L'articolo 18 ha colpito ancora. L'attenzione spasmodica e quasi esclusiva sulla riforma della “flessibilità in uscita”, e la rottura della trattativa con la Cgil sul nuovo regime dei licenziamenti individuali ingiustificati nelle grandi imprese, hanno per ora offuscato le altre questioni oggetto della riforma del mercato del lavoro: sia l'intervento normativo sulla flessibilità in entrata, assai abbondante con i 46 modelli contrattuali adesso esistenti, sia la riforma degli ammortizzatori sociali – che entrerà a regime, secondo la proposta governativa, solo nel 2017. Entrambi questi aspetti sono cruciali per il futuro del sistema del lavoro e della protezione sociale, e in particolare per le donne, sovra-rappresentate nel lavoro non standard e nella parte meno tutelata del lavoro standard. In questo articolo cercheremo di spiegare perché, e quali sono a nostro avviso i limiti di un intervento di riforma che pare ancora una volta modellato sul pilastro centrale del rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato. Gli interventi proposti cercano di ridurre un po' la precarietà degli outsiders, dando loro qualche chance in più di entrare nel mondo delle tutele, senza però cambiarne sostanzialmente l'impianto. In altre parole, una riforma che guarda al passato più che al futuro.
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