Oltre che i giornalisti, i portavoce Ue, gli insegnanti meridionali, i fannulloni, i giudici e gli immigrati, il governo ha scelto gli economisti come nuovo chiodo a cui appendere la rabbia collettiva. Attaccati in blocco come “maghi e stregoni”, alcuni economisti hanno risposto con una lettera aperta nella quale rivendicano il diritto di parola. Dal nostro privilegiato punto di vista, quello di chi addirittura ha intenzione di occuparsi dell'economia “come può essere”, oltre che di raccontarla così com'è, potremmo essere tentati di sederci in platea e assistere allo spettacolo.
Da un lato, dal pulpito, un predicatore che non ha mai razzolato bene, e al quale è fin troppo facile rispondere con una serie di domandine semplici, del tipo: 1) visto che lei non è un mago ma uomo di governo dalle razionali previsioni e dalle argomentate analisi, ci può dire come mai alla vigilia di una recessione e una crisi occupazionale che molti classificano come le più gravi dal '29 il suo governo, su sua proposta, ha deciso di usare denaro pubblico per incentivare il lavoro straordinario, al quale come è noto le imprese ricorrono nei picchi della produzione? 2) visto che lei non è un mago ma etc. etc., ci può dire come mai il suo governo, su sua proposta, ha fissato un tetto del 4% ai mutui immobiliari, laddove i tassi di interesse nell'area euro sono nel frattempo scesi fino all'1%? 3) visto che lei non è un mago etc. etc., ci può dire come mai nel giro di pochi mesi ha introdotto prima una tassazione straordinaria sulle banche (“Robin Hood Tax”) e poi un programma di sostegno per le stesse? 4) visto che lei non è un mago etc. etc., ci può dire come mai ha dovuto iscrivere nel bilancio dello Stato di quest'anno la somma di 1,8 miliardi per il riacquisto di immobili pubblici già ceduti alla società Scip 2 nell'ambito dell'omonimo programma di cartolarizzazioni, dal lei stesso avviato nel 2001-2002? 5) visto etc. etc., ci può spiegare come mai ha utilizzato in così copiosa quantità nella finanza pubblica gli strumenti finanziari in auge per tutti gli anni '90 presso quella stessa categoria di “maghi” e “stregoni” (gli economisti) che adesso così sprezzantemente attacca? 6) Giacché c'è, ci dice dove sono finiti quei 30-35 miliardi di spesa in più rispetto all'anno scorso, grazie ai quali siete il governo che, allo stesso tempo, meno ha speso per contrastare la crisi economica (0,8% del Pil in misure anticrisi) e più ha inguaiato i conti pubblici? (su questi paradossi governativi, si veda la documentata analisi presentata al forum di Sbilanciamoci! a Cernobbio).
Dall'altro lato, “gli economisti”. Presi dal ministro come un tutt'uno, come categoria, come potrebbero essere i tassisti o i tributaristi. Esercenti di una professione, non di un pensiero che – per definizione – può essere aperto ai più vari contributi, punti di vista, evoluzioni. Va detto che gli stessi economisti sono caduti nella trappola di pensarsi, e rispondere, come categoria: mentre tra molti di quelli che non parlano sui giornali, e tra gli stessi firmatari della lettera di risposta al ministro, ci sono varie scuole di pensiero, e diverse responsabilità (teoriche) nell'evoluzione che ha portato alla crisi in atto. C'è chi ha fatto – e fa – il consigliere del principe e chi dal principe non è stato mai ascoltato né letto. Chi ha partecipato alla creazione del fondamentalismo di mercato, chi è stato più prudente, chi ha radicalmente criticato il pensiero economico mainstream. Persino chi sull'ubriacatura degli anni scorsi ha investito e guadagnato, non solo in termini di reputazione e fama. Chi ha salutato il “ritorno del keynesismo” come un accidente della storia o una medicina transitoria, e chi i libri di Keynes non li ha mai portati in soffitta. E si potrebbe continuare, mettendo in discussione non la capacità degli economisti di “prevedere” il futuro, ma la fondatezza delle ipotesi su cui una scuola del pensiero economico – quella prevalente negli ultimi decenni, grosso modo dagli anni '80 – ha fondato le sue analisi e le sue ricette.
Senonché in questo caso questa posizione “terzista” - simile all'esercizio quotidiano in voga sulle pagine del Corriere della Sera – non giova, è stonata. Anche per chi – come noi – ha sempre criticato il “pensiero unico dell'economia”, la polemica tra Tremonti e gli economisti non è un evento esterno, uno spettacolo a cui assistere dalla platea. Gli attacchi ai maghi dell'economia ricordano molto tutti gli altri, infatti: quelli alle fonti ufficiali delle statistiche, alla Banca centrale come alla Corte dei Conti, insomma ai controllori di qualsiasi tipo. Per non parlare degli attacchi ai giornalisti, ormai routine quotidiana. Più che un'insofferenza al mercatismo e ai suoi stregoni, quella dei vari esponenti governativi – a partire dalla testa – è insofferenza ai controlli, alla critica, all'opinione collettiva non manipolata. Dunque, che parlino – e a lungo – tutti gli economisti e le economiste di qualsiasi “tipo”. Che parlino, per criticare il governo e per criticare i propri errori del passato. E che parlino anche e soprattutto quelli che da decenni sono stati ingiustamente nascosti dall'accademia prevalente.
Nota. La questione del fallimento degli economisti non agita solo noi: è stata posta in termini meno isterici un po' ovunque. Ad esempio, dalla Regina d'Inghilterra alla London School of Economics, che ha dato qualche risposta nell'arco lunghissimo di sei mesi (per una sintesi si veda http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/21-agosto-2009/caso-subprime-scuse-economisti.shtml?uuid=2bc58a3e-8e19-11de-9d1e-a5aaf2019c3c&DocRulesView=Libero&fromSearch). Sul tema è intervenuto di recente Paul Krugman (“How did the economists get so wrong?”, http://www.nytimes.com/2009/09/06/magazine/06Economic-t.html?pagewanted=1&_r=1&em). Da noi, su lavoce.info, Luigi Spaventa, “Le responsabilità degli economisti” (http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001250.html)
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