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Turni di 12 ore e dormitori, l’Europa di Foxconn sembra la Cina

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Devi Sacchetto ha condotto (assieme a Rutvica Andrijasevic) una ricerca sugli stabilimenti Foxconn nella Repubblica Ceca e in Turchia. Il lavoro del docente di “Sociologia del lavoro” all’Università di Padova e della sua collega ha evidenziato similitudini e differenze tra il modo di produrre della multinazionale taiwanese dell’elettronica (tristemente nota in Cina come “La fabbrica dei suicidi”) in Europa e nella Repubblica popolare. “Ci sono alcune analogie – ci spiega Sacchetto -, come quella del subappalto o delle agenzie, molto più pronunciata in Europa, ma che si sta facendo strada anche in Cina”. Sacchetto, curatore assieme al suo collega di università Ferruccio Gambino del volume “La fabbrica globale” ( pubblicato da ombre corte) sottolinea che, soprattutto, persiste il problematico rapporto tra grandi brand (in questo caso Apple, HP e tanti altri) e chi produce (Foxconn), che vorrebbe rimanere nell’invisibilità: “una caratteristica non certo cinese, sviluppata piuttosto nei paesi occidentali per scaricare su altri (i fornitori) tutto il peso della gestione della forza lavoro e di salari bassissimi e tassi di profitto irrisori, necessari per generare quelli stratosferici del brand che appalta la produzione”.

 

 

 

Professor Sacchetto, l’ultimo suicidio in un impianto cinese di Foxconn è stato registrato nell’agosto scorso. Quali condizioni di lavoro avete riscontrato invece nel corso della vostra ricerca, condotta nella Repubblica Ceca, dove Foxconn impiega 9.000 lavoratori, e in Turchia, dove ha circa 400 dipendenti ?

 

Per quanto riguarda la Cina il nostro impegno è stato soprattutto quello di portare all’attenzione del pubblico italiano dei lavori (i saggi di Pun Ngai, Han Yuchen, Guo Yuhua e altri, raccolti in “Nella fabbrica Globale”) che ci sembrano particolarmente interessanti. Ci risulta che in Cina Foxconn non abbia migliorato se non in misura minima le condizioni che possono aver contribuito all’ondata di suicidi di operai del 2010 (14 nel solo parco industriale di Shenzhen), salvo forse aver limitato i rapporti più “feroci” che si registravano all’interno dei suoi stabilimenti, cioè il controllo ferreo da parte delle guardie giurate sui lavoratori. Ma, da quanto ci riferiscono i ricercatori locali con cui siamo in contatto, da allora non sono stati registrati cambiamenti sostanziali e il sindacato (quello ufficiale è legato al Partito comunista cinese, ndr) rimane una costola fondamentale nella gestione della forza lavoro. Anche se i nostri colleghi spingono molto su questo punto, in un’azienda con circa 1 milione di dipendenti come Foxconn (in Cina il primo datore di lavoro del settore privato, ndr) è complicato collegare direttamente la questione dei suicidi ai ritmi di lavoro. Tuttavia è certo che mansioni altamente ripetitive, la dimensione enorme degli stabilimenti e le condizioni di lavoro causano alienazione, isolamento, schiacciamento della propria identità.

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Tratto da www.cinaforum.net
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