Sulla grande opera del Sud piomba un libro che smonta tecnicamente la fattibilità del ponte a una sola arcata. Un testo per addetti ai lavori, che invece è bene divulgare
Remo Calzona, uno tra i principali progettisti del Ponte sullo stretto di Messina e fino a pochi mesi fa coordinatore del relativo comitato scientifico, ha scritto un volume intitolato "La ricerca non ha fine - Il Ponte sullo Stretto di Messina" (Dei - Tipografia del Genio civile, euron 80). Le note che seguono hanno lo scopo di rendere più facilmente accessibile e comunicabile il testo in questione.
Il Volume, curato dal Professore Ingegnere Remo Calzona, già consulente e coordinatore del Comitato Scientifico della Stretto di Messina, presenta uno studio recente sulle criticità del progetto vigente e cogente del Ponte (2002). Il rapporto introduce anche una nuova proposta progettuale, prospettata da Calzona e collaboratori dopo l’approvazione del preliminare oggi in vigore (2004): essa modifica radicalmente il disegno del ponte, abbandonando l’idea di campata unica da 3.300 metri, per reintrodurre l’ipotesi dei pilastri nello Stretto per una campata centrale più limitata (2000m) e riposiziona il manufatto, anche rispetto alle due sponde (sposta verso sud gli attacchi a terra, lievemente in Calabria, più marcatamente sulla sponda siciliana).
Il volume è evidentemente esito immediato di uno studio tecnico-scientifico ed è destinato esclusivamente ad ambienti accademici e professionali. E’ molto limitata infatti – forse intenzionalmente – la reinterpretazione comunicativa degli esiti dello studio, corredati spesso solo da notazioni strettamente didascaliche e talvolta presentate solo sottoforma di diagrammi, grafici o espressioni analitiche, con pochissimi commenti.
Le critiche al progetto vigente ed i vantaggi della nuova proposta sono presentati nell’ambito ristretto delle elaborazioni effettuate. La rigorosa limitazione di operazioni e risultati all’interno del corpo tecnico-scientifico delle indagini comporta una “reticenza” divulgativa, forse voluta (vista anche la collocazione accademica e soprattutto professionale dello stesso coordinatore, Calzona), che contrasta, però, con la gravità delle critiche al progetto vigente (di cui viene messa in forte dubbio la costruibilità stessa) e con le innovazioni proposte dal nuovo profilo.
La gran parte dei problemi del progetto vigente discende, secondo lo studio, dalla conferma della scelta della campata unica di 3300 metri con un sistema di cavi portanti di lunghezza eccezionale (5300 metri). Nonostante le “migliorie” apportate in sede di approvazione (2004), la funzionalità e la stessa realizzabilità del progetto preliminare rischia di essere messa in crisi in fase esecutiva. Infatti, date le prestazioni richieste al manufatto, atteso il contesto di riferimento, le tecnologie disponibili possono risultare inadeguate alle soluzioni proposte ( come già segnalato da diversi esperti, v. Architetto Italiano,”I dubbi sul Ponte” maggio-giugno 2005). “Quanto sopra non vuol significare che non si potranno fare in futuro ponti da 3300 m di luce, ma i livelli di rischio, le incognite di realizzabilità ed i costi dell’opera raggiungono oggi limiti che suggeriscono scelte di maggiore e documentata affidabilità e di minor costo: è quello che è sempre avvenuto nel passato lungo il cammino dello sviluppo scientifico. Queste indicazioni dovrebbero indirizzare la scelta progettuale verso soluzioni che rappresentano il trend dello sviluppo e del successo attuale, ovvero quelle che, al giorno d’oggi, rientrano nel campo delle scelte consapevoli, affidabili e documentate” (pag 186).
I materiali da costruzione oggi disponibili, attesa la luce estrema del ponte e la eccessiva lunghezza dei cavi portanti, prospettano un sistema strutturale principale (funi-torri-impalcato-pendini verticali) estremamente pesante, che finisce per dover soprattutto sorreggere se stesso. “Il sistema di sospensione della soluzione messa a gara nel 2004 è costituito da quattro cavi di sezione netta di un metroquadrato ciascuno(…) e un peso complessivo di 196.800 tonnellate” (pag.176). Aldilà dei pesi degli altri elementi, la lunghezza delle funi, la luce e le dimensioni degli altri componenti strutturali, si prospetta un sistema di eccezionale pesantezza che contrasta con le necessità di risposta rapida, immediata e armonica richiesta alle prestazioni del manufatto nella sua interezza, così come alle sue molte sezioni, rispetto alle sollecitazioni funzionali, ambientali e atmosferiche che deriveranno dall’esercizio nel contesto particolare dello Stretto.
I rapporti tra l’ampiezza della luce principale e le altre dimensioni sono tali da abbassare la sicurezza prestazionale della struttura, fino alla fase critica. “A questi effetti deve essere aggiunto, nel caso di un cavo per ponte sospeso, l’incremento di carico dei pendini, dovuto all’accresciuta lunghezza e, quindi, al peso proprio, che diventa un’aliquota principale del peso portato, fino a diventare prevalente rispetto al peso dell’impalcato, in prossimità delle torri. Questi effetti sono amplificati quando la luce da coprire diventa rilevante, da cui segue la riduzione di efficienza più che proporzionale rispetto all’incremento di luce del ponte, fino a che il peso proprio del ponte approssima il carico portato”(Calzona-Giuliano, pag.235). come si diceva, il manufatto sorreggerebbe soprattutto se stesso.
La drastica perdita di efficienza prestazionale e funzionale del sistema può mettere in crisi sia l’apparato nel suo insieme, sia le singole parti, sia i collegamenti tra gli elementi di un meccanismo complesso, composto da molte sezioni assemblate. A fronte della “pesantezza” del sistema, le prestazioni richieste potrebbero essere affrontate con un manufatto di dimensioni quali quelle in questione, soltanto in presenza di caratteristiche del materiale maggiormente impiegato – l’acciaio – completamente diverse da quelle oggi in commercio. La campata unica di 3300 metri al centro del sistema-ponte, di cui al progetto vigente, per evitare momenti critici irreversibili, quanto disastrosi, necessiterebbe di acciai molto più leggeri e, nello stesso tempo, più resistenti di quelli oggi disponibili. Ricordiamo che esperti di evoluzione tecnologica dei materiali da costruzione hanno stimato in un secolo e mezzo il tempo necessario per ottenere attrezzature rispondenti alle caratteristiche richieste dal progetto (v. anc. Architetto Italiano, mag/giu 2005). Ulteriori fatti critici derivano dalle tipologie dei collegamenti tra le diverse parti del manufatto che devono essere assemblate “esclusivamente a mezzo di saldature e risulterà di conseguenza pericolosamente vulnerabile alle rotture per sollecitazione di fatica” (Di Maio, 1998) e per iperdeformazioni della geometria. Tale situazione è in grado nuovamente di indurre condizioni critiche irreversibili in decine di elementi dell’apparato strutturale, riguardanti in particolare i collegamenti tra i diversi elementi portanti.
Anche lo studio di Calzona, nella precarietà generale delle condizioni di sicurezza strutturale e di efficienza funzionale dell’impianto, conferma alcuni problemi, già segnalati da altri esperti, che rendono assai improbabile la stessa costruzione e, in particolare, escludono decisamente il funzionamento quale collegamento ferroviario. Ciò è dovuto a numerosi parametri negativi, tra cui alcuni si confermano “insormontabili”: per esempio, le traslazioni laterali dovute all’azione del vento, che, se pur possono essere ridotte da “gonne” di protezione dell’impalcato, accentuano il regime di sollecitazione complessiva sullo stesso; ancora le dilatazioni termiche previste per la trave, le cui traslazioni ortogonali all’asse dei binari, richiederebbero elementi (giunti di circa 7 metri) assai lontani dai materiali esistenti in commercio; o ancora gli eccessi di tensione dovuti al peso sulle deformazioni di configurazione.
Lo studio di Calzona aggiunge altre riflessioni “non strutturanti”, ma decisamente ostative rispetto alla realizzabilità del progetto.
Il rispetto delle reali condizioni sismologiche dell’area: il progetto vigente, infatti, ha totalmente e colpevolmente trascurato la presenza di faglie attive che interesserebbero pesantemente i siti di torri e contrafforti/ancoraggi, specie dalla parte calabrese. “Misteriosamente in questa rappresentazione (……) sono scomparse le faglie sotto le pile, portando a pensare che queste potessero cadere in zone non interessate da faglie. La realtà delle sezioni, fatta nell’ambito degli studi per il progetto di massima, contraddice questa tesi e pone una nuova argomentazione ostativa alla realizzazione del ponte a campata unica proposta dalla Società SdM nel 2002” (pag.150).
La mancata assunzione della reale situazione geomorfologica dell’area:il progetto ha ignorato i numerosi studi effettuati anche da consulenti/esperti del Ministero delle Infrastrutture, tra cui il professor Alessandro Guerricchio, che illustrano l’estrema fragilità dell’assetto e i processi dinamici delle due zone interessate dalla costruzione del ponte: nello specifico, oltre ai problemi di allontanamento delle sponde, lo “scivolamento” delle formazioni idrogeologiche superficiali e profonde della Costa Viola verso lo Stretto.
I problemi di impatto ambientale che, secondo Calzona, sono esasperati dalla configurazione e dal posizionamento, oltre che dalle caratteristiche, del progetto del manufatto.
I problemi di impatto socio-territoriale: il progetto vigente non ha tenuto conto dei più recenti insediamenti a Ganzirri-Faro e, soprattutto, a Villa S.Giovanni (ignorata la presenza di circa 3000 abitanti di Porticello).
Calzona propone quale soluzione all’irrealizzabilità dell’attuale progetto-ponte un nuovo progetto, per altro simile. Esso prevede sempre un attraversamento aereo, però con campata centrale minore (2000 metri) e torri/pilastri nello Stretto. Tale ipotesi prevede un riposizionamento del manufatto tale da evitare i segmenti più critici di faglie attive e le aree ecologicamente più sensibili della Costa Viola e, soprattutto, di Ganzirri/Faro (laghetti). Ancora esso assume il reale status dei tessuti insediativi. Nella nuova configurazione l’abbandono della megacampata di 3300 metri riduce una serie di problemi strutturali, migliora gli effetti sismologici e, in parte, idrogeologici, tuttavia l’impatto ambientale, territoriale e paesaggistico complessivo risulta analogo a quello del progetto SdM. La più grossa perplessità suscitata dal nuovo disegno, proposto da Remo Calzona ed il suo team, riguarda, per gli aspetti di costruibilità, il ritorno ad una configurazione che prevede i pilastri nelle acque dello Stretto. E’ noto, infatti, che una simile soluzione è stata a lungo studiata e, quindi, abbandonata; a meno di realizzare delle torri/fortezze di eccezionali dimensioni, con problemi di impatto enormi, in quanto non esistono materiali per costruire pilastri di dimensioni accettabili e che garantiscano resistenza agli agenti atmosferici e ambientali ( in primis le correnti) dello Stretto per periodi superiori ad un decennio. A parte tutti gli altri problemi, già sollevati e irrisolti, per il progetto esistente.
Si continua, dunque, a discutere di progetti, tra l’altro, irrealizzabili.
Bisogna riconoscere l’onestà intellettuale del gruppo di lavoro di Calzona–fonte tanto autorevole e interna al progetto ponte da suscitare clamore – nell’ ammettere che, al di là delle approvazioni istituzionali più o meno forzate, la questione è totalmente da riconsiderare.
Non esistono solo i nodi legati alla costruibilità. Ma anche per questo l’operazione è evidentemente da abbandonare.
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