prime – ma quelli di altre diminuiscono- e quelli dei noli marittimi, sia pure senza neanche lontanamente avvicinarsi ai livelli di qualche tempo fa.
Intanto la borsa di Shanghai dal primo gennaio al 18 marzo ha registrato una crescita del 22,5%, mentre l’indice dei prezzi al consumo è diventato negativo.
Peraltro, le esportazioni si riducono. Diminuiscono anche gli investimenti diretti esteri. E’ noto, inoltre, che le autorità hanno parlato di 20 milioni di lavoratori che sono tornati nelle campagne per mancanza di lavoro nelle regioni più ricche. Le entrate pubbliche sono diminuite nei primi due mesi dell’anno dell’11,4% (China daily, 2009, c). Bisogna infine ricordare che le difficoltà del settore edile, altro pilastro dello sviluppo negli ultimi anni, non sembrano superate.
Il primo ministro continua a promettere uno sviluppo del pil dell’8% per il 2009. Ma si tratta dello stesso obiettivo quantitativo che viene annunciato imperturbabilmente ogni anno in sede di budget, anche se poi i risultati effettivi sono di solito molto più elevati; ma egli stesso ammette che questa volta si tratta di un traguardo ambizioso. La stima più recente della Banca Mondiale parla invece del 6,5%. Ma il paese sembra aver bisogno di quella soglia magica per mantenere almeno relativamente tranquilla la situazione sociale interna.
Ad ogni modo, ricordiamo come le difficoltà cinesi siano, almeno sino a questo momento, relative alla sola economia reale, mentre lo stato del sistema bancario appare del tutto tranquillo. Come ha sottolineato un dirigente bancario inglese, in Cina c’è solo una crisi, non due.
Va comunque segnalato che nel gennaio del 2009, per la prima volta dopo molto tempo, le riserve valutarie del paese sono diminuite di 30 miliardi di dollari (Pettis, 2009). Il fenomeno viene spiegato con la presenza di flussi di capitali privati in uscita dal paese per timori di una svalutazione dello yuan o perché i loro business si trovano confrontati a delle difficoltà in patria. Se la tendenza dovesse continuare, ci si troverebbe di fronte all’impossibilità per le autorità di continuare a comprare titoli pubblici statunitensi.
I mutamenti di rotta
Bisogna ricordare che i dirigenti cinesi avevano deciso, prima dello scoppio della crisi, di varare un grande, anche se graduale, processo di ristrutturazione dell’economia. Esso puntava, intanto, a frenare uno sviluppo troppo impetuoso - nel 2007 il pil è cresciuto quasi del 13 %, mentre le esportazioni, gli investimenti e l’inflazione stavano esplodendo. Si pensava inoltre di diminuire il peso delle produzioni più tradizionali, consumatrici di risorse ed inquinanti, a favore di quelle più avanzate e leggere, di ridimensionare la bolla immobiliare, di ridurre il peso delle esportazioni, a favore dell’incremento dei consumi interni, spingendo progressivamente allo sviluppo del sistema di welfare –pensioni, sanità, istruzione-, di aumentare in misura rilevante le spese nel settore della ricerca. Si puntava, tra l’altro, a ridurre od annullare gli incentivi all’export, ad aumentare invece i tassi di interesse e il livello delle riserve obbligatorie a carico delle banche, ad incentivare le produzioni nuove, ad accrescere gli stanziamenti nei settori della sanità, scuola, pensioni, in particolare nelle aree rurali, le più sacrificate dallo sviluppo. Ma la crisi, con le difficoltà crescenti di alcune regioni esportatrici, le file dei disoccupati e le necessità impellenti di credito in particolare a favore delle piccole e medie imprese, ha messo in discussione almeno alcune di tali misure. Gli incentivi all’export sono stati così ripristinati, mentre i tassi di interesse e i livelli delle riserve obbligatorie sono stati fortemente ridotti. Dopo un aumento del 21% del rapporto di cambio yuan- dollaro a partire dal 2005, si promette ora di tenerlo stabile. La crisi ha comunque diminuito i livelli di inflazione, che stavano diventando preoccupanti.
Essa spinge così contemporaneamente al freno su alcuni fronti, all’accelerazione invece su altri aspetti dei piani di ristrutturazione complessiva dell’economia, ristrutturazione che comunque il regime sperava di portare avanti con maggiore calma, pensando di avere a disposizione almeno un decennio per farlo. E invece essa appare ora costretta a stringere i tempi e si trova palesemente a disagio.
Le manovre anticrisi
Nessuno è in grado di dire in maniera dettagliata come saranno spesi i soldi del piano di rilancio. Quello che sappiamo è che la cifra stanziata è di 585 miliardi di dollari in due anni e che il deficit di bilancio per il 2009 sarà pari al 3% del pil, una cifra modesta se confrontata con quelli paralleli di alcuni altri grandi paesi. I dubbi sono parecchi. Intanto, non sappiamo quanto di tale spesa è incrementale e quanto si tratta invece di stanziamenti vecchi. Ignoriamo poi quanto di tali somme siano dedicate ai progetti infrastrutturali e quanto alle politiche del welfare – pensioni, assistenza sanitaria, sostegno alle aree rurali, ecc.- e allo stimolo dei consumi. L’impressione è comunque quella che troppo vada al primo settore e troppo poco al secondo, anche se di recente è stato indicato che le somme dedicate a questo ultimo capitolo saranno incrementate rispetto al progetto originario. Non conosciamo adeguatamente neanche gli aspetti ambientali del piano, pure cruciali.
Una cosa è chiara: mentre si stanno approntando dei programmi per tenere a galla business tradizionali, ma fondamentali, quali l’auto, la siderurgia, la petrolchimica, l’edilizia, ecc., il paese sta cercando di spingere l’acceleratore anche in direzione di uno sviluppo più qualificato; questo è mostrato, ad esempio, dal caso del settore delle telecomunicazioni. Il centro mondiale di tale business sta ormai gravitando verso il paese asiatico; la Cina sarà presumibilmente responsabile del 50% degli investimenti nel settore a livello mondiale nei prossimi due anni, con una spesa prevista di almeno circa 50 miliardi di dollari all’anno (Clark, 2009). Intanto, le prime tre banche nella classifica mondiale del settore sono oggi tutte cinesi (Bernard e altri, 2009).
I cinesi criticano gli americani perché essi stanno spendendo dei soldi che non hanno, ma anche il governo del paese sta facendo nella sostanza la stessa cosa (Wei Gu, 2009). Esso metterà in campo soltanto un quarto circa dei soldi necessari per finanziare il piano, lasciando per il resto la preoccupazione ai governi locali, alle banche ed ai privati.
In ogni caso, i responsabili del governo hanno messo in chiaro che faranno di tutto per far decollare di nuovo l’economia, aumentando, se necessario fortemente, gli stanziamenti, cosa che, del resto, almeno dal punto di vista finanziario non sarebbe per loro un grande problema. Il fatto che non lo abbiano ancora fatto indicherebbe che essi sono fiduciosi che la ripresa sia già in atto? O invece essi sono in preda a rilevanti incertezze sul cammino da intraprendere ed anche a rilevanti resistenze politiche sulla strada di nuove riforme?
Alcuni aspetti della dimensione internazionale della crisi
Dato il ruolo attuale del paese nel sistema produttivo e finanziario mondiale, non si può mancare di sottolineare a questo punto almeno due tra i tanti aspetti dei rapporti economici della Cina con il resto del mondo:
1) negli ultimi mesi appare evidente il tentativo da parte occidentale di rilanciare il ruolo del Fondo Monetario Internazionale, organismo verso il quale, per le vicende passate, molti paesi dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina, sentono ormai una ripulsa istintiva. Gli europei vorrebbero che tale organismo moltiplicasse gli sforzi verso i paesi dell’Europa Centrale ed Orientale per non dover cacciare loro tutti i soldi necessari, mentre anche gli Stati Uniti, constatando la loro impotenza finanziaria, sembrano pensare la stessa cosa. Ma attualmente esso ha a disposizione risorse intorno ai 200-300 miliardi di dollari. Ne servirebbero probabilmente mille. Dove prenderli? A parte il solito Giappone, non c’è molto entusiasmo in giro. L’Unione Europea ha promesso di contribuire con 75 miliardi, ma si può esprimere qualche dubbio sull’operatività effettiva di tale promessa. Molti occhi sono puntati sulla Cina, cui si va chiedendo in maniera pressante di intervenire. Ma i responsabili del paese non manifestano una grande fretta in proposito. Essi fanno ora trasparire le ragioni della loro posizione in maniera non ufficiale (China daily, 2009, d). Le obiezioni sono intanto quelle che essi non hanno nessuna voglia di intervenire a favore di alcuni paesi europei in difficoltà, che, tra l’altro, sono tra quelli che hanno manifestato in passato i sentimenti più ostili nei confronti della Cina e delle sue esportazioni; le risorse cinesi dovrebbero essere indirizzate, per i responsabili del paese, in maniera prioritaria all’Africa. I cinesi fanno poi capire che il paese è ancora povero, mentre viene spinto ad intervenire a favore di stati molto più ricchi. Del resto, è scritto sul giornale, sarebbe senza senso aumentare la quota della Cina nel fondo, dal momento che gli Stati Uniti hanno il diritto di veto su tutte le decisioni; quindi, prima di tutto, bisognerebbe abolire tale privilegio, cosa che gli Stati Uniti difficilmente accetteranno. Nella sostanza, alla fine, il paese asiatico, per intervenire, vuole delle contropartite;
2) i responsabili del paese fanno capire che la Cina userà tutte le possibili misure per prevenire una caduta rilevante della domanda estera. Le pressioni in tal senso da parte delle province esportatrici dell’est e del sud sono molto forti. Peraltro, il paese si trova di fronte ad una grande contraddizione e i suoi margini di manovra appaiono ristretti. Mentre gli esportatori premono per una svalutazione dello yuan, una azione di questo genere provocherebbe grandi problemi con gli Stati Uniti e l’Europa. Inoltre si manifesterebbe certamente una fuga di capitali dal paese, che almeno in parte è peraltro già in atto. Ma il problema non riguarda solo i rapporti con i paesi sviluppati. La tensione sembra crescere anche con l’India, che ha posto ostacoli all’ingresso nel paese di alcune categorie di prodotti cinesi, dai giocattoli ai pneumatici, mentre la Cina sperava di collocare in India, oltre che in altri paesi, i prodotti che non riesce più ad esportare in occidente. Incidentalmente, essa è il primo partner commerciale del paese (Wonacott, 2009). Più in generale, il gruppo dirigente sente crescere il protezionismo intorno a sé ed ha ormai la sensazione che la Cina sarà probabilmente il principale obiettivo delle barriere commerciali montanti (China daily, e). Contemporaneamente l’export non era soltanto uno dei motori principali dello sviluppo, insieme agli investimenti, ma era anche un vettore fondamentale di nuove tecnologie e di nuovi posti di lavoro.
Conclusioni
L’economia cinese si trova in un momento di grande incertezza. Se, come qualche indizio sembra indicare, si assistesse ad una sua rilevante ripresa nei prossimi mesi, il paese, pur con tutti i suoi problemi e le sue contraddizioni, avrebbe fatto un grande passo in avanti nell’affermare la sua forza sulla scena mondiale e diventerebbe un nuovo polo di riferimento globale, accanto agli Stati Uniti. In caso contrario, la sua ascesa a coprotagonista dei giochi del mondo si farà un po’ più lenta e presenterà qualche rischio interno in più.
E’ in ogni caso visibile per la Cina, in presenza dei grandi cambiamenti in atto, un enorme problema di ridisegno di nuovi equilibri interni ed internazionali a livello economico, sociale, politico. E i due livelli sono intrecciati strettamente tra di loro.
Un segno della necessaria crescente attenzione a questi aspetti è rappresentato dalle dichiarazioni molto recenti del governatore della banca centrale cinese (Anderlini, 2009), che non propone nient’altro che la sostituzione del dollaro come moneta internazionale di riserva, partendo dai diritti speciali di prelievo emessi dal Fondo Monetario Internazionale. La proposta, che riprende una vecchia idea di Keynes, è enunciata evitando di citare direttamente il dollaro ed indicando una sua possibile piena realizzazione nel lungo termine, con un approccio molto gradualistico. In ogni caso i dirigenti cinesi escono con questa mossa e per la prima volta dall’immobilismo che sembrava caratterizzare le loro prese di posizione internazionali e prendono posizione con forza avendo in mente il prossimo vertice del G20. Traspariva in effetti all’esterno, sino a ieri, la sensazione che essi non avessero molto interesse a cambiare le regole del gioco e comunque a portare allo scoperto la loro sostanziale “complicità negli eccessi dell’ultimo decennio”, mentre la loro risposta alla crisi sembrava mostrare una totale “ mancanza di immaginazione”, in fiduciosa attesa del ritorno dei bei tempi di prima, in altri termini della restaurazione del vecchio ordine precedente alla crisi (Kroeber, 2009).
Testi citati nell’articolo
-Anderlini J., China wants dollar replaced as reserve currency, www.ft.com, 23 marzo 2009
-Bernard S. ed altri, The decade for global banks, www.ft.com, 22 marzo 2009
-Bradsher K., In downturn, China exploits path to growth, The New York Times, 17 marzo 2009
-China daily, Retail sales up 15,2% in first two months, www.chinadaily.com.cn, 12 marzo 2009, a
-China daily, Industrial output growth continues slump, www.chinadaily.com.cn, 12 marzo 2009, b
-China daily, Revenues decline 11.4% in Jan.- Febr., www.chinadaily.com.cn, 14 marzo 2009, c
-China daily, Inject less to IMF, www.chinadaily.com.cn, 17 marzo 2009, d
-China daily, Trade protectionism against China increasing, www.chinadaily.com.cn, 21 marzo 2009, e
-Clark R., China’s $ billion 4G card, www.businessweek.com, 20 marzo 2009
-Dyer G., Exporters press Beijing for help, The Financial Times, 17 marzo 2009
-Kroeber A., China response to crisis is a failure of imagination, www.ft.com, 18 marzo 2009
-Pettis M., Did China experiencing January hot money outflows? www.rgemonitor.com, 20 marzo 2009
-Wei Gu, Beijing gets others to pay the bill, The International Herald Tribune, 12 marzo 2009
-Wonacott P., Downturn heightens China-India tension on trade, The Wall Street Journal, 20 marzo 2009
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