Giornata suggestiva quella del 30 aprile, quando la ministra allo Sviluppo economico Federica Guidi si è presentata in aula al question time della Camera per rispondere al Movimento 5 Stelle, che le chiedeva “quando – e non è la prima volta che lo chiediamo – i dettagli dell’accordo TTIP saranno resi pubblici. Il Parlamento e le Commissioni competenti ne devono essere assolutamente informati (…) perché il tempo è importante e perché degli accordi internazionali a sorpresa, dei quali si conoscono dopo gli effetti, i cittadini, e noi che li rappresentiamo, ci siamo stancati”. Quesito diretto, risposta creative, perché la ministra ha descritto all’aula un accordo che non c’è. Che forse lei auspica, desidera, ma che nei fatti non esiste. Entriamo nei dettagli. Innanzitutto la dimensione europea del consenso al TTIP: «il negoziato viene anche fortemente sostenuto da tutti gli Stati membri dell’Unione», dice la ministro. Peccato che la Francia si sia Battuta per far escludere il settore degli audiovisivi, a lei molto caro, si dai tempi del mandato a negoziare dato alla Commissione, e che la Germania, Confindustria nazionale in testa, da mesi non fa che chiedere alla Commissione assicurazioni di varia natura sull’andamento delle trattative. La segretaria di Stato presso il ministero dell’Economia e dell’Energia Brigitte Zypries, audita il 12 marzo scorso alla Camera Bassa, aveva spiegato che il Governo federale è contrario all’approvazione di un TTIP che preveda l’introduzione del meccanismo di protezione degli investimenti, solo parzialmente corretto da un comunicato ufficiale del ministero che ha precisato che la Germania sarà favorevole anche all’ISDS, qualora esso si apra a quegli investitori che abbiano già superato i gradi di giudizio previsti dalla giustizia ordinaria. Una possibilità che fa sorridere. «Dalla prospettiva del Governo federale – ha spiegato la Zypries – gli investitori statunitensi hanno già in Europa una protezione legale sufficiente nei tribunali ordinari».