“È noto quale ideologia sia stata diffusa in forma capillare dai propagandisti della borghesia nelle masse del Settentrione: il Mezzogiorno è la palla di piombo che impedisce più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori, dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale; se il Mezzogiorno è arretrato, la colpa non è del sistema capitalista o di qualsivoglia altra causa storica., ma della natura che ha fatto i meridionali poltroni, incapaci, criminali, barbari, temperando questa sorte matrigna con l’esplosione puramente individuale di grandi geni, che sono come le solitarie palme in un arido e sterile deserto” (Antonio Gramsci, 1926)
E’ piuttosto enigmatica la posizione di Matteo Renzi sulle politiche per il Mezzogiorno. Alle critiche a lui rivolte per non aver neppure pronunciato la parola Sud nel discorso per la fiducia, il primo ministro ha seccamente replicato: “Basta parole in libertà”. Sarebbe come dire che del Mezzogiorno non si può parlare o che forse è proprio inutile parlarne.
E’ opinione diffusa che il Mezzogiorno sia l’area del Paese nella quale con la massima intensità si manifestano casi di spreco, di corruzione, di gestione inefficiente delle risorse pubbliche, e che le regioni meridionali siano state (e siano) oggetto di interventi meramente assistenziali, essendo fondamentalmente incapaci di porre le condizioni per una crescita non ‘eterodiretta’. In tal senso, e per luogo comune, si fa passare il messaggio per il quale il Sud (assistito) vive alle spalle di un Nord che produce. Si prova a legittimare questa conclusione con l’ipotesi secondo la quale nelle regioni meridionali è bassa la dotazione di “capitale sociale”, intendendo per capitale sociale la propensione al rispetto delle norme formali e informali.
Si tratta di una diagnosi estremamente opinabile, a ragione di queste considerazioni.