Le cooperative di consumo aderenti alla Lega delle cooperative costituiscono una realtà importante ma abbastanza statica. Prevale la volontà di evitare cambiamenti, di aggirare ogni possibile occasione di scelte e di innovazioni, spesso ritenute simili a salti nel buio. Hanno tenuto nella crisi, ma potrebbero fare di più per chi può spendere di meno
premessa
Le organizzazioni aderenti alla Lega delle Cooperative fatturavano nel 2009 circa 57 miliardi di euro; esse, alla fine dello stesso anno, occupavano inoltre alcune centinaia di migliaia di persone e avevano più di 8,5 milioni di soci (fonte: centro studi Lega coop).
All’interno di tale raggruppamento, il business distributivo – comprendente il comparto delle coop di consumo, che aveva nel 2009 ricavi per 12,8 miliardi di euro (la cifra corrispondente era di 11,5 miliardi nel 2005) e quello dei dettaglianti associati, o Conad, che ne registrava 9,4 miliardi, sempre nel 2009 – rappresentava la realtà di gran lunga più importante nel settore di riferimento in Italia.
In confronto alle dimensioni delle principali strutture del comparto presenti negli altri grandi paesi occidentali, quelle delle coop italiane appaiono però almeno relativamente modeste. Se facciamo riferimento, ad esempio, al caso francese, troviamo che Carrefour arrivava nel 2009 a circa 86 miliardi di euro di cifra d’affari e Auchan a circa 40 miliardi.
Tra i fattori che contribuiscono a spiegare le differenze di dimensioni con il mercato transalpino stanno, tra l’altro, il ritardo con cui nel nostro paese si è sviluppato il fenomeno della grande distribuzione, la totale assenza delle coop nostrane dai mercati esteri, che costituiscono invece una parte importante del fatturato delle grandi case francesi, la minore aggressività, infine, nella strategia di sviluppo delle società italiane.
Abbiamo incluso nella nostra rassegna dei grandi gruppi, in corso da tempo, le coop di consumo anche se non esiste una sola impresa unitaria che si occupi del business distributivo, ma in realtà se ne contino almeno nove di grande dimensione e molte di più di taglia più modesta; pur tuttavia, va considerato che esse tendono a muoversi secondo una strategia per alcuni versi unitaria, mentre si discute di possibili accorpamenti ulteriori, o, almeno, della messa in comune di alcuni servizi tra le stesse coop esistenti. Si parla anche di una eventuale, anche se lontana, unificazione di tutte le cooperative del settore in un’unica società, ma tale prospettiva non appare al momento fondata su una qualche premessa concreta.
un po’ di storia e alcune notizie di base
La cooperazione di consumo nasce nel nostro paese intorno alla metà degli anni cinquanta dell’Ottocento. I suoi primi sviluppi, sotto l’egida delle nascenti organizzazioni operaie, politiche e sindacali, erano collegati all’obiettivo di ridurre il costo di acquisto dei generi alimentari per le classi più disagiate della popolazione, in particolare in alcune aree del nord Italia.
Tralasciando per brevità le varie fasi successive, compresi periodi molto difficili quali quelli dei governi reazionari degli anni novanta dell’Ottocento e la parentesi fascista, passiamo all’epoca successiva alla seconda guerra mondiale.
Le coop hanno avuto nel dopoguerra il loro primo importante sviluppo nelle regioni “rosse”, per la maggiore apertura degli enti locali, per la conoscenza diretta del territorio e per la stessa attenzione del pubblico verso tale forma di distribuzione; successivamente si è registrata un’espansione del fenomeno nelle altre aree del nord Italia, anche se con un’incidenza abbastanza diseguale tra le varie regioni, mentre solo nei decenni più recenti si è sviluppata una politica di insediamenti rilevanti al Sud, portata avanti dalle stesse coop del Nord.
Dal punto di vista delle politiche distributive vanno ricordati prima lo sviluppo dei supermercati, a partire dal 1963, successivamente quello degli ipermercati, a partire in questo caso dalla fine degli anni ottanta, infine quello dei discount intorno alla metà degli anni novanta. Ognuno di questi passaggi è stato contraddistinto e comunque preceduto da grandi dibattiti e da vivaci contrasti all’interno dell’organizzazione.
Da segnalare ancora la politica di concentrazione nel tempo a livello di unità aziendali, con la costituzione di cooperative sempre più grandi, nate progressivamente dall’accorpamento di unità di dimensioni più limitate. Tra le altre mosse strategiche da sottolineare vanno ricordati lo sviluppo del prestito sociale e i processi di diversificazione.
Il primo fenomeno ha molto contribuito allo sviluppo del settore e della stesso movimento cooperativo. In un primo periodo, una parte consistente dei prestiti raccolti tra i soci venivano depositati presso consorzi finanziari nazionali e locali interni al movimento, per essere poi distribuiti, secondo una logica solidaristica – pur se abbastanza ubbidiente a princìpi di economicità – verso altri settori del sistema cooperativo, che si trovavano ad averne bisogno. Nell’ultimo periodo, invece, le società del settore, allentatesi progressivamente le relazioni intercooperative, hanno scelto di utilizzare in maniera pressoché esclusiva tali risorse. Il prestito sociale raggiungeva ormai la cifra di 12,1 miliardi alla fine del 2009, un importo molto vicino al fatturato delle stesse coop nello stesso anno e in crescita rispetto all’anno precedente; pur se l’attuale governo ha aumentato di recente il prelievo fiscale sugli interessi, portandolo dal 12,5% al 20% annuo.
Peraltro tale stretta fiscale, ma soprattutto la riduzione, negli ultimi anni, dei margini tra tassi passivi pagati ai soci e tassi attivi spuntati sugli impieghi in ragione della rilevante caduta generale dei tassi di interesse sul mercato, hanno ridotto in maniera consistente il contributo ai risultati economici aziendali di tale fonte di finanziamento, una volta molto rilevante.
la politica di diversificazione
L’insieme delle cooperative di consumo ha attuato progressivamente un rilevante programma di diversificazione, che si concreta oggi soprattutto nelle seguenti direzioni (fonte principale delle informazioni, wikipedia):
1) le coop sono le principali azioniste della società Homo spa, cui partecipano anche diverse cooperative di altri settori e che detiene il 76,5% circa delle azioni della società Finsoe, che a sua volta possiede il 50,7% delle azioni ordinarie del gruppo Unipol e il 31,4% di tutto il capitale del gruppo assicurativo e finanziario;
2) il consorzio Coop Italia e varie cooperative sono presenti nel settore delle farmacie e della parafamacia;
3) due gruppi di cooperative possiedono il controllo delle catene di agenzie viaggi Robintour e Nuovo Planetario;
4) alcune delle cooperative controllano la Librerie Coop spa, che gestisce una catena di librerie per lo più all’interno dei centri commerciali in cui sono presenti le stesse coop;
5) alcune cooperative sono presenti nel settore del fai-da-te, mentre la maggior parte delle cooperative è azionista di Fimgest spa, una Sim che offre servizi finanziari ai soci ed ai clienti; essa in particolare gestisce una parte importante delle liquidità delle aziende socie.
6) infine il Consorzio Coop Italia è oggi il principale operatore telefonico virtuale nazionale, con il marchio CoopVoce, che controlla oggi 500.000 card.
Nonostante tali sviluppi, che nel tempo hanno comportato in ogni caso rilevanti investimenti e sforzi organizzativi da parte delle Coop, il business originario continua a costituire di gran lunga la parte centrale dell’attività e dell’attenzione.
alcuni aspetti organizzativi
La dialettica della distribuzione del potere, all’interno del settore, si svolge sostanzialmente intorno a tre realtà organizzative principali: le nove grandi cooperative di consumo, il consorzio Coopitalia, che accentra alcuni servizi, infine la struttura cosiddetta politico-sindacale, che raggruppa i funzionari dell’Associazione delle cooperative di consumo. Si muovono nel quadro anche le cooperative minori e le strutture di tipo generale politico-sindacali della Lega a livello nazionale e regionale.
Indubbiamente si tratta di un’organizzazione complessa. I cambiamenti degli ultimi anni sembrano andare nel senso di una ulteriore riduzione del peso delle strutture politico-sindacali, di tipo generale e di settore, rappresentate rispettivamente dalla Lega e dalla Ancc, a favore delle strutture tecniche, e in particolare delle nove grandi cooperative, i cui responsabili, peraltro, determinano direttamente in rilevante misura anche la politica di Coopitalia, che riesce però a mantenere una voce importante nel coro soprattutto attraverso l’autorevolezza di alcuni suoi dirigenti.
In termini generali, si ha la sensazione che il gruppo viva in una posizione strategica abbastanza chiusa al suo interno, tendendo normalmente a giocare in difesa.
Si pensi, ad esempio, al fatto che nonostante le possibili rilevanti convenienze economiche a collegamenti organici con il gruppo Conad, in particolare nel settore degli acquisti e in quello dello sviluppo di attività comuni, i legami concreti sono in realtà ridotti e si manifesta semmai una rilevante concorrenza tra i due sistemi. O si pensi ancora alla inesistente politica di internazionalizzazione delle stesse coop, anche se ora si nota qualche novità
All’interno del movimento cooperativo, dalla CMC di Ravenna alla Sacmi di Imola, si registrano invece casi in cui il processo di internazionalizzazione è pienamente riuscito ed ha aiutato a consolidare i processi di crescita.
Tra le ragioni di tale riluttanza all’espansione al di fuori dai confini nazionali, oltre alla storia stessa di tali strutture, alla loro cultura genetica, vene è una, molto rilevante, che ha a che fare con la posizione dei quadri dirigenti all’interno del sistema.
Nonostante sforzi di un certo rilievo, che vanno, tra l’altro, dai controlli rigorosi sulla catena di tracciabilità dei processi produttivi dei fornitori, al tentativo di spingere alla limitazione nell’uso di imballaggi inquinanti sia nel packaging che nella distribuzione, sino al buon livello raggiunto dalla gestione dei prodotti a marchio proprio e ad alcune altre iniziative recenti, persiste una certa debolezza nella politica di differenziazione sul mercato rispetto alla concorrenza. Ad esempio, nel caso francese, un marchio come Leclerc cerca di portare avanti da molti anni e con molta aggressività una strategia di prezzi bassi e di fornitura di una serie di servizi a difesa dei consumatori. Tale politica di maggiore specificità delle coop dovrebbe, tra l’altro, trovare ispirazione nella loro origine storica e nella loro missione originaria.
Probabilmente frutto della molta prudenza gestionale sono anche i bassi tassi di crescita del fatturato di gruppo nel corso degli anni, in contrasto, tra l’altro, con i ritmi di espansione abbastanza più veloci del sistema Conad.
Un punto di debolezza nell’organizzazione del sistema è quello che i gruppi dirigenti delle coop di consumo sono spesso scelti secondo modalità in cui pesano, in maniera variabile, la fedeltà alle varie cordate, l’appartenenza ad un certo territorio, le capacità dimostrate, gli occasionali scambi do ut des e così via. Essi sono difficilmente rimovibili e molto spesso essi durano in carica molto a lungo, non essendovi alcun meccanismo automatico di ricambio, né alcun contropotere che possa veramente contrastarli. Tra l’altro, nelle coop le assemblee dei soci sono pure formalità.
Si tratta di una situazione in qualche modo simile a quello presente sino a qualche tempo fa nelle grandi corporation statunitensi, ora peraltro attenuata dall’avvento nel loro capitale degli investitori istituzionali. Il quadro appare abbastanza diverso in questo senso da quello presente in altri settori dello stesso movimento cooperativo, quale quello di produzione e lavoro – che comprende le cooperative edilizie e quelle industriali – nel quale si registra un sistema di governo più equilibrato e democratico.
i risultati economici e la crisi
Oggi il sistema coop è costituito da circa 120 cooperative di consumo, di cui 9 di grandi dimensioni, con un fatturato complessivo nel 2009 di circa 12,8 miliardi di euro. Esistono poi una struttura consortile, la Coop Italia, che gestisce una parte delle funzioni di acquisto e di marketing per l’intero sistema, nonché alcuni altri consorzi tra imprese. L’insieme occupa oggi circa 57.000 persone e coinvolge circa 7.250.000 soci.
La redditività complessiva del sistema appare abbastanza ridotta. In generale le cooperative del settore registrano risultati operativi che presentano livelli risicati negli anni, sia per l’aspra concorrenza presente nel comparto, sia per una gestione delle attività non sempre adeguatamente incisiva; anche la gestione finanziaria, come abbiamo già indicato, riesce a dare ormai un contributo ridotto al risultato economico finale.
Anche la grande distribuzione è stata colpita dalla crisi; e quella dello stesso movimento cooperativo ne ha risentito, nei risultati del 2008. Il reddito operativo complessivo di tutto il sistema ha mostrato così un risultato negativo per -183 milioni di euro nell’anno, mentre, almeno in alcuni casi, la gestione finanziaria ha dovuto registrare delle rilevanti perdite.
La crisi, da collegare al calo nel potere d’acquisto delle famiglie, che secondo l’Istat è diminuito del 3,4% nel biennio 2008-2009, sta portando a un rilevante processo di ristrutturazione del settore. Così mentre sono in grave difficoltà diverse catene piccole e medie, anche le grandi estere soffrono; Carrefour, che pure controlla nel nostro paese una quota di mercato intorno al 10%, ha deciso di chiudere la sua presenza al Sud e le coop ne hanno approfittato per comprare alcune delle sue strutture, in particolare in Puglia.
Nel 2009 si è peraltro verificato un sia pur piccolo aumento del fatturato – +1,7% – dell’utile netto – +1,1% – e della quota di mercato a livello nazionale, ormai al 18,1%. Il reddito operativo è tornato in positivo per circa 130 milioni di lire (Scagliarini, 2010).
Il 2010 sembra segnano un’ulteriore, moderata, ripresa del fatturato e della redditività.
Sono previsti 700 milioni di euro di nuovi investimenti tra il 2010 e il 2012, per la gran parte legati all’apertura e all’ampliamento di nuovi centri commerciali.
Conclusioni
Oggi il settore delle coop di consumo appare una realtà importante, per molti aspetti positiva, del sistema imprenditoriale nazionale. Tale realtà presenta peraltro, anche in prospettiva, alcuni punti di debolezza.
Le modalità di selezione dei gruppi dirigenti all’interno del sistema comportano il fatto che essi si muovano in genere con molta prudenza e che il processo decisionale formale sia molto lento e complicato, in genere alieno dal prendersi dei rischi. Questo meccanismo appare oggi inadeguato rispetto alle rapide trasformazioni dell’economia e pone sul settore delle coop di consumo alcuni interrogativi.
I necessari mutamenti nelle scelte del sistema sono anche frenati dalla presenza di forti localismi economici e politici che riescono a respingere, in particolare, ogni tentativo di fusione delle realtà locali con quelle di altre aree territoriali.
Le prospettive di crescita futura sembrano comunque affidate non tanto a linee di sviluppo interne, dal momento che i mercati tradizionali sono ormai abbastanza saturi – tranne che al Sud – quanto ad un mix tra acquisizioni di altre catene o di altre reti, una accorta politica di diversificazione di business, l’espansione internazionale, tutte aree nelle quali esistono degli spazi rilevanti. Ma le divisioni interne, nonché delle strutture e procedure organizzative complicate, continueranno forse a frenare molte delle potenzialità di sviluppo.
Articolo citato nel testo
-Scagliarini R., Coop, settecento milioni nel carrello, Corriere della sera, supplemento economia, 28 giugno 2010
La riproduzione di quest'articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui
La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui