Quando nell’autunno del 2008 crollò la Lehman Brothers, minacciando il collasso dell’intero sistema finanziario americano, la crisi fu paragonata a a quella del 1929. Un paragone allarmante, poiché richiamava alla memoria gli anni della Grande Depressione con le sue ripercussioni in Europa e nel resto del mondo. Ma c’era anche una ragione di conforto. Se si conosce la malattia, la sua origine e i suoi sviluppi, si sa anche quali sono i rischi che comporta e come si può combatterla.
Ma sono passati più di cinque anni e ora sappiamo che la crisi dell’eurozona è stata combattuta con armi sbagliate, e la guerra è stata perduta. L’eurozona è in preda a una seconda recessione dopo quella iniziale del 2009, con un tasso di disoccupazione esplosivo, che ha oltrepassato il 12 per cento all’inizio del 2013, mentre in Spagna e Grecia ha superato la mostruosa soglia del 25 per cento (si veda l’articolo di Ruggero Paladini)
.In questo scenario, il caso dell’Italia, più degli altri, svela in modo trasparente l’assurdità della politica europea. A differenza di Spagna e Irlanda, infatti, l’Italia non ha dovuto fronteggiare una crisi bancaria determinata dallo scoppio della bolla immobiliare. E differentemente dal Portogallo e dalla Grecia, l’Italia alla vigilia della crisi, aveva registrato nel 2007 un disavanzo di bilancio dell’1,6 ben al disotto del fatidico tre per cento prescritto dal trattato di Maastricht.