Pubblichiamo una breve anticipazione dal “Rapporto sul razzismo in Italia”, in libreria dal 5 novembre per manifestolibri
Le cronache di ordinario razzismo che qui documentiamo parlano da sole: testimoniano l’infondatezza della tesi che tenta di liquidare come “casi isolati” quelle violenze razziste che, per la loro gravità, riescono ad acquisire visibilità sui media e divengono oggetto del discorso pubblico.
Il razzismo in Italia non è ormai più un’“emergenza”, nel senso che è quotidiano e diffuso da tempo in tutte le aree del paese. Eppure, dovrebbe allarmarci la facilità con la quale tendiamo ad abituarci alla sua presenza accettandolo come un fatto sociale ordinario.
Non contribuisce certo a frenare questa deriva, quel processo di legittimazione culturale, politica e sociale del razzismo di cui gli attori pubblici, in particolare istituzionali, sono i principali protagonisti: esso svolge un ruolo di primo piano nel mutamento delle modalità con le quali la società italiana si relaziona con i cittadini di origine straniera. Tale legittimazione, che ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale e delle istituzioni europee, ha alimentato e continua ad alimentare quei sentimenti diffusi di intolleranza e di ostilità che costituiscono l’humus favorevole per la proliferazione di atti e violenze razzisti.
Qui analizziamo questa evoluzione indagandone le radici storiche e soffermandoci sul ruolo che il mondo della politica, i media e il diritto speciale “riservato” ai migranti hanno svolto e svolgono nella produzione di un’immagine stigmatizzante dei cittadini di origine straniera e dei rom.
La decostruzione dei pregiudizi e degli stereotipi veicolati dal discorso pubblico e dai media viene svolta grazie a un’attenta analisi del carattere performativo del linguaggio che li contraddistingue e attraverso la narrazione di otto casi esemplari delle cronache del razzismo degli ultimi due anni. Cronache che la raccolta dei 398 casi monitorati sulla stampa tra l’1 gennaio 2007 e il 14 luglio 2009, qui descritti sommariamente, riesce a rappresentare solo in piccolissima parte.
Tra i molti protagonisti del razzismo quotidiano vi sono i giovani, nel ruolo di attori o di vittime. E’ questa una delle tendenze che devono più preoccuparci. Dovrebbe sollecitare le istituzioni e la società civile a guardare con maggiore attenzione i disagi, ma anche le aspettative, dei “figli dell’immigrazione”. Dovrebbe anche suggerire il rilancio delle politiche di inclusione sociale, una, anche se non la sola, delle scelte necessarie da intraprendere per combattere le molteplici forme del razzismo contemporaneo.
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A seguire, stralci dall'introduzione di Grazia Naletto al capitolo dedicato a "Il razzismo in prima pagina: alcuni casi esemplari"
“L’assassinio per mano della camorra di sei immigrati a Castelvolturno e le successive manifestazioni hanno dato la stura a tutti i luoghi comuni sulla situazione degli immigrati, sul loro ruolo e la loro condizione in quell’area ricca devastata del litorale di Napoli e Caserta, teatro della strage. Comincerei da qualche punto fermo. Non si è trattato – sembra ormai assodato – di un regolamento di conti. Questo è invece quel che si è detto subito, quello che in tutti gli ambienti di destra (e in larghi ambienti di sinistra) si è pensato e si continua irresponsabilmente a scrivere. I mass media, spesso in maniera inconsapevole, veicolano e riproducono stereotipi e luoghi comuni che hanno facile presa tra il pubblico proprio perché ne confermano la visione del mondo”.
Sono le parole di Enrico Pugliese scritte sul quotidiano il manifesto, qualche giorno dopo la strage compiuta dalla camorra a Castelvolturno, strage che ha provocato la morte di cinque lavoratori stranieri e il grave ferimento di un sesto immigrato. Parole lucide e purtroppo isolate, che ricordano, a partire dall’analisi di quel fatto atroce, come i media svolgano un ruolo centrale nella diffusione e nel consolidamento dei luoghi comuni e degli stereotipi con i quali sono etichettati i cittadini stranieri e che contribuiscono a trasformarli sempre più spesso in capri espiatori di paure e disagi sociali che hanno ben altre radici.
Numerosi studi relativi alla rappresentazione dei cittadini stranieri offerta dai mezzi di informazione hanno messo in evidenza come il fenomeno migratorio venga tematizzato soprattutto con riferimento al tema della sicurezza, della criminalità e del presunto, ma empiricamente difficilmente rilevabile, aumento della percezione di insicurezza dei cittadini.
Gli immigrati sono presi in considerazione dai media quasi esclusivamente quando sono protagonisti, come vittime o come autori del reato, di fatti di cronaca nera. Ciò che va osservato è che, nell’uno come nell’altro caso, la loro rappresentazione si fonda troppo spesso su stereotipi e pregiudizi che contribuiscono a sviluppare, veicolare e confermare l’idea secondo la quale la loro presenza “costituisce un problema” che mette a rischio il nostro sistema sociale e, dunque, la costruzione di un nuovo modello sociale policulturale si configura come una prospettiva non realistica.
Marcello Maneri individua, nello studio citato, nella metà degli anni ‘90 il periodo in cui la narrazione mediatica tende a privilegiare, molto più di quanto abbia fatto in passato, la proposizione del nesso causale tra immigrazione, sicurezza, criminalità e percezione dell’insicurezza, nesso che include progressivamente anche il riferimento alle situazioni di deterioramento delle aree urbane, cosiddette di “degrado sociale”.
La comunicazione di massa svolge un ruolo determinante nell’orientamento dell’opinione pubblica sempre più indotta a elaborare idee, giudizi e rappresentazioni dei fatti e dei fenomeni sociali in modo frettoloso, superficiale, semplificato e spesso sulla base di pulsioni emotive. Non può dunque essere sufficiente una denuncia generica del sistema dei media. Può forse risultare utile, piuttosto, cercare di sviluppare un’analisi attenta dei meccanismi di funzionamento, delle pratiche discorsive, dei dispositivi linguistici attraverso i quali i media contribuiscono a veicolare un’immagine “negativa, distorta, deumanizzante”, in sintesi discriminatoria, dei cittadini stranieri presenti nel nostro paese Le indagini e i monitoraggi quantitativi possono solo in parte svolgere questo compito. La decostruzione dei discorsi e dei processi comunicativi stigmatizzanti richiede un approfondimento a cui l’analisi qualitativa di singoli fatti, che hanno incontrato una grande visibilità sui media, può offrire un utile contributo.
Di seguito proponiamo la ricostruzione della rappresentazione mediatica di alcuni “casi esemplari”, fatti di cronaca che hanno coinvolto cittadini di origine straniera nel ruolo di vittime o nel ruolo di protagonisti. La scelta è inevitabilmente arbitraria: molti altri episodi di cronaca potrebbero entrare a far parte di questo piccolo repertorio di cronache di ordinario razzismo da intendere in senso duplice come cronache che raccontano episodi di razzismo (nel caso dell’uccisione di Abdul Guibre, dell’aggressione ai danni di Emmanuel Bonsu e di Navtej Singh e, sebbene la “notizia” principale veicolata in questo caso sia un’altra, di Ponticelli) e\o che producono una narrazione stigmatizzante e xenofoba di fatti di cronaca nera che vedono coinvolti come autori (veri o presunti) i cittadini di origine straniera (il caso di Erba, l’uccisione di Vanessa Russo e di Giovanna Reggiani, la violenza sessuale della Caffarella).
L’obiettivo che ci siamo proposti non è quello di puntare il dito sui media, ma piuttosto quello di esemplificare come l’interazione tra gli operatori dell’informazione, i rappresentanti istituzionali e dei partiti, gli esperti di volta in volta coinvolti e le reazioni più o meno rappresentative dell’opinione pubblica giochi un ruolo determinante nella trasformazione di un singolo evento di cronaca in un fatto di rilevanza nazionale.
Ciò vale in primo luogo per i casi di cronaca nera in cui tutti gli attori in gioco contribuiscono a costruire la rappresentazione di un’emergenza nazionale, quella della “sicurezza”, a partire dal e in ragione del fatto che l’autore o il presunto autore di un reato è di origine straniera. L’enfatizzazione di questo elemento consente, grazie alla preesistenza di un humus politico e culturale che ha già identificato a priori lo straniero con un potenziale criminale, l’attribuzione di una valenza generale a un evento particolare e la stigmatizzazione di un intero gruppo nazionale o, addirittura, dell’intera popolazione immigrata in quanto tale. La titolazione degli articoli e la narrazione del fatto si soffermano naturalmente in questi casi sulla storia, le caratteristiche, il comportamento dell’autore più che sulla dinamica dell’accaduto. Il linguaggio utilizzato è spesso espressionistico e inferiorizzante, finalizzato a marcare la differenza tra un “noi” e un “loro” (esemplare da questo punto di vista l’immagine proposta dai media di Doina Matei, la responsabile dell’aggressione che ha portato alla morte di Vanessa Russo). E quando questa distinzione rischia di infrangersi di fronte a degli imprevisti (ad esempio i risultati negativi dei test sul Dna di Alexandru Loyos Isztoika e di Karol Racz, sospettati, e poi risultati innocenti, della violenza della Caffarella) vengono messi in campo talvolta in modo paradossale (ancora nel caso della Caffarella, la diffusione di false e infondate informazioni sulla possibilità di individuare in base al Dna l’appartenenza nazionale dell’autore del reato) dispositivi comunicativi che cercano di confermarla.
Ma i discorsi discriminatori entrano spesso in gioco anche quando i cittadini stranieri sono le vittime di atti o di violenze razziste. Nel caso dell’uccisione di Abdul Guibre e dell’aggressione a Emmanuel Bonsu, la stampa nazionale ha svolto indubbiamente un ruolo cruciale di denuncia di quanto accaduto. Tuttavia non sono mancati i tentativi, effettuati soprattutto dalla stampa locale, di negare la natura razzista dei fatti (Abdul ladro di biscotti, la bravata dei tre giovani che hanno aggredito e incendiato Navtej Singh), di offuscarla (ipotizzando che sia stato lo stesso Emmanuel Bonsu ad apporre la scritta “negro” sulla busta consegnatagli dai vigili) o di ridurne l’importanza (sempre nel caso di Parma, dando visibilità al comitato locale in difesa dei vigili).
Un caso del tutto peculiare è poi quello di Ponticelli. A Ponticelli è successo che l’intera popolazione di un quartiere si è aizzata contro gli abitanti dei campi rom in cui risiedevano intere famiglie, dunque anche donne e bambini, incendiati da bottiglie molotov lanciate da alcuni ragazzi in motorino. La gravità e le reali motivazioni di quanto è successo sono stati quasi totalmente offuscati dalla narrazione del presunto tentativo di rapimento di una bambina da parte di una giovane sedicenne rom.
Gli interessi in gioco che intervengono a orientare e a strutturare il discorso mediatico sull’immigrazione sono molteplici e sembra illusorio ipotizzare che il mondo dell’informazione da solo possa mutare le caratteristiche della narrazione in modo tale da modificare il senso comune su questo fenomeno. Eppure, anche piccoli segnali che esprimessero una maggiore consapevolezza da parte degli operatori dell’informazione dei danni che la cattiva narrazione può produrre alimentando allarmi inesistenti e pregiudizi privi di fondamento, potrebbero contribuire a combattere il razzismo.
Il “Rapporto sul razzismo in Italia”, a cura di Grazia Naletto (Lunaria), edito da manifestolibri, in libreria dal 5 novembre, contiene scritti di: Paola Andrisani, Sergio Bontempelli, Alberto Burgio, Angelo Caputo, Giulia Cortellesi, Giuseppe Faso, Marcello Maneri, Grazia Naletto, Annamaria Rivera, Maurizia Russo Spena, Luciano Scagliotti
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