Il piano di salvataggio non è credibile perché impone troppi sacrifici alla Grecia. E un'attenta analisi svela che sono diversi i paesi in situazione simile
“…la Germania è nella trappola che si è costruita da sola. Vorrebbe che i suoi vicini fossero simili a lei quanto più possibile. Ma essi non possono esserlo….come un grande filosofo tedesco, Hegel, avrebbe potuto dire, la Germania come tesi aveva bisogno della Spagna come antitesi…ma ora la sintesi è il disastro dei conti pubblici europei…” (M. Wolf a)
“Standard & Poor’s ha scoperto le debolezze della Spagna proprio al momento giusto…; …come non confrontare alcune variabili positive spagnole con quelle assai più negative di paesi come Stati Uniti e Gran Bretagna?...” (M. De Cecco)
"…il programma (per la Grecia) è ingiusto, perverso ed esso fallirà…i conti non tornano…” (A. Subramanian)
Ci troviamo ad un passaggio molto difficile: mentre i lavoratori greci protestano per il durissimo piano di austerità, c’è un rischio rilevante che il contagio si estenda ad altri paesi, compreso il nostro, mentre diventa sempre più plausibile una manovra di correzione ai conti pubblici italiani. I numeri sono comunque terrificanti in tutte le direzioni. Nel testo sono individuati in particolare cinque punti di discussione.
1. A ciascuno il suo
Bisogna certamente stigmatizzare il comportamento dei mercati finanziari e delle agenzie di rating, ma bisogna anche ricordare la storia finanziaria passata e recente del paese ellenico.
Un testo sulla storia delle crisi finanziarie (Reinhart, Rogoff,2009) registra il numero di anni che i vari paesi del mondo, dalla loro indipendenza e sino al 2008, hanno passato in situazioni di default e di ristrutturazione del debito. La Grecia detiene il primato tra quelli sviluppati, avendo trascorso ben il 50,6% del tempo dal 1826 ad oggi in una situazione di questo genere. L’ultimo default si è registrato a metà degli anni sessanta del Novecento.
Venendo a tempi più vicini una valutazione attendibile ci ricorda che ogni anno nel paese vengono evasi circa 30 miliardi di euro di tasse, una cifra che risolverebbe i suoi problemi finanziari. Nei quartieri nord di Atene i residenti locali hanno dichiarato al fisco nel 2008 il possesso di 324 piscine in tutto. Una ricognizione attraverso il satellite ha mostrato che in realtà il loro numero era di 16.974 (Daley, 2010). Solo poche migliaia di cittadini, in un paese di 11 milioni di abitanti, ha dichiarato, sempre nel 2008, un reddito di almeno 100.000 euro. La corruzione è dappertutto, come del resto in Italia.
2. Lascia o raddoppia
La crisi greca ha mostrato che l’attuale assetto dell’euro non sta in piedi; l’esperimento di un’unione monetaria senza unione politica è sostanzialmente fallito, cosicché soltanto un nuovo progetto di integrazione può mantenere salda la costruzione. Per il medio termine, in attesa di progetti più impegnativi, bisognerebbe porsi dei traguardi che cerchiamo di delineare in via di larga massima, seguendo il dibattito in merito sviluppatosi sulla stampa internazionale:
a. dovrebbe essere varato un meccanismo di risoluzione delle crisi temporanee di liquidità, con poteri e di fondi adeguati (Munchau, 2010). Si pensa da più parti alla creazione di una specie di fondo monetario europeo. Un esperto finanziario, W. Buiter, stima che per essere veramente adeguato, esso debba poter contare su una cifra pari a 2000 miliardi di euro; ma forse può bastare. Parallelamente, si dovrebbe anche pensare ad una procedura di gestione controllata delle insolvenze, come esiste negli Stati uniti per i singoli stati;
b. ma questo tipo di soluzione non potrebbe risolvere i problemi strutturali, di solvibilità, oltre che di liquidità. Su questo fronte sarebbe necessario un altro fondo, che intervenga per aiutare i paesi in difficoltà a superare i loro squilibri economici interni, come operava, o avrebbe dovuto operare, la nostra Cassa per il Mezzogiorno, o come ha fatto la Germania, dopo l’unificazione, nei confronti della parte est del paese. Si potrebbe partire dai già esistenti fondi strutturali, ma arricchendoli ed estendendoli in misura rilevante;
c. dovrebbe essere attribuito al consiglio dei ministri dei paesi aderenti all’euro, con una maggioranza qualificata dei presenti, il potere di prendere delle decisioni vincolanti almeno su alcune questioni di politica economica dei vari paesi e di coordinare i rispettivi budget pubblici, le politiche fiscali, ecc. (Wolf, 2010, b);
d. sarebbe necessario, infine, un organismo di controllo del sistema bancario a livello europeo, che superi il ridicolo progetto messo a punto in proposito dalla burocrazia europea, con il maligno suggerimento dei rappresentanti dei singoli stati.
3. Siamo tutti greci
Se guardiamo bene, i conti degli altri paesi occidentali non sono poi troppo distanti da quelli greci. E’ quasi una regola che, dopo le crisi bancarie, venga quella dell’indebitamento pubblico. Con la crisi il livello del debito pubblico rapportato al pil ha già visto un drammatico deterioramento per tutti i paesi ricchi; d’altro canto, nel lungo termine, all’effetto di trascinamento della crisi, si aggiunge il peso dell’invecchiamento della popolazione, con il suo carico di pensioni e di spese sanitarie. Abbiamo già riportato in un articolo di qualche tempo fa, delle proiezioni (Cecchetti ed altri, 2010) che indicavano così che nel 2040 in Giappone il debito pubblico potrebbe raggiungere il 600%, più del 500% in Gran Bretagna, più del 400% negli Stati Uniti.
Come, quando e quanto rientrare da questi deficit tendenzialmente spaventosi diventerà presto uno dei nodi centrali del dibattito politico in Occidente. I partiti di centro-destra ne faranno certamente, insieme alla questione dell’immigrazione, uno dei punti centrali dei loro programmi politici. E naturalmente essi attaccheranno soprattutto le conquiste sociali e i sistemi di welfare dei vari paesi.
4. Il club-med in affanno
Ricordiamo prima di tutto che il piano messo a punto a Bruxelles per la Grecia non appare credibile intanto perché esso impone troppe sofferenze al popolo greco.
Comunque, anche se venissero attuate tutte le misure draconiane previste, nei prossimi anni il debito pubblico del paese dovrebbe crescere sino al 150% del pil. Il programma di intervento affronta poi il problema della liquidità, non quello della solvibilità del paese. La situazione attuale è quella di un grande deficit pubblico primario, di un alto livello di indebitamento, di alti tassi di interesse, di prospettive negative di sviluppo. Come restituire la montagna dei debiti contratti? Non solo nei prossimi anni è facile prevedere una rilevante caduta del pil, ma l’altro aspetto del problema greco appare quello della scarsa competitività della sua economia, come di tutti i paesi del club-med. E’ stato calcolato che per ritrovarla, bisognerebbe svalutare le monete dell’area del 25-30%, misura ovviamente impossibile. In tutti questi anni il tasso di inflazione di tali paesi è stato superiore a quello dell’Europa cosiddetta “virtuosa” e così il livello della loro competitività è caduto in misura rilevante.
E’ prevedibile quindi che il paese non sarà in grado di ripagare interamente il suo debito (Pisani-Ferry, Sapir, 2010). Bisognerà arrivare necessariamente ad una sua ristrutturazione.
Le banche e le assicurazioni europee posseggono oggi all’incirca 190 miliardi di dollari di titoli greci. Un taglio anche solo del 30% significherebbe una perdita di 57 miliardi; nessun grande istituto europeo dovrebbe perdere tanti soldi da registrare gravi difficoltà finanziarie. Il problema è semmai quello di una possibile metastasi. L’esposizione delle banche verso il Portogallo è di 240 miliardi, verso la Spagna di 832 miliardi (Kennedy ed altri, 2010).
D’altro canto, si potrebbe malignamente pensare che il piano di intervento è stato messo a punto proprio per evitare alle banche europee di perdere anche un euro e di permettere loro di continuare a prestare soldi in giro in maniera sconsiderata.
Peraltro, qualcuno ha calcolato che, in condizioni di difficoltà gravi dei mercati finanziari, salvare Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia potrebbe costare circa 800 miliardi di dollari e aggiungendovi l’Italia saremmo forse vicini ai 1400 – 1500 miliardi. Finanziariamente il salvataggio si potrebbe forse anche fare, politicamente la questione appare invece come molto intricata.
5. Il generale nel suo labirinto
Sui rapporti della Germania con la Grecia e più in generale con i paesi in deficit hanno scritto in maniera molto incisiva M. Wolf (a) e The Economist, 2010 ed in questo paragrafo ci riferiamo in particolare alle loro idee.
E’ certamente la Germania, insieme alla Grecia, il grande colpevole della crisi; essa si è rifiutata di risolvere la questione ellenica qualche mese fa quando potevano bastare pochi spiccioli per chiuderla e si ritrova ora con un problema quasi insolubile.
Circa la metà delle esportazioni tedesche, sulle quali è basata la prosperità del paese, vanno verso gli altri stati della zona euro, che non possono più ricorrere, come una volta alla svalutazione della loro moneta per reggere alla competitività dell’economia della Germania. Essa tende a vedersi come un paese virtuoso e a considerare i suoi vicini come cicale spendaccione e considera inoltre ovvio che l’onere degli aggiustamenti debba gravare su questi ultimi.
Ma la Germania può essere quella che è – un paese con una forte disciplina di bilancio, una domanda interna debole e un grande surplus della bilancia commerciale- solo perché altri non lo sono. Ora essa pretende che tutti i paesi eliminino i loro deficit pubblici eccessivi. La Germania non può volere nella sostanza che i suoi vicini continuino a comprare le merci tedesche, ma smettano di prendere a prestito del denaro sui mercati. Dal momento che i loro surplus sono il deficit di qualcun altro e che i suoi successi sono fatti almeno in parte a spesa dei suoi vicini, tale posizione appare del tutto incoerente.
L’unica via d’uscita al problema, seguendo sino in fondo l’approccio tedesco, sarebbe alla fine quella di aumentare il surplus commerciale esterno della zona euro, ma bisognerebbe spiegarlo in qualche modo al resto del mondo, che non gradirebbe affatto, soprattutto poi in un periodo di domanda mondiale molto debole.
Sarebbe molto più sensato che la Germania cambiasse le sue opzioni di politica economica e cercasse soprattutto di sviluppare la sua domanda interna e il livello dei suoi investimenti. Sarebbe un bene per tutti, ma il paese sembra non volere sentir ragioni.
Così la crisi greca appare soltanto l’inizio di una lunga storia.
Testi citati nell’articolo
-Cecchetti S., Mohanty M. S., Zampolli F., The future of public debt: prospects and implications, Bank for International Settlements, febbraio 2010
- Daley S., Greek wealth is everywhere but tax forms, www.nyt.com, 1 maggio 2010
- Kennedy S., Magnusson N., Benedetti-Valentini F., Now it’s a european banking crisis, www.businessweek.com, 29 aprile 2010
- Munchau W., Europe’s choice is to integrate or disintegrate, www.ft.com, 2 maggio 2010
- Pisani-Ferri J., Sapir A., Europe needs a framework for debt crises, www.ft.com, 28 aprile 2010
- Reinhart C. M., Rogoff K. S., This time is different: eight centuries of financial folly, Princeton University Press, Princeton, New Jersey, 2009
- Subramanian A., Greek deal lets banks off the hook, www.ft.com, 6 maggio 2010
- The Economist, Why Germany needs to change, both for its own sake and for others, 11 maggio 2010
- Wolf M., Germany’s eurozone crisis nightmare, www.ft.com, 9 marzo 2010, a
- Wolf M., Would istitutional changes make the eurozone work better and, if so, what should they be?, www.ft.com, 15 aprile 2010, b
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