L’effetto sociale più grave della crisi economica scoppiata alla fine del 2007 è l’impennata della disoccupazione. In Italia i senza lavoro sono più che raddoppiati rispetto al 2007 e oggi superano i 3,2 milioni. Anche nel 2014 la disoccupazione continuerà ad aumentare: secondo le previsioni del governo il tasso di disoccupazione a fine anno giungerà al 12,8%, contro il 6,1% del 2007. Non si tratta di uno scenario solo italiano, dal momento che nell’Eurozona si muovono oggi 19 milioni di disoccupati, ben 7 milioni in più rispetto al 2007, e alcuni paesi - come la Grecia e la Spagna - hanno visto addirittura triplicare la disoccupazione.
In questo contesto, gli interventi espansivi di politica fiscale vengono ostacolati dai vincoli sul deficit e sul debito pubblico previsti nei trattati europei. Insomma, in Europa continua a prevalere l’austerità, benché il suo insuccesso sia ormai sempre più spesso riconosciuto anche dai principali istituti di ricerca internazionali (ad esempio il FMI). L’attenzione si sposta allora sulle politiche del lavoro e in particolare sulla possibilità, sostenuta dalla letteratura economica più conservatrice, la stessa che difende l’austerity, che una sempre maggiore flessibilità del mercato del lavoro possa favorire la crescita occupazionale. In Italia, dopo la riforma Fornero, si prova con il decreto Poletti ad agire ancora sui contratti a termine, nella convinzione che una ulteriore liberalizzazione di questo tipo contrattuale possa fornire un contributo alla riduzione della disoccupazione. Per questa ragione, si interviene prevedendo, tra l’altro, l’eliminazione dell’obbligo di indicazione della causale economico-organizzativa, l’aumento del numero delle proroghe possibili, la trasformazione di obblighi ad assumere in sanzioni amministrative.
Si intende dunque procedere in continuità con il recente passato, inserendo dosi di maggiore flessibilità del mercato del lavoro italiano. Ma occorre chiedersi: le politiche di deregolamentazione e di riduzione delle protezione del lavoro che risultati hanno conseguito in questi anni in Europa e in Italia? E in particolare, la liberalizzazione dei rapporti di lavoro a termine ha avuto successo nel favorire la crescita occupazionale? Ebbene, l’esperienza storica a nostra disposizione, così come registrata dai dati ufficiali, ci permette oggi di affermare che queste politiche non hanno avuto alcun successo in Europa negli ultimi 25 anni. Pertanto, non vi sono ragioni per ritenere che l’inserimento di ulteriori dosi di flessibilità possa in qualche modo contribuire alla ripresa dell’occupazione in Italia e in Europa.