Istituita con gran squilli di tromba dal governo Monti la Commissione per il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici non è mai stata dotata delle risorse necessarie ad operare
In un famoso saggio politologico dei primi anni ’60 Peter Bachrach e Morton Baratz discutono il concetto di potere. Al modello dominante nella scienza politica del tempo che guardava al potere come dominio fondato sull’esercizio di un comando politico visibile, i due autori statunitensi contrappongono una seconda faccia del potere, relativamente nascosta e invisibile. Secondo Bachrach e Baratz il potere non è esercitato solamente in situazioni di “decisioni concrete” (decision-making). Oltre al processo decisionale oggettivo e misurabile, il potere è anche esercitato attraverso la ‘non-decisione’ (nondecision-making). Mediante un sottile processo di manipolazione di valori sociali, norme e credenze si impedisce che rivendicazioni antagoniste allo status quo arrivino a costituirsi come tematiche di attenzione dell’agenda pubblica.
La ‘non-decisione’ è uno strumento inquietante attraverso cui le decisioni politiche si limitano a questioni non controverse che non arrecano danno a chi detiene il potere. Ma forse più mistificante e manipolativo ancora del nondecision-making è un terzo strumento evidentemente caro al potere in Italia, che potremmo chiamare il meccanismo delle ‘finte decisioni’ (fake-decisionmaking). Attraverso questo strumento, portando determinate tematiche all’attenzione pubblica e prendendo decisioni in materia, le élite politiche risultano efficaci e credibili agli occhi dei cittadini e fanno ciò in modo tale che da queste decisioni non scaturisca alcun cambiamento.
Un caso di fake-decisionmaking è rappresentato dalla ‘Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici’. Istituita ad hoc dal governo Monti con la legge 96/2012 con il compito di effettuare il controllo di regolarità e di conformità alla legge dei rendiconti dei partiti politici essa sembrava portare con sé novità importanti nel sistema di controllo finanziario dei partiti politici. Per la prima volta viene formata una Commissione connotata da un profilo giurisdizionale specifico con l’incarico di controllare la correttezza fiscale e contabile dei rendiconti dei partiti politici (a differenza del precedente Collegio dei Revisori che provvedeva ad un controllo esclusivamente formale dei bilanci). Inoltre, rispetto al Collegio dei Revisori, nominato secondo le note logiche di spartizione partitica (modello Cencelli), la nuova Commissione mantiene una sostanziale indipendenza formale, sebbene operi presso la Camera e con il supporto di personale di Camera e Senato.
Cionondimeno, la Commissione, presentata come futura garante di trasparenza nel processo opaco del finanziamento alla politica, non è stata sin dall’inizio dotata di strumenti adeguati per poter operare. Già a sei mesi dalla sua istituzione, nell’ambito di un’indagine conoscitiva sui progetti di legge di riforma del finanziamento alla politica presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati (siamo nel giugno 2013), il Presidente della Commissione Bruno Bove ha lamentato le difficoltà incontrate dalla Commissione di esaminare la mole assai significativa di rendiconti sulla base di differenti normative e con scarse risorse a disposizione.
In primo luogo, la Commissione, riunitasi il 3 dicembre 2012, ha dovuto esaminare i bilanci che si riferivano agli esercizi di rendiconto anteriori al 2011 per i quali il Collegio dei Revisori non era riuscito a redigere i propri rapporti integrativi entro i tempi fissati. In secondo luogo, il sovrapporsi di diversi regimi giuridici che contraddistingue la disciplina del finanziamento alla politica ha complicato il lavoro della Commissione, dovendo essa applicare normative differenti nel controllo delle diverse annate di rendiconto. Inoltre la Commissione ha dovuto controllare che il 5% dei rimborsi ricevuti dai partiti fosse destinato a promuovere la partecipazione delle donne alla politica, che le dichiarazioni congiunte per donazioni superiori ai 50.000 euro fossero comprese nei rendiconti, oltre a formulare rilievi ai partiti ed applicare sanzioni amministrative. Se ciò non bastasse, l’adozione della legge di conversione 21 febbraio 2014, indebitamente presentata come legge che abolisce il finanziamento pubblico ai partiti (come già evidenziato qui in un precedente articolo: http://old.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Fondi-ai-partiti-l-anomalia-italiana-21596) ha costituito un aggravio ulteriore. Essa affida infatti alla Commissione – rinominata ‘Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici’ – anche le funzioni di verifica della conformità degli statuti dei partiti politici alle disposizioni di legge ai fini dell’iscrizione dei partiti al ‘registro nazionale dei partiti riconosciuti’ (registro tenuto dalla stessa Commissione), condizione necessaria perché essi possano accedere ai finanziamenti indiretti previsti dalla legge.
Un’ultima nota riguarda la composizione della Commissione. Secondo la legge 96/2012, i cinque componenti della Commissione non percepiscono alcun compenso per l’attività prestata e non possono ricoprire altri incarichi e funzioni durante il quadriennio di durata in carica (un progetto di legge è attualmente in esame alla Camera per aumentare le unità di personale e collocare fuori ruolo i componenti della Commissione), rendendo di fatto precario il rapporto dei componenti con la Commissione. Ed ecco i risultati: dimissioni di due dei cinque componenti della Commissione ad appena cinque mesi dalla sua costituzione (fine maggio 2013, e rinomina di due componenti nel luglio dello stesso anno); dimissioni contestuali di tutti e cinque i componenti della Commissione il 27 ottobre 2014; e infine, “in considerazione dei tempi necessari per assicurare la piena funzionalità della Commissione”, una duplice proroga di sessanta giorni dei termini relativi al procedimento di controllo dei rendiconti dei partiti politici (nonché del termine per la presentazione da parte dei partiti delle richieste di accesso alle agevolazioni fiscali) inserita nel decreto ‘mille proroghe’ (d.l. 31 dicembre 2014 n. 192, convertito in l. 27 febbraio 2015, n.11).
L’istituzione di meccanismi di controllo stabili, politicamente indipendenti ed efficaci costituisce tra gli aspetti più importanti dell’intera disciplina del finanziamento alla politica. Se, tuttavia, tali meccanismi non svolgono la loro funzione non essendo di fatto messi nelle condizioni di operare, si compromettere la stessa ragion d’essere della loro disciplina. Sbandierata la grande riforma, la sua realizzazione è passata sotto un assordante silenzio. Si è così creato consenso fingendo di decidere, senza però dotare la Commissione di sufficienti risorse per far fronte ai suoi molteplici, gravosi e fondamentali compiti.
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