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Le regioni che arginano la crisi sociale

14/09/2010

La crisi produttiva ed occupazionale in atto ha impattato anche sul sistema degli ammortizzatori sociali, mettendone ancora una volta in luce gli storici difetti: incapacità di raggiungere l’intero insieme dei disoccupati e forti disparità del livello di protezione accordato. D’altro canto la loro riforma continua a rimanere un mito, nonostante due ampie deleghe ricevute dai Governi di centro-sinistra nel passato (1999 e 2007) per intervenire in materia e l’accordo pressoché unanime delle forze politiche e sindacali sulla necessità di agire.

 

Del resto, anche l’Esecutivo in carica ha preferito solo rimaneggiare il sistema vigente ed anche quella che doveva costituire una delle linee guida portanti del nuovo sistema teorizzato il welfare negoziale – e cioè il rafforzamento del ruolo degli enti bilaterali promossi dalle parti sociali (sindacati e imprese) nella gestione e finanziamento dei trattamenti di sostegno al reddito – sembra rimanere allo stato attuale ancora sulla carta. L’impatto della crisi ha consigliato di adottare misure per alleviarne gli effetti, piuttosto che intervenire in profondità sul sistema.

 

Con la crisi si scopre il territorio

 

Ma è realmente mutato qualcosa nell’assetto del sistema nell’ultimo periodo? Un elemento di novità ci pare possa essere segnalato: il tendenziale spostamento sul territorio della gestione degli stessi ammortizzatori. Indizi di tale mutamento possono essere ricavati da alcuni interventi normativi realizzati nell’ultimo biennio. Una, per così dire, prova indiziaria, è costituita dalla avvenuta delega, ad opera della Finanziaria 2010, alle Province Autonome di Trento e Bolzano delle “funzioni in materia di gestione di cassa integrazione guadagni, disoccupazione e mobilità”. La delega, infatti, potrebbe rappresentare una svolta istituzionale in materia, in particolare ove riletta alla luce di quanto già avvenuto nel passato in materia di collocamento. Difatti, sono state proprio le Province Autonome, ad aver dato lo start al decentramento amministrativo in materia mercato del lavoro alla fine degli anni ‘90. In altre parole c’è da chiedersi se si tratti di una sperimentazione che, come nel passato, preannunci un più vasto conferimento di competenze in materia a favore degli enti locali.

 

Prove più consistenti, continuando nella metafora, possono essere invece ricavate, in primo luogo, dalla più recente disciplina relativa ai cosiddetti ammortizzatori sociali in deroga. Questi ultimi sono stati sperimentati fin dall’inizio del nuovo millennio proprio per superare la settorialità e i limiti di durata imposti dalla legge; così le leggi finanziarie, costantemente ogni anno, contengono una disposizione che autorizza il Ministro del lavoro a disporre di determinati stanziamenti al fine di concedere “in deroga alla vigente normativa” alcune tipologie di ammortizzatori. Ma è con un Accordo Stato-Regioni, stipulato nel febbraio 2009, che si sono introdotte importanti novità. Nell’intesa si è soprattutto – ed è questa la reale novità – disposto il diretto coinvolgimento economico delle Regioni nel finanziamento del sistema, prevedendo una, seppur diseguale (rispettivamente 70-30%), ripartizione tra centro e periferia della spesa stimata per il finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga. Il coinvolgimento finanziario regionale, e nello specifico delle quote del Fondo Sociale Europeo loro spettanti, ha comportato il necessario accrescimento delle funzioni gestionali a livello territoriale. D’altro canto, la compartecipazione finanziaria comunitaria e l’esigenza che tale spesa – secondo le regole europee – sia finalizzata al sostegno delle politiche attive del lavoro, ha determinato la valorizzazione delle istituzioni italiane competenti in tale ultima materia e vale a dire, appunto, le Regioni. Insomma l’accordo del 2009 sembra aver imposta una svolta regionalista alla gestione di questo particolare strumento.

 

Infine un ulteriore indizio di una certa territorializzazione degli ammortizzatori si può ricavare dal fatto che gli ultimi due anni hanno anche rappresentato per molte Regioni il momento per accelerare la costruzione, sulla spinta della crisi che scuoteva le strutture economiche-produttive del territorio, di sistemi di protezione del reddito integrativi-sostitutivi rispetto a quelli statali. Le misure sperimentate a livello regionale possono essere ricondotte a due principali finalità. In primo luogo sono stati disciplinati sostegni a favore dei soggetti già titolari di ammortizzatori sociali “forti”. In questo ambito rientrano ad es. la previsione di contributi regionali per favorire la conclusione dei contratti di solidarietà, oppure l’anticipazione finanziaria del trattamento di sostegno del reddito da parte della amministrazione regionale per evitare l’insorgere di situazioni di disagio.

 

Ed e’ nel territorio che si sperimentano tutele per gli esclusi

 

Un secondo gruppo di misure è invece dedicato ai lavoratori non tutelati da sistema generale. Alcune Regioni hanno infatti previsto interventi a favore di soggetti che, in virtù delle proprie condizioni lavorative (tipologie contrattuali flessibili, assenza dei requisiti assicurativi e di anzianità aziendale richiesti) non possono, in genere, accedere ai trattamenti statali. Calabria, Marche, Piemonte e Toscana hanno ad es. introdotto una indennità una tantum a favore di soggetti che hanno perso il lavoro a causa della crisi, sono privi di ammortizzatori sociali e, di conseguenza, hanno un reddito al di sotto di una certa soglia minima. Il sussidio è condizionato alla ricerca attiva di lavoro e prescinde dalla tipologia del rapporto di lavoro precedente, sicché quest’ultimo diviene neutrale ai fini del godimento del beneficio.

 

Tali ultime misure in parte presentano tratti comuni con la sperimentazione di forme di cosiddetto reddito di ultima istanza, promosse da Campania e Lazio. Sebbene anche il godimento di queste ultime sia sottoposto a mean test (controllo della situazione di bisogno) e a work test (controllo della disponibilità al lavoro), non ricorre tra i requisiti di accesso l’avvenuta perdita di un precedente lavoro, ma acquista rilievo la mancanza del lavoro e la situazione di bisogno che deriva da tale mancanza.

 

In conclusione la tendenza alla territorializzazione descritta certifica, innanzi tutto, la durezza dell’impatto della crisi sui sistemi territoriali, che ha imposto alle amministrazioni locali l’adozione di strumenti per alleviare le difficoltà dei lavoratori. D’altro canto pone anche dei dubbi, si pensi solo al fatto che tutte le misure regionali richiedono la residenza del beneficiario nell’area di riferimento, quale principale requisito per l’accesso al beneficio. La diffusione a macchia di leopardo delle misure, nonché il loro mancato radicamento – al momento – nelle aree più deboli del paese, mette in luce l’intrinseca debolezza di tali sviluppi, ove non adeguatamente accompagnati da una forte azione perequativa di livello nazionale.

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