Ha fatto un certo rumore, pochi giorni fa, la diffusione dei dati sulle domande giunte per il cosiddetto “bonus giovani”: circa 13.000 richieste al 31 ottobre 2013, per l’accesso a un beneficio che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe portare a 100.000 assunzioni in tre anni. È un mezzo flop, come ha scritto il Corriere della Sera? O solo l’inizio di una politica che va valutata nel medio periodo, come ha risposto il ministro Giovannini in una lettera allo stesso giornale? E, nell’uno e nell’altro caso, su cosa va valutato il successo di una tale politica? La risposta a queste domande è cruciale, perché quella degli incentivi selettivi per i giovani è la principale strategia in campo al momento (a livello europeo e nazionale), sulla quale si concentrano le poche risorse che ci sono: dunque, avendo poche fiches, è essenziale giocarsele bene. Inoltre, un’attenta valutazione degli effetti di tali politiche è a maggior ragione importante in un’ottica di genere, sia perché le donne giovani – soprattutto quelle del Mezzogiorno - sono la componente più debole del mercato del lavoro (il tasso di occupazione femminile, in aumento nella media, è invece in calo tra le giovani) , sia perché è ad esse che spesso vengono indirizzate specifiche politiche di incentivazione e sostegno.
I numeri e i bonus
Non è certo una novità, il fatto che in tutt’Europa e in particolare nei paesi nei quali la grande recessione ha colpito di più – l’Italia tra questi – i giovani ne siano stati la principale vittima. Come si vede dalla tabella 1, dal 2007 (anno precedente l’inizio della crisi) al 2012 in Europa l’occupazione dei giovani dai 15 ai 29 anni è diminuita di quasi 6 milioni di unità, segnando un calo del 12%; in Italia di 785.000 unità, con una riduzione di circa il 20%. La caduta dell'occupazione giovanile (decrescente rispetto all'età) è molto più forte in Italia rispetto all'Ue, ed è maggiore per i maschi rispetto alle femmine, ma la perdita di giovani donne occupate è decisamente elevata in Italia.