1 miliardo di affamati, 36 stati dipendenti dall'estero. Concentrazione e finanziarizzazione dell'alimentare peggiorano il bilancio del crack
Se il 2008 verrà ricordato per la crisi che ha messo in discussione i principali pilastri sui cui si fondava il sistema finanziario mondiale, non dobbiamo tuttavia dimenticare un’altra crisi che, oltre a quella ambientale, sta colpendo il nostro vulnerabile pianeta: la crisi alimentare. In effetti, nonostante la produzione di cereali sia progredita del 4,9% nel 2008, pochi giorni fa la Fao ha affermato che gli affamati nel mondo sono oramai un miliardo e che 36 stati dipendono totalmente dall’aiuto esterno, soprattutto a causa dell’insicurezza dei prezzi locali che restano troppo elevati. Si ha spesso la tendenza a considerare la fame come un fenomeno dovuto principalmente all’aumento della popolazione e alla diminuzione di terre coltivabili dimenticando di esaminare altri importanti fattori, come ad esempio la struttura che regge le sorti dell’agricoltura mondiale. Quest’ultima è contraddistinta da due principali caratteristiche, frutto della stessa logica neoliberale messa ora in discussione: una forte concentrazione industriale e una crescente speculazione finanziaria sulle materie prime agricole. L’obiettivo di questo articolo è quindi quello di analizzare queste due caratteristiche per considerare in maniera più ampia la problematica alimentare e di riflettere sulle conseguenze che l’attuale crisi finanziaria potrebbe avere sulla sicurezza alimentare del pianeta.
Attualmente abbiamo una struttura industriale dell’agricoltura fortemente concentrata e sempre più ricca. Possiamo dividere la filiera agricola in due gruppi controllati ciascuno da un numero sempre minore di multinazionali: il gruppo dell’agro-chimica, che controlla il mercato dei semi e dei prodotti fitosanitari e il gruppo dell’agro-alimentare che controlla i principali mercati delle materie prime agricole. La concentrazione nell’agro-chimica è cominciata quando il settore pubblico ha abbandonato la ricerca agricola ai privati trasformando l’agricoltura in un business. In questo processo di privatizzazione e di concentrazione un ruolo chiave è giocato dalle biotecnologie e dai relativi brevetti. Analizzando la traiettoria delle imprese che dominano l’agrobusiness possiamo in effetti vedere come essa è intimamente legata allo sviluppo di queste nuove tecnologie: esse sono la causa di un cambiamento strategico effettuato in seno a imprese chimiche e farmaceutiche che ha permesso ad una società come Monsanto di trasformare il proprio business dal chimico all’agricolo (o meglio al chimico-agricolo) e a giganti farmaceutici come Novartis e Zeneca di creare Syngenta, la prima multinazionale interamente dedita all’agrobusiness. Prima del 2000 non esisteva una multinazionale di questo tipo, ma il settore agricolo era semmai parte di una multinazionale farmaceutica o chimica oppure faceva capo a ditte di sementi indipendenti e attive a livello regionale. Facendo del binomio tra seme geneticamente modificato e prodotto fitosanitario la sua principale caratteristica, le agrobiotecnologie hanno fatto si che questi due settori, una volta separati e meno concentrati, si riunissero nelle mani di pochi attori economici, pronti a spartirsi gli enormi profitti ipotizzabili. Già nel 2005 sei multinazionali (Syngenta, Bayer Crop Science, Dow Agro Sciences, DuPont CropProtection, Monsanto e BASF) controllavano il 77% di questo mercato (Dinham B.). In un contesto di mondializzazione dell’agricoltura e controllando il settore delle sementi e dei prodotti fitosanitari, queste poche imprese hanno raggiunto un potere di mercato enorme, capace d’influenzare le dinamiche agricole e alimentari a livello globale.
A discapito della crisi alimentare e di quella finanziaria ecco i risultati economici delle principali multinazionali dell’agrobusiness: i guadagni netti di Monsanto tra agosto 2007 e agosto 2008 sono aumentati del 104% passando dai 993 a 2024 milioni di $, l’esercizio 2008 di Syngenta ha visto aumentare i benefici netti del 38% mentre Pioneer Hi-Bed, il business dei semi di DuPont, comunicava a fine 2007 un aumento del 15% delle vendite.
Caratterizzato da un grande numero di fusioni e acquisizioni e trasformatosi notevolmente in questi ultimi anni, il settore dell’agro-alimentare risulta anch’esso fortemente concentrato. Il commercio e la lavorazione dei cereali e delle oleaginose è controllato, a livello globale, da quattro ditte: ADM, Bunge, Cargill e Dreyfus. In generale possiamo affermare che quasi tutti i mercati di materie prime di prima necessità sono caratterizzati da oligopoli. Tendenza che con l’attuale crisi potrebbe addirittura rafforzarsi. Il CEO di Cargill affermava in agosto che grazie alla crisi dei mercati si potrà approfittare d’importanti possibilità d’acquisizioni (Reuters). Appare quindi ovvio chiedersi in che misura questi giganti approfittano del loro monopolio in un mercato che predicano libero ma che in realtà non lo è. Nel luglio scorso alcune sedi europee della Cargill e della Bunge sono state perquisite per conto della Commissione europea la quale sospettava che i due colossi stavano violando le regole di mercato approfittando della loro posizione di monopolio (Reuters). Controllando il mercato delle granaglie in che modo questi gruppi ne determinano le riserve (reali e virtuali) disponibili e di conseguenza i prezzi? In che modo quindi sono responsabili della crisi alimentare? Prezzi dei cerali al rialzo e conseguente crisi alimentare che sembrano avere un effetto determinante sui profitti delle multinazionali agro-alimentari. Nel 2008 la Cargill ha aumentato del 69% i propri guadagni rispetto all’anno precedente. ADM oltre ad ostentare la sua potenza intitolando il rapporto annuale 2008 “le monde ne peut pas se passer de nous”, ha aumentato la propria cifra d’affari netta del 59% arrivando a 7 miliardi di $. Bunge nel 2008 ha aumentato i guadagni netti da 778 a 1064 miliardi di $. I risultati economici delle multinazionali dell’agro-chimica e dell’agro-alimentare in un contesto di crisi alimentare mostrano i vincitori della mondializzazione dell’agricoltura. Semi e materie prime agricole sono diventati incredibili mezzi di profitto e le imprese che li controllano sembrano non risentire affatto dei nefasti venti che soffiano sull’economia mondiale. Al contrario la crisi sembra favorire la concentrazione industriale e il monopolio di pochi grandi giganti sull’agricoltura rischiando così di aggravare la situazione dei piccoli agricoltori dei paesi poveri, principali vittime della crisi alimentare.
Se da un lato abbiamo una filiera agro-alimentare sempre più concentrata dall’altro non dobbiamo dimenticare la seconda principale caratteristica dell’agricoltura di inizio millennio: la sua eccessiva finanziarizzazione. L’attuale crisi ci sta aprendo gli occhi su una finanza speculativa che come un palloncino di elio se ne sta volando via dall’economia reale. Vediamo cosa sta succedendo ai palloncini di materie prime che quotidianamente vengono gonfiati da traders in cerca d’affari in un mercato sempre più deregolamentato e creativo. Come detto, anche nel settore agricolo si sta perdendo il nesso tra il reale e il virtuale, tra la merce agricola in quanto tale, che dovrebbe essere il nutrimento degli umani, e la merce agricola virtuale, veicolo di speculazioni, di guadagni, di perdite e di rischi. Il Chicago board of trade (CBOT), la più grande piazza commerciale di stoccaggio dei cereali ed il mercato dei derivati più grande del mondo, è il luogo simbolo di questo rapporto sempre più stretto tra alimentazione e finanza. E qui che vengono stabiliti i prezzi delle materie prime agricole. Se fino a qualche decennio fa il trading su quest’ultime era di esclusiva proprietà di agricoltori e di imprenditori agricoli, oggi qualsiasi speculatore può vendere o comprare cereali sottoforma di strumenti finanziari derivati. Negli ultimi anni la borsa cerealicola di Chicago è diventata un enorme casinò dove chiunque abbia qualche risparmio da investire può fare la sua puntata. Si è infatti assistito ad un vero e proprio boom di fondi speculativi sulle materie prime agricole, che promettono grandi e sicuri guadagni ed una certa diversificazione dei portafogli d’investimento. I cereali, cosi come gli altri beni necessari alla sopravvivenza dell’uomo e al suo benessere, possono essere scambiati fisicamente oppure possono essere mezzo di operazioni speculative nel mercato delle opzioni e dei futures. Come lo dice la parola future tutto ruota attorno al prezzo che una determinata materia prima potrà avere in futuro. Se si ipotizza che il mais incrementerà il suo valore un traders acquisterà un contratto future e, al contrario, lo dovrà vendere se ne ipotizza un ribasso. Comprando una future sul mais si impegna ad acquistare, ad una certa data, un certo quantitativo di mais ad un prezzo preciso e lo stesso se vende. Così un traders si alza la mattina, compra qualche tonnellata di mais e dopo il caffé e la sigaretta delle undici se ne disfa speculando sul prezzo che nel frattempo è salito. Insomma, un grande casinò dove puntare sui prezzi degli alimenti sperando di guadagnarci qualcosa. Se si perde, il giorno dopo si riprova. Un casinò dove ciò che importa non sono le carte, ma i guadagni che queste carte possono creare. La maggioranza dei contratti a termine in effetti non porta a delle consegne effettive. Ciò significa che gli speculatori non hanno interesse nella merce in sé, ma nel guadagno effettuabile con essa prevedendo il suo andamento dei prezzi. E di speculatori, alla ricerca di nuovi mercati favorevoli, data la crisi dei mutui immobiliari e la crisi finanziaria generale, ce ne sono in giro molti. Sarebbe interessante sapere in che misura banche e istituti di investimento cercheranno di recuperare le ingenti perdite dovute alla bolla dei subprime investendo nel magico casinò delle materie prime.
Quel che si può affermare è che più o meno dal 2004 si assiste ad un sempre maggior interesse per i fondi speculativi agricoli. Tendenza che, come lo mostrano i dati disponibili sul sito internet del CBOT, è continuata nel turbolento 2008: da gennaio a novembre il volume medio giornaliero di future sui cereali e sulle oleaginose alla CBOT di Chicago era di 597 980 contratti (+ 12% rispetto al 2007). Per ciò che riguarda le opzioni medie giornaliere hanno raggiunto 151 609 contratti, il che significa un incremento del 30.92% rispetto al 2007. Ci appare discutibile che in un contesto di crisi alimentare le materie prime vengono scambiate alla borsa di Chicago così come si scambiano altri titoli finanziari, venendo cosi banalizzate a puro mezzo di guadagno. In effetti, tra un caffé e una sigaretta, tra un milione guadagnato sul grano ed un altro perso sulla soia questi movimenti speculativi influenzano le transazioni reali di materie prime. Le imprese che controllano il commercio e la lavorazione di queste materie prime sembrano beneficiare non poco da queste fluttuazioni, al contrario di coloro che a causa di queste variazioni al cibo non possono accedere. La crisi finanziaria potrebbe portare più speculatori verso la finanza agricola, meno rischiosa di quella immobiliare, e quindi potrebbe contribuire a creare un’instabilità sui prezzi delle derrate alimentari contribuendo così al persistere dell’insicurezza alimentare. Certo, le cause della crisi alimentare vanno ricercate anche altrove (biocarburanti?) ma è indubbio che anche la deregolamentazione che permette di speculare sulle materie prime abbia un ruolo importante.
La problematica alimentare è molto complessa, ci sembrava tuttavia interessante mostrare come essa è direttamente legata al sistema finanziario che permette di considerare le materie prime come qualsiasi titolo azionario e ad una struttura industriale sempre più concentrata. In un anno definito terribile dal punto di vista economico è interessante notare come le multinazionali dell’alimentazione e dell’agricoltura continuino ad aumentare fortemente le proprie vendite e i propri profitti. Anzi, la crisi finanziaria favorisce la concentrazione industriale e l’afflusso di speculatori verso il trading agricolo, contribuendo alla situazione di controllo delle imprese e della finanza sulle sorti dell’alimentazione delle popolazioni più svantaggiate. Questo contrasto tra chi con le sementi, col cibo e con tutte le relative speculazioni finanziarie accumula fortune rivoltanti e chi a queste sementi e a questo cibo non può accedervi ci sembra agghiacciante. Un esempio della contraddizione su cui si basa l’economia umana dominante: il perseguire il proprio benessere non sempre crea il benessere generale. La ricchezza dei giganti (non solo quelli agricoli) è troppo influente e controlla gli uomini e le regole di un sistema economico internazionale figlio degli interessi particolari di potenze particolari e dei loro privilegi. A noi non resta che salvare un poco le nostre coscienze con comportamenti individuali e collettivi eticamente corretti. Chi tira i fili continuerà a tirarli e le buone azioni non saranno altro che pochi chicchi in un granaio mondiale già geneticamente contaminato.
Riferimenti bibliografici
ADM: “Le monde ne peut pas se passere de nous“, ADM Annual Report 2008
Bunge : “Annual Report 2008”
Cargill: “ 2008 Annual Report Summary“
CME Group: “A Global Trading Sumary of Grain Oilseed ND Livestock Markets“, Monthly Agricultural Update, December 2008, http://www.cbot.com/cbot/docs/87809.pdf
Dinham B.: “Corporations and Pesticides” , in Pretty J.: “The pesticide detox: toward a more sustainable agriculture”, Earthscan 2005
DuPont: “DuPont agricolture & nutrition on track for strong 2007” Comunicato stampa del 3 dicembre 2007
Fao: “The State of Food and Agricolture 2008. Biofuels: prospects, risk and opportunities”:
Franchini F., « Les agrobiotechnologies : une histoire des stratégies industrielles », Mémoire de licence e science politique, Université de Lausanne, 2007
Green R. e Hervé S.: “IP- Traceability and Grains Traiders: ADM, Bunge, Cargill and Dreyfus”, INRA-LORIA, 2006
Monsanto: “Annual Report 2008”
Reuters: „EU raids Cargill, Bunge in food-price proob“, Comunicato stampa del 10 luglio 2008
Reuters: « Cargill sees oportunities in struggling economy », Comunicato stampa del 20 agosto 2008
Syngenta: “Annual Review 2008”
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