Quello che accadrà all’Imu sulla prima casa potrebbe addirittura determinare le sorti del Governo Letta. Importante dunque conoscere quale sia l’impatto distributivo complessivo dell’attuale tributo sul possesso degli immobili. E le conseguenze distributive di una sua parziale eliminazione.
PATRIMONIALE ALL’ITALIANA
Il dibattito politico in questi giorni è nuovamente dominato dall’imposizione immobiliare. Sembra addirittura che la sorte del Governo dipenda dall’eliminazione dell’Imu sulla prima casa. Non c’è dubbio che la sensibilità dell’opinione pubblica su questo tema dipenda dall’alta quota di famiglie che è proprietaria dell’abitazione (oltre il 70 per cento). La sensibilità è ancora più marcata oggi, poiché in un periodo di crisi economica per molte famiglie può essere difficile affrontare il pagamento dell’imposta. È dunque importante conoscere sia l’impatto distributivo complessivo dell’attuale tributo sul possesso degli immobili, sia le conseguenze distributive derivanti dall’esenzione delle abitazioni di residenza.
In Italia non c’è una vera e propria imposta sul complesso del patrimonio personale; abbiamo un’imposta su ogni singolo immobile, fondamentale per finanziare le spese dei comuni. L’obiettivo principale dell’Imu non è dunque la redistribuzione del reddito e della ricchezza, che dovrebbe essere perseguita con altri strumenti. Ma in Italia il dibattito sembra focalizzarsi solo sul suo impatto sul reddito monetario delle famiglie, dimenticando che a parità di reddito monetario due famiglie con diverse proprietà immobiliari non sono sullo stesso piano. E dimenticando anche che una quota rilevante dell’l’Imu viene pagata dalle imprese, non solo dalle famiglie.
Date queste premesse, vediamo come si distribuisce l’Imu sulla base dell’indagine Silc (Statistics on income and living conditions) del 2008, che rileva le caratteristiche delle famiglie italiane nel 2008 e i redditi e le imposte del 2007, compresa l’Ici. Su questo dataset abbiamo ricostruito le rendite catastali e quindi simulato l’Imu pagata dalle famiglie, considerando solo gli immobili da esse posseduti ed escludendo quindi le imposte versate dalle imprese.
Trattandosi di imposte patrimoniali, la loro incidenza va calcolata sul patrimonio oppure sul reddito? Se si usa il reddito, quale definizione è più appropriata? Utilizziamo qui la nozione di reddito disponibile monetario comprensivo dell’affitto imputato sulla casa di residenza, al netto degli interessi passivi su eventuali mutui e delle spese di mantenimento dell’abitazione. Attribuiamo così un reddito reale alle famiglie che, a parità di reddito monetario, vivono in proprietà rispetto alle altre, poiché l’affitto imputato è economicamente un autoconsumo.
L’INCIDENZA DELL’IMU SUL REDDITO DISPONIBILE E SULL’ISEE
Se consideriamo tutte le famiglie che sono soggetti passivi dell’imposta sulla prima casa, (figura 1) sia l’Ici sia l’Imu sull’abitazione di residenza sono sostanzialmente proporzionali, fatta eccezione per il primo decile. Questo risultato non è sorprendente: le rendite catastali sono non solo molto basse, circa un decimo del fitto imputato, ma crescono poco all’aumentare del reddito: rispetto al reddito, quindi, l’imposta penalizza leggermente le famiglie più povere. Nonostante ciò, la composizione del gettito è fortemente concentrata, soprattutto per l’Imu: più della metà del gettito è pagato dagli ultimi tre decili. Letto in altri termini, questo significa che l’eliminazione dell’Imu sulla prima casa andrebbe a vantaggio prevalentemente dei decili elevati di famiglie.