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Lutti

L'economia concreta di Nando Vianello

12/08/2009

Nando Vianello, economista, docente all'università La Sapienza di Roma, è scomparso l'11 agosto. Lo ricordano Guglielmo Ragozzino e Anna Maria Simonazzi, in due articoli pubblicati su “il manifesto”.

In gran segreto, un gruppo di persone, molto amiche di Fernando Vianello, stava preparando un libro di contributi per festeggiare con lui i suoi vigorosi settanta anni, tra pochi giorni. Ora possiamo dirlo, possiamo rompere il segreto, non c’è più Nando a schermirsi, a ridere dell’idea, a commuoversi senza lasciarlo vedere. Nando se ne è andato l’altra sera, dopo una lunga battaglia con il male, il mieloma, affrontata con pazienza e lucidità, insieme a Mariella e a Maddalena e Michele, e con il loro aiuto; cercando sempre di capire, di non farne un dramma, di non essere di peso.

Nando aveva idee molto precise e forti sull’economia e sul suo contrario e non amava frasi fatte e idee ricevute. Anche nel caso della piccola congiura degli amici, avrebbe offerto una lettura critica e attenta; e poi consigli utili, ricavati da cultura ed esperienza. In uno dei tantissimi articoli per il manifesto nel corso di decenni, scriveva, in ricordo di Paolo Sylos Labini, uno dei suoi maestri, (9 dicembre 2005), e parlava anche di sé: «.... La sua estraneità alla teoria neoclassica non avrebbe potuto essere più radicale. Il marginalismo, per lui, non era l’economia, ma la malattia che l’aveva divorata. L’economia non doveva essere intesa come una disciplina deduttiva che da pochi generalissimi postulati – la massimizzazione dell’utilità e del profitto – fa discendere tutte le possibili conclusioni sul comportamento individuale e collettivo (...) Se l’economia doveva spiegare i processi reali, è a partire dall’osservazione, e non da astratti postulati, che essa doveva essere costruita».
Era un buon compagno, Nando e le delusioni della sinistra non lo scoraggiavano troppo. Un po’ scettico, non si tirava indietro. Lo ricordiamo il 2 febbraio di quest’anno, dentro il suo loden ormai troppo largo, davanti al Parlamento, alla fiaccolata indetta dai Medici senza frontiere, contro la possibile segnalazione di stranieri irregolari in caso di cure ospedaliere. Nando era lì, con evidente sforzo, come uno che sapeva, senza dubbi, quale fosse il suo dovere. Appoggiare le buone pratiche; contestare, per quanto possibile, la cattiva economia, la cattiva politica. (guglielmo ragozzino)

Che cos’è che l’economista economizza, si chiedeva D.H. Robertson. “La risposta, osserva Nando, non è meno singolare della domanda. Ciò che l’economista economizza è infatti, secondo Robertson, ‘quella risorsa scarsa rappresentata dall’amore’”. Se questo è vero, Nando Vianello non è stato un buon economista. Non è questo il momento per un apprezzamento completo del suo contributo scientifico. Vorrei qui solo limitarmi a ricordare come Nando ha interpretato il “mestiere dell’economista”, e spiegare così perché sia stato così amato e rispettato da studenti e colleghi.
Nella sua attività di ricercatore, Nando è partito dal presupposto contrario rispetto a quello di Robertson, e cioè che la solidarietà, lungi dall’essere “una risorsa soggetta a un rapido esaurimento”, è piuttosto come osservato da Fred Hirsch “una facoltà umana che si rafforza con l’esercizio e che rischia, se non esercitata, di atrofizzarsi”, e ha fatto proprio l’incoraggiamento di Haavelmo a “considerare come facente parte a pieno titolo della teoria economica la ricerca di ‘regole del gioco’ adeguate alle finalità solidaristiche che la società si dà”.
Di qui la sua perenne opera di demistificazione delle “compatibilità”, che nascondono in realtà “precisi rapporti di potere”. Non per negare l’esistenza di vincoli, di conflitti fra obiettivi, e dunque la necessità di scelte, ma per mettere in luce appunto che di scelte si tratta, e che è dovere dello studioso chiarire quali implicazioni, in termini di distribuzione dei sacrifici, discendano dalle scelte fatte, ed esplorare e eventualmente indicare la percorribilità di strade alternative. La scelta di Nando, in campo teorico come nei suoi scritti di politica economica, è stata quella di esplorare le condizioni che, nel mutare delle circostanze economiche e istituzionali, rendessero possibile conciliare una distribuzione del reddito equa con una occupazione elevata.
Nella sua attività di docente, Nando ha trasmesso agli studenti la passione per una economia politica che, combinando rigore logico e “intelligente pragmatismo” potesse aiutare a capire aspetti importanti del mondo reale, alla ricerca continua di “interpretazioni diverse in diversi momenti e contesti”. Un insegnamento che era, nel metodo, nei contenuti, nelle finalità, distante anni luce dalla teoria che è venuta affermandosi, specialmente in macroeconomia “dove il più screditato armamentario neoclassico non ha mai smesso di essere impiegato”. Gli avvenimenti recenti, la paura scatenata dai rischi di deflazione dei prezzi in Giappone e nel mondo, le crisi finanziarie e reali, gli fornivano l’occasione di mettere a nudo le difficoltà della teoria dominante. “Se tuttavia nella caduta dei prezzi si ravvisa un male da evitare, e non un bene da promuovere, - si legge in un articolo pubblicato sul Manifesto del 31 maggio 2003 a proposito della paura di deflazione generalizzata innescata dalla possibilità di una caduta dei prezzi - a dubitare di se stessi dovrebbero essere non solo i banchieri centrali, ma anche gli economisti. E particolarmente quelli impegnati nelle Università. Poiché ciò che essi insegnano ai loro studenti è, nove volte su dieci, che la diminuzione dei salari monetari e dei prezzi è sempre in grado di garantire la piena occupazione.” La critica alla teoria della flessibilità dei prezzi e dei salari come condizione sufficiente per il raggiungimento dell’equilibrio di pieno impiego ha rappresentato un punto centrale della sua analisi di Keynes. Ma lo studio di Keynes, dei classici e di Sraffa gli ha anche consentito di cercare di costruire spiegazioni alternative su basi teoriche più solide. Nei suoi corsi, a Modena prima, e a Roma poi, non importa a quale livello, ha interpretato questo mestiere come un impegno continuo nel combattere “la fuga verso l’irrilevanza”, nello svelare le basi ideologiche, gli errori analitici, occultati o semplicemente messi da parte, su cui si fonda la teoria prevalente, riportare la teoria economica nell’ambito di una interazione continua fra teoria e osservazione della realtà. O, come dicevano i suoi studenti, “insegnava loro a ragionare”.
Non è questa, dicevo all’inizio, l’occasione del riconoscimento scientifico; questo è il momento della commozione e del lutto. E, vedete, già mi manca. Gli avrei infatti mandato queste righe, ne avremmo discusso insieme, le avremmo ponderate cento volte, apportando cambiamenti grandi e piccoli, via via sempre più invisibili, fino a ottenere una versione che avrebbe ritenuto accettabile… Non c’è più tempo. (Anna Maria Simonazzi)

da "il manifesto", 12-08-2009

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