Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito
alter
capitali
italie
globi

La paura dei beni, una storia per l'oggi

09/12/2008

I diversi modelli dello sviluppo economico, i diversi momenti della storia dei consumi delle merci. Una ricerca e un libro sul "consumo come investimento"

L’esperienza ci ha mostrato che l’economia capitalista (l’unica nella storia che si basa su un continuo aumento della produzione di ricchezza) ha seguito due vie molto diverse per svilupparsi. La prima assicura alti profitti grazie alla compressione dei salari, e quindi al basso livello medio dei consumi. Questo modello implica in genere anche la compressione dei diritti umani della maggioranza. Esso può derivare o da un’economia statica, che usa una tecnologia primitiva (ad esempio le piantagioni del Brasile o le miniere in Africa nei sec. XIX e XX) oppure da un’economia in forte progresso tecnico (come nell’economia inglese e olandese del Seicento; nella prima fase della rivoluzione industriale inglese; o nello sviluppo recente di molti paesi asiatici). Nella prima variante la compressione dei consumi medi porta ad un’economia povera e dipendente. Nella seconda si ha un’economia che, pur sviluppandosi, alla lunga entra in crisi. O si apre al mercato interno, alzando i consumi, oppure diventa anch’essa dipendente.

Il secondo modello si basa invece sul processo opposto: alti salari, crescita generale dei consumi, crescita dei diritti civili e del grado di civiltà. In esso gli alti profitti derivano dal progresso tecnico e dalla crescente qualificazione del lavoro. Ciò richiede l’aumento dei consumi. Infatti la qualificazione del lavoro – il fattore fondamentale di questo tipo di sviluppo – richiede un crescente consumo produttivo (istruzione, benessere materiale, cultura). Esempi del secondo modello sono l’economia europea del Settecento o il Welfare State del sec. XX.

Il secondo modello ha fatto una grande fatica ad affermarsi nella storia. Si è affermato laddove le classi privilegiate sono state costrette a seguire questa via, grazie a lotte sociali molto dure. D’altra parte, quando la prevalenza dei ceti più ricchi ha reso permanente la compressione dei salari, lo sviluppo non c’è stato, nonostante i lauti profitti e le rendite.

Il modello progressivo ha incontrato grandi difficoltà anche a causa della pesante eredità della cultura pre-moderna. Questa è stata un freno potentissimo allo sviluppo. E’ questo propriamente il tema del mio libro Paura dei beni, la versione italiana abbreviata di Consumption as an Investment, uscito nel 2004 da Routledge. La cultura antica e medievale - ma anche quella del tardo umanesimo e la cultura dell’aristocrazia terriera (che nell’età moderna resta o torna ad essere egemonica in diversi paesi) – esprimeva disprezzo, diffidenza e in sostanza paura verso tutti i processi di arricchimento individuale o di aumento collettivo dei consumi. Il tentativo di arricchire era considerato socialmente destabilizzante, perché metteva in questione la tradizionale (e ineguale) distribuzione della ricchezza. Da qui deriva il canone fondamentale della cultura pre-moderna: l’arricchimento di uno è l’impoverimento di un altro.

Dopo aver esaminato questo atteggiamento nella cultura pre-moderna, il libro illustra la lunga lotta dei mercantilisti, svolta su diversi piani, per superare questa idea e legittimare l’arricchimento – sia del singolo che della collettività - come regola della nuova economia. Infine spiega come gli illuministi completarono l’opera dei mercantilisti, individuando lo sviluppo basato sulla crescita dei salari, dei consumi produttivi, e della qualificazione del lavoro. Grazie a questo l’illuminismo vide la stretta connessione tra incivilimento e crescente ricchezza della società.

Ma subito dopo l’illuminismo, con la rivoluzione industriale, questa visione scompare letteralmente dalla teoria economica. La fabbrica moderna non ha bisogno di lavoro qualificato, se non per una ristretta minoranza di tecnici e dirigenti. Anzi il lavoro medio industriale diventa sempre meno qualificato. Oggi però, dopo duecento anni, l’economia industriale sta declinando. Essa viene sostituita sempre più dalla produzione di beni immateriali, che torna a richiedere una crescente qualificazione del lavoro del singolo, e quindi alti salari e crescita dei consumi.

La storia della paura dei beni ci serve quindi a capire i problemi di oggi; come cercheremo di mostrare nella seconda parte della ricerca.

Cosimo Perrotta, "Paura dei beni. Da Esiodo a Adam Smith", Bruno
Mondadori 2008, pp. 284, euro 24 (acquistabile in rete con lo sconto del 15% fino al 31 gennaio).

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti

eZ Publish™ copyright © 1999-2015 eZ Systems AS