Questa crisi ha ridotto le distanze tra donne e uomini nel mondo del lavoro, ma al ribasso e, secondo i dati europei, meno in Italia che in Europa. Il "meno" del nostro paese riguarda in particolare le differenze di salario per ora lavorata certificate dai dati europei. Nella media dell’Unione lo scarto percentuale del salario femminile rispetto a quello maschile - il "gender pay gap" per dirlo in inglese - era sceso di circa un punto percentuale nel 2011 rispetto al valore stimato nell’anno di inizio della crisi (16,2 percento contro il 17,3 nel 2008). L’andamento rilevato per l’Unione europea nel suo insieme è il risultato di una riduzione in 16 paesi mentre nei rimanenti paesi – Italia inclusa - il differenziale è rimasto stabile, è salito, o non si conosce il dato. Il nostro paese è il terzo più "virtuoso" dell’Unione poiché da noi le donne guadagnano su base oraria "solo" il 5,8% in meno degli uomini; ma il dato italiano risulta in salita rispetto al 2008 quando si attestava al 4,9%.
Perché dunque questi andamenti di segno opposto in Europa e in Italia? E il chiudersi della forbice in Europa è destinato a durare, così come il suo riaprirsi in Italia? Le variazioni sono ancora di entità piuttosto modesta in termini assoluti, ma la crisi potrebbe avere innescato o alimentato tendenze su cui conviene indagare. Un primo pezzo di indagine ci viene offerto dal rapporto del network Enege sulle ripercussioni occupazionali e di welfare della crisi in atto, che riprendo e aggiorno in questa nota.
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