L’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) ha intrapreso un colossale processo di riforma, come prima di lei ha fatto la FAO, come sta facendo l’UNESCO.
L’OMS è malata, i sintomi della sua patologia numerosi e anche gravi: una visione ristretta sul proprio ruolo, mancanza di leadership, scarsa trasparenza, una legittimità pesantamente ammaccata negli ultimi anni dai ricorrenti episodi di commistione con l’industria farmaceutica (nel controverso caso della gestione della influenza A e H1N1[1], come nella selezione degli esperti di un gruppo di lavoro per il finanziamento dell’innovazione biomedica[2], solo per citare alcuni esempi).
La crisi è quindi profonda ed è crisi di identità, nel momento in cui gli scenari vorticosi e contraddittori della globalizzazione hanno favorito l’indiscussa affermazione di nuovi e assai influenti attori sulla scena della salute globale. Ma è anche crisi di gestione interna, tale da mettere a dura prova l’operatività stessa dell’agenzia. L’OMS ha perduto il controllo delle proprie finanze, e con esso la propria autonomia di azione[3].