Gli stranieri che dallo scorso 9 dicembre devono dimostrare di sapere l’italiano (livello A2) per avere il permesso di soggiorno a tempo indeterminato, possono fare la prova presso i CTP. Esentati dalla prova sono invece quelli che, sempre presso i CTP, seguono un corso di italiano di quel livello o di scuola media. Gli interessati, al momento, sono circa 400.000, ma altre decine di migliaia arriveranno tra poco, con il nuovo decreto flussi. Sono quelli che, grazie al “pacchetto sicurezza”, devono cumulare entro due anni dal primo permesso un certo numero di “punti” per non precipitare nel rischio di espulsione. E la certificazione dell’italiano A2 è uno degli obblighi che fa più punti.
Dunque le nostre scuole per adulti che da anni offrono formazione linguistica e sociale agli stranieri tornano in gioco. Una buona notizia prima di tutto per gli immigrati che non pagheranno le tariffe di accesso alla prova imposte dagli Enti certificatori (le Università per stranieri di Siena e Perugia, Roma3, Dante Alighieri); che usufruiranno – speriamo – di più sessioni l’anno (invece che delle poche assicurate dagli Enti); che troveranno nella scuola pubblica un’accoglienza e una solidarietà che altrove è merce parecchio scarsa. Ma è importante anche per i CTP. Non solo perché, sebbene solo perché il Ministero degli Interni non ha trovato altre soluzioni, si vedono riconosciuto un ruolo che una parte di loro ha saputo giocare con lungimiranza sociale e professionalità. Ma anche, diciamocelo, perché tutto ciò potrebbe tradursi in un felice azzoppamento di quel “nuovo” regolamento che, finalizzando esclusivamente al conseguimento di titoli formali anche i corsi di italiano lingua 2, ne minaccia seriamente l’estinzione. Potrebbe. Condizionale d’obbligo perché, per raggiungere l’obiettivo, ci vorrebbero iniziative politiche e culturali, e buone alleanze, anch’esse di questi tempi merce terribilmente scarsa. Per il momento, comunque, la musica è tutta diversa. Non a caso circolano sul web dure prese di posizione dei nostri migliori CTP, quelli che soprattutto nel Centro-Nord, per esempio i piemontesi, sono in prima fila nell’insegnamento dell’italiano agli stranieri (e anche nella loro formazione civica e culturale, nei percorsi integrati di formazione professionale, nell’orientamento). Cosa dicono i nostri? Che cosa temono? Dicono, prima di tutto, quello che tanta politica si guarda bene dal dire, cioè che è uno scandalo che a un obbligo – certificare un certo livello di conoscenza dell’italiano – non corrisponda l’impegno a finanziare un allargamento dell’offerta formativa, una migliore preparazione degli insegnanti, una dotazione specifica – servono i PC, per esempio – delle scuole. I CTP in questione, colpiti anche loro dai tagli, sanno che negli ultimi tempi sono stati costretti a respingere una parte delle iscrizioni (qualche giorno fa, la fila era talmente grossa, al CTP torinese di Porta Palazzo, il quartiere più multietnico della città, che la polizia è intervenuta “consigliando” di accettare tutte le domande). Prevedono che, quando l’informazione circolerà (ci sarà mai, in proposito, una qualche patinata pubblicità-progresso?) saranno tantissimi gli stranieri che busseranno alla loro porta. Sono certi che dovranno ricorrere al volontariato per far fronte a una domanda insostenibile. Temono che, soprattutto dove i CTP sono pochi e inesperti, saranno molti gli stranieri tagliati fuori da quello che, prima che un obbligo, dovrebbe essere riconosciuto come un diritto. Possibile che in Italia non si possa fare come in Europa, le centinaia di ore di formazione gratuita della Francia, della Danimarca, della Germania? Possibile, anzi certo. Le risorse stanziate sono solo quelle del Fondo Europeo per l’Immigrazione, e finalizzate esclusivamente al pagamento del lavoro aggiuntivo per la gestione delle sessioni di esami e l’elaborazione dei test (diversi ovviamente ogni sessione ) in base alle indicazioni degli Enti certificatori. Non basteranno per tutti – fatti quattro conti, ce ne sono per non più di 250.000 candidati. E comunque non bastano a retribuire dignitosamente un lavoro difficile, di forte responsabilità, per cui non tutti i CTP sono preparati. Mille euro a sessione (e quaranta candidati per sessione ), coprono – secondo contratto – non più di 15 ore di lavoro delle commissioni. Il che significa poco più di 20 minuti a candidato, per prove che accertano, come è giusto, tutte e quattro le abilità linguistiche, il parlare e lo scrivere, il comprendere e l’ascoltare.
E come si farà per i tanti che, pur parlando l’italiano, non sanno leggerlo e scriverlo perché analfabeti, o di alfabeti diversissimi dal nostro? C’è da scommettere che anche questa volta ci sarà chi in queste inquietudini vedrà solo il riflesso di egoismi corporativi. Ma in gioco qui c’è tutt’altro. La dignità degli stranieri, e anche quella di una scuola pubblica che viene chiamata a valutare ma che non ha tutte le risorse per fare il suo mestiere di insegnare.