Il premier greco ha intrapreso una corsa contro il tempo per riuscire a garantire la ricapitalizzazione delle banche greche e togliere il capital control
Banche e case, rose e spine per Alexis Tsipras. Il premier greco ha intrapreso una corsa contro il tempo per riuscire a concludere la valutazione da parte dei creditori (l’ex troika) entro la fine di novembre. L’obiettivo è duplice: garantire la ricapitalizzazione delle banche greche in modo da poter affrontare il primo gennaio 2016 avendo evitato il rischio di applicare le nuove norme sul bail-in vigore dall’anno prossimo. Al contrario, se tutto va bene, Atene spera di poter togliere il capital control, ancora in vigore, entro il primo trimestre del nuovo anno.
Il secondo obiettivo è di premere perchè cominci finalmente la discussione sul debito greco entro l’anno in corso, in modo da poter incassare al più presto non solo i dividendi politici ma anche quelli sul piano dello sviluppo. Se, infatti, l’inizio tanto agognato della discussione sul debito potrà senza dubbio essere presentata come un successo del governo di sinistra greco, sarà ancora più importante associare questo successo con una prospettiva di crescita per la disastrata economia greca. E Dio solo sa quanto la società greca, in piena depressione, abbia bisogno di sentire finalmente qualche notizia positiva.
Intanto, le buone notizie sono quelle che ricevono i banchieri greci. Gli stess test imposti dalla BCE alle quattro banche sistemiche greche hanno visto scendere i loro bisogni di ricapitalizzazione a 14,4 miliardi di euro contro i 20 preventivati. Più in particolare, dall’imposizione delle limitazioni nei movimenti di capitale, il 26 giugno, fino al primo ottobre, le azioni delle quattro banche hanno perso 9,80 miliardi, mentre dal primo ottobre hanno recuperato 1 miliardo 742 milioni. Ora le quattro banche controllano il 97% del mercato creditizio greco, contro il 38% del 2005.
Questo scenario più positivo rispetto alle previsioni fa volare anche le previsioni dei banchieri rispetto alla disponibilità dei fondi internazionali di partecipare alla ricapitalizzazione con 8 o anche 9 miliardi, rispetto ai 4,4 ritenuti necessari dalla BCE. Gli investitori istituzionali stranieri che già ora detengono il 40% del capitale bancario greco hanno accettato lo scambio di bond per 2,6 miliardi con contanti o azioni. Nel frattempo, si attende entro la fine di novembre o inizi di dicembre il flusso dei nuovi investitori privati.
Per prima ha aperto il book building la Piraeus Bank con l’obiettivo di ottenere almeno 2,2 miliardi secondo lo scenario pessimista e 4,3 secondo quello ottimista. Hanno seguito Eurobank (per 2,2 miliardi) e Alpha Bank (2,7) con ultima la National Bank of Greece con solo 1,6 miliardi, visto che si aspetta di fare cassa con la vendita di una percentuale ancora da definire della controllata Finansbank turca. Alla ricerca di finanziamenti partecipano anche le banche cooperative e la Attica Bank, mentre secondo il governo greco, all’operazione parteciperà anche la BERS.
Secondo il Wall Street Journal, “il settore bancario greco si è dimostrato più resistente del previsto di fronte alle tempeste dell’ultimo anno. Dopo le fusioni degli ultimi anni, oramai si è formato un oligopolio in grado di abbattere i costi operativi, mantenere i prezzi accessibili e configurare prospettive di guadagno, una volta risolta la questione dei debiti inesigibili. Una buona parte di quei 50 miliardi ritirati dagli istituti prima dell’imposizione delle limitazioni, è rimasta in circolazione, sostenendo l’economia reale. Ora una parte non trascurabile sta tornando in banca: i depositi sono aumentati di 300 milioni in agosto e di 530 milioni a settembre”.
Nel frattempo, la legge approvata dal Parlamento greco ha posto dei severi limiti sia sui compensi dei banchieri (non potranno superare quelli del governatore della Bank of Greece) e non potranno distribuire benefici ai membri del Cda mentre ancora gli istituti ricevono aiuto da parte dello stato. “Il nostro obiettivo è arrivare a un sistema in cui non sarà la società a sostenere le banche ma saranno le banche a sostenere la società, l’occupazione, l’innovazione e lo sviluppo”, ha dichiarato il vice Presidente del Consiglio Yannis Dragasakis: “Non sarà più possibile continuare il credito a imprenditori che continuano sostematicamente a tenere i loro debiti in Grecia e i loro utili all’estero. Non è possibile che imprese in forte passività continuino a ricevere nuovi crediti senza presentare credibili piani di sviluppo e soprattutto senza che gli stessi imprenditori ci investano capitali propri. Questo modello di impresa è finito per sempre”.
Quello che sta prefigurando Dragasakis è un vecchio sogno del governo SYRIZA, già contenuto nel programa del governo di gennaio. È la nuova “banca dello sviluppo”, al centro di un “sistema credizio parallelo” in grado di sostenere l’economia reale, in particolare quella innovativa e quella che cerca sbocchi all’estero. Il governo greco da tempo è in contatto con l’ex ministro del lavoro tedesco Joerg Asmussen, ora a capo della banca KfW, mentre anche in Francia c’è stato interesse verso il piano. La nuova banca, nel progetto, dovrebbe ottimizzare le capacità di assorbimento dei capitali comunitari nelle grandi opere, tornate di attualità dopo la decisione della Commissione di permettere finanziamenti totalmente con fondi comunitari, senza contributo greco, ma anche l’attrazione di investitori extra europei. Il piano piace perfino al coriaceo Scheuble, che più volte ha proposto la trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti e del Fondo Nazionale per l’Impresa e lo Sviluppo (ETEAN) in organismo investitore nelle imprese medio- piccole.
Rimane comunque aperto lo scottante problema dei debiti inesigibili, in particolare dei mutui per la prima casa. Nel 2010 il governo socialista di George Papandreou aveva sancito una legge che ne bloccava le aste giudiziarie per chi aveva sospeso i pagamenti per la restituzione del debito. Già dal 2013 la troika aveva insistito con il governo di destra di Antonis Samaras per abrogare la legge e liberalizzare le aste. Pochi mesi prima della sua caduta Samaras ha infine ceduto e tra le misure concordate prima delle elezioni di gennaio c’era anche questa misura. Ora i creditori sono tornati alla carica: il loro fine non è ridare alle banche immobili con un valore commerciale prossimo allo zero, vista la fortissima crisi del mercato immobiliare greco, fortemente tassato. Il piano è riportare anche in Grecia il modello spagnolo, con sfratti brutali e centinaia di migliaia di senza tetto, al fine di attirare società immobiliari straniere.
La resistenza di Tsipras è forte: liberalizzare le aste costituisce un attacco alla “coesione sociale”, dice il premier, agitando il dato delle decine di migliaia di senza tetto che già ora stentano a sopravvivere nelle grandi città greche. Una liberalizzazione totale delle aste è fuori discussione. Ora i creditori hanno moderato le loro richieste, cercando di definire severi criteri sociali. La misura riguarda in teoria circa un milione di famiglie, ma in alcuni casi non si tratta di abitazioni ma di negozi e ci sono i casi di famiglie proprietarie anche di altri immobili. Si potrebbe quindi arrivare a un compromesso, limitando la protezione della legge a un nucleo di 350 mila famiglie che non hanno altra casa oltre quella in cui risiedono. Ma non è facile. C’è un gruppo di paesi dell’eurozona che si oppone a qualsiasi cedimento alle richieste greche.
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