Con l'indebitamento netto italiano che veleggia verso il 5% del Pil e trascina il debito verso il 120%, i margini per Tremonti si fanno sempre più risicati. Soprattutto perché la crisi, lungi dal «far uscire l'Italia più forte», sta mordendo il nostro paese più degli altri, come dimostra il fatto che l'Italia è l'unico tra i grandi paesi Ue che ha fatto registrare una crescita negativa nel 2008 e è uno di quelli più colpiti nel 2009.
Servirebbero, in questo contesto, politiche attive di spesa, produttiva e sociale, e una gestione attenta delle entrate tributarie.
Invece, accade il contrario.
Sul fronte della spesa l'intervento è minimale, e sul fronte delle entrate la gestione è tutto meno che attenta.
Il governo sostiene che sta facendo la lotta all'evasione, e ha messo nelle previsioni di bilancio 2,4 miliardi di maggiori entrate da accertamenti nel biennio 2009-2010. L'esperienza dimostra che queste sono entrate virtuali: non è detto che ci saranno e che, comunque, faranno ben fatica a trasformarsi in «soldi veri» (ogni 100 euro accertati in media se ne incassano 7 secondo i calcoli della Corte dei Conti).
Ma, soprattutto, sono gocce nel mare montante dell'evasione.
Già nel 2008 è successa una cosa che solo l'evasione può spiegare: pure essendo aumentato, seppur di poco, il Prodotto interno lordo nominale (+1,8 per cento) il gettito Iva si è ridotto (-1,6 per cento). Per quanto gli italiani possano avere adattato i consumi alla crisi, comprando più alimenti che sono tassati con aliquota ridotta e meno beni tassati con l'aliquota ordinaria del 20 per cento, un fenomeno del genere non è spiegabile senza ipotizzare che l'evasione della sola Iva sia aumentata di almeno 4-5 miliardi. E i dati del primo trimestre 2009 sono ancora peggiori: a fronte di un calo del Pil di circa il 6 per cento, il gettito Iva è crollato del 10,6 per cento.
Questi dati sono spiegabilissimi, e erano in qualche misura anche prevedibili. La letteratura economica dimostra infatti che l'evasione aumenta nei periodi di recessione perché l'evasione da noi funziona come una sorta di ammortizzatore sociale occulto: mantiene in vita centinaia di migliaia di piccole imprese e piccoli negozi che, altrimenti, sarebbero schiacciati dalla concorrenza e finirebbero fuori mercato. Recuperare risorse dall'evasione richiederebbe quindi di ripensare alla struttura produttiva del paese e al sistema degli ammortizzatori sociali, eventualmente estendendoli ai precari e a coloro che hanno avviato un'attività economica o un'impresa familiare perché non avevano alternative. Tuttavia, non è evidentemente questa l'intenzione del governo. che dichiara più o meno esplicitamente di tollerare l'evasione «dei piccoli» per concentrarsi su quella «dei grandi». Un'affermazione demagogica considerando che il 95 per cento delle attività economiche italiane sono di dimensione piccole o piccolissime e il 70 per cento delle ricchezza italiana è prodotta dalle Piccole e medie imprese.
Non si deve pensare che l'evasione sia un destino necessario per il nostro paese. E' demagogico affermare che l'evasione può sparire con la bacchetta magica, ma i dati dimostrano che le politiche e gli atteggiamenti contano.
Al riguardo va sottolineato il fatto, sostanzialmente sottaciuto all'opinione pubblica, che la riduzione dell'evasione nel 2006 è stata in buona misura «certificata» dall'Istat nel giugno del 2008. Il valore aggiunto prodotto dall'economia sommersa come stimato dall'Istat, infatti, si è ridotto nel 2006 di un importo compreso tra i 3,1 e i 4,1 miliardi di euro rispetto al 2005. Ma l'aspetto più rilevante di questa riduzione sta nella sua scomposizione per fonte: la voce più direttamente legata all'evasione delle imposte, definita dall'Istat «correzione del fatturato e dei costi intermedi», ha infatti registrato, nel 2006 una riduzione di 5,5 miliardi di euro. E' dunque l'Istat a confermare gli effetti ottenuti dal governo Prodi nella lotta all'evasione già dal 2006, e ripetuti nel 2007.
Cosa implica, invece, la ripresa dell'evasione dal 2008 in poi? Implica che i conti pubblici incorporino l'evasione e, soprattutto, che si creino buchi da far coprire ai soliti noti. Basti pensare che nelle previsioni della Ruef (Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica) il calo delle imposte indirette (di cui l'Iva è la principale) è previsto essere, in termini relativi, appena superiore a quello del Pil nominale (3 per cento contro 2,8 per cento). Se invece si confermassero le tendenze del primo trimestre 2009, il calo delle imposte indirette potrebbe arrivare a superare il 5,5 per cento, creando un buco di bilancio di oltre 5 miliardi di euro, cui si aggiungeranno quelli derivanti dalle previsioni troppo ottimistiche formulate dal governo sulle manovra (una su tutte: la Robin Tax). Come verranno coperti questi soldi mancanti? Due sono sostanzialmente le possibilità: o verrà varata una nuova manovra di tagli alla spesa pubblica oppure si ricorrerà a un maxi-condono. Tra qualche settimana il governo varerà il Dpef e potremo verificare queste (infauste) previsioni.