Tra i molti ambiti di confronto che si sono attivati al riguardo, intendo considerare le analisi proposte in questa rivista e nel Forum di “Sbilanciamoci”, “la rotta d’Europa” (http://old.sbilanciamoci.info/Forum) che, manifestando la medesima preoccupazione su come uscirà l’Italia da questa turbolenza, si differenziano nelle proposte di intervento.
È comune ad entrambi la valutazione della fragilità del nostro paese per l’accumularsi degli effetti di uno scarso dinamismo competitivo non contrastato da una politica economica “assente”; le conseguenti difficoltà in termini di precarizzazione e di disoccupazione – assieme a un’endemica malagestione della cosa pubblica - si sono tradotte in uno squilibrio dei conti pubblici, in pesanti contraccolpi sulla precaria situazione politica ed economica e in un deterioramento delle condizioni di vita delle fasce sociali più deboli, inclusi ampi settori del ceto medio.
Se vi è una sostanziale adesione a questa valutazione nei due forum, più nette sono le differenze su come fronteggiare la situazione. Nei contributi presenti in nelMerito è prevalente la ricerca di interventi in grado di superare gli squilibri strutturali della nostra economia, rappresentati dalla insufficiente crescita della competitività di sistema e dall’inadeguatezza dell’apparato pubblico. Nel Forum di Sbilanciamoci le critiche si rivolgono prevalentemente alle insufficienze dell’attuale assetto istituzionale europeo e le proposte si indirizzano alla ridefinizione del patto europeo per ricostruire a livello di Unione un’economia più solida e una società più equilibrata. Sono due prospettive che si pongono su piani diversi, ma non contradditori, anzi complementari.
La valutazione negativa sulla “manovra” del governo presente in nelMerito prende forza proprio dalla formulazione di proposte alternative per intaccare i due vincoli alla base della crisi - l’inadeguata competitività e lo squilibrio dei conti pubblici – la cui implementazione darebbe credibilità alla richiesta di sostegno finanziario avanzata all’Unione. Sono azioni che – come hanno ben sintetizzato Barucci e Messori (http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=412&Itemid=1) – si propongono obiettivi di trasformazione strutturale del settore pubblico con la riduzione dei costi della politica attraverso accorpamenti degli enti territoriali, ridefinizione del patto di stabilità interno in un contesto di trasparenza fondato su controlli e certificazioni. Per il ridimensionamento della spesa pubblica si propongono tagli selettivi per una sua riconversione gestita da un apparato amministrativo riqualificato, aspetto essenziale non solo per l’efficienza pubblica, ma anche per il rilancio di un patto sociale imprese-sindacati-governo che ridisegni le regole di un mercato del lavoro che contrasti il deperimento del capitale umano. Decisivo è lo sviluppo di forme di contrattazione salariale orientate alla crescita della produttività sulle linee da lungo tempo suggerite da Ciccarone e Saltari (http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=413&Itemid=1) accompa-gnate da una politica industriale in cui la “potatura” degli incentivi alle imprese assicurerebbe le risorse per incisive politiche “verticali' a sostegno dei processi innovativi avviati delle componenti più solide del nostro sistema industriale. Come suggerito da De Vincenti (http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=1391&Itemid=159) e da Grillo (http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=1443&Itemid=159), vanno adottati provvedimenti per favorire la concorrenzialità nei servizi di rete, nei servizi pubblici locali e nei servizi professionali. Gli interventi destinati alla ristrutturazione dei conti pubblici e alla ripresa della competitività richiedono tuttavia di essere integrati da una ridefinizione del welfare (e da una riforma del fisco) che, mentre razionalizza la spesa della previdenza e della sanità, si caratterizzi in termini di equità per segnalare che lo stato italiano non rinuncia al sostegno delle fasce sociali più deboli (anche se nel breve termine i costi di questa strategia possono essere pesanti).
Con questa proposta si intende fronteggiare nel breve periodo gli effetti dell’incompetenza dimostrata dalla politica economica del Governo nell’affrontare il difficile riequilibrio dei conti pubblici in un contesto di bassa crescita e riacquistare così quella credibilità internazionale, nei confronti sia dei mercati finanziari che dell’Unione europea, essenziale per allentare la pressione deflattiva proveniente da entrambi queste fonti.
Mercati finanziari e Unione europea sono questioni che, pur non assenti in nelMerito (come testimoniano anche i recenti interventi di Farina (http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=1459&Itemid=69) e Messori (http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=1394&Itemid=69), sono centrali nel Forum di Sbilanciamoci/Il Manifesto, il quale si apre proprio con la questione, posta da Rossana Rossanda (http://old.sbilanciamoci.info/Forum/Le-crisi-senza-Unione-9043), di quali siano le ragioni per cui l’Unione europea, costituita per garantire la comune crescita del benessere, sia poi risultata una inadeguata barriera a protezione delle proprie aree più fragili; e come si possa riparare a questo difetto. Il dibattito esprime l’insoddisfazione per l’attuale governance dell’Unione Europea e pone l’esigenza di modificare il suo funzionamento in modo che le difficoltà strutturali derivanti dalle asimmetrie reali e finanziarie dell’area non si traducano in un ulteriore deterioramento sociale con la diffusione della precarizzazione e con l’accentuarsi delle disuguaglianze intra e interstatuali.
La considerazione che la rinuncia a forme di controllo sui movimenti internazionali di capitali ha reso subalterne le scelte di politica economica, nazionali e europee, a un potere decisionale sovranazionale non ben identificato si ritiene che per un’uscita dalla crisi che garantisca uno sviluppo europeo più equilibrato risulti essenziale una revisione dei vincoli istituzionali, identificati appunto nei condizionamenti della finanza globale e nell’azione della BCE. In effetti, l’attuale contesto istituzionale ha condizionato il modo incerto con il quale l’Unione ha gestito l’intero percorso della crisi finanziaria mettendo in discussione la sua capacità “salvifica”. La possibilità di un’uscita dall’euro o di dichiarazioni di default da parte dei paesi della periferia sudoccidentale sono quindi diventate reali, anche perché tali eventi divengono sempre più probabili quanto maggiore è la sottovalutazione dei paesi “forti” dei vantaggi di più lungo periodo derivanti dall’assumersi le responsabilità politiche di un’unione economica.
Dal punto di vista economico, l’aspetto cruciale è che, per l’ampiezza ed eterogeneità dei paesi coinvolti, l’Unione europea è in costante potenziale squilibrio poiché le asimmetrie tra le diverse aree della zona valutaria sono inevitabili, persistenti e riproducentesi. Da qui la necessità politica di disporre di un “ombrello” che permetta ai paesi via via in difficoltà di resistere alle pressioni della finanza globale in modo da poter sanare i propri squilibri nei tempi necessari per un’opportuna ristrutturazione non deflazionistica. Non è solo interesse dei paesi in difficoltà, ma anche dell’Unione stessa, disporre di un “contropotere” finanziario a livello europeo che sia in grado di fronteggiare le pressioni speculative di brevissimo periodo e governare i processi di aggiustamento in modo che la diffusione degli effetti sistemici provenienti dalle difficoltà di singoli paesi non mettano in crisi la moneta europea. In effetti, sotto la pressione dell’attuale crisi, sembrano registrarsi passi in questa direzione, quali la proposta dell'Euro Plus Pact, l’avvio dell’EFSF, il confronto sugli Eurobond.
In questo diverso contesto, gli obiettivi della stessa BCE andrebbe più esplicitamente riorientati alla stabilità dell’assetto finanziario e quindi alla crescita e all’occupazione interna. La maggiore discrezionalità della politica monetaria avrebbe peraltro una giustificazione solo se inserita in una visione complessiva della politica economica (monetaria e fiscale) dell’intera Unione. Ne consegue che, per far parte di un assetto in cui le economie più “deboli” possano contare sul sostegno dell’Unione, è verosimile che esse debbano offrire contropartite politiche, tra le quali la rinuncia a parte della propria sovranità fiscale assoggettandosi ai vincoli di bilancio più stringenti richiesti dai paesi “forti”.
La ristrutturazione dei poteri fiscali nazionali e comunitari va allora interpretata come la risposta politica necessaria a promuovere lo sviluppo di un modello di società europea. A tale fine è cruciale la ridefinizione del potere di partecipazione e di controllo democratico sugli obiettivi da perseguire e sui soggetti istituzionali delegati a gestirli, facendo tesoro delle difficoltà – ricordate da Frassoni (http://old.sbilanciamoci.info/Forum/L-Europa-che-c-e-e-la-politica-per-cambiarla-10073) e da Lundvall (http://old.sbilanciamoci.info/Forum/Quando-l-Europa-ha-svoltato-a-destra-10092) – che ha incontrato il processo costituzionale europeo e la Strategia di Lisbona nel voler coniugare un’economia più competitiva e dinamica con una crescita economica sostenibile, una maggiore e migliore occupazione e una più forte coesione sociale. È la questione (espressa anche da Fassina, http://old.sbilanciamoci.info/Forum/L-Europa-salvi-l-Europa-9402) di come costruire una governance democratica dell’Unione che permetta di svincolarsi, da un lato, dalla subordinazione dei mercati e, dall’altro, dalla povertà progettuale di visioni nazionalmente ristrette e contrastare la montante disaffezione nei confronti dell’Europa dei sempre più ampi strati sociali colpiti dalla crisi.
Per una riforma delle istituzioni europee che sostenga un modello avanzato di società europea è quindi essenziale, come ricordato da Amato (http://old.sbilanciamoci.info/Forum/L-Unione-che-serve.-Intervista-a-Giuliano-Amato-9966), la costruzione di un assetto di politica economica capace di difendere il proprio modello economico e sociale e quindi di garantire condizioni di convivenza di lungo periodo tra le diverse aree quali che siano le asimmetrie e le fragilità esistenti o sopravvenienti. La presenza – tra gli stati e all’interno di essi – di visioni opposte di società che si intende realizzare impone di sostenere un forte impegno culturale per dare consistenza a un progetto credibile che, integrando i due piani della discussione – gli interventi nazionali per fronteggiare nell’immediato la crisi e la proposta di costruire una democrazia di qualità nei tempi più lunghi – facciano emergere una prospettiva articolata, solida e coerente che, superando le difficoltà di comunicazione e quelle elettorali, sia capace di aggregare ampi settori nazionali ed europei in una prospettiva garante di un futuro comune di crescita del benessere e di stabilità sociale.