Il 13 febbraio a Roma la piazza era piena, le vie dei dintorni brulicavano, si vedevano le terrazze del Pincio affollate, ovunque arrivasse lo sguardo c’erano donne e uomini, giovani, anziani, bambini con cartelli, adesivi, striscioni. E Piazza del Popolo era solo una delle duecentotrenta piazze, grandi e piccole, in Italia e anche all’estero, tutte altrettanto importanti.
Il giorno dopo si parlava dell’Italia che finalmente si è svegliata. Ma è mai stata addormentata? Non si direbbe, ricordando alcuni flash degli ultimi anni - l'Onda, Pomigliano, gli immigrati sulla gru a Brescia, la guerriglia della spazzatura, le carriole dell'Aquila. Il nostro è un paese attraversato dai conflitti, che però spesso sono rimasti invisibili sulla scena della politica. C’è un problema di attenzione e di ascolto, di silenzio sì, ma del silenzio di chi non vuol sentire.
In tale silenzio le donne hanno aperto una breccia. E in questa breccia noi vogliamo infilare la testa (portandoci dietro anche tutto il corpo, che è un ingrediente fondamentale della buona politica), per ragionare sulle risposte alla domanda di cambiamento che si è mostrata in piazza. Cominciamo a dire cosa e come cambiare, per cominciare risolvere i tanti problemi elencati e raccontati da quelle piazze: non solo il sessismo di stato dell'attuale premier - la questione più ingombrante e rilevante - ma anche tutto quello che non va per le donne nella politica, nell'economia e nella società.
L'elenco dei problemi è noto: occupazione femminile molto bassa, gap retributivo, “soffitto di cristallo” (scarsa presenza femminile nelle posizioni apicali delle istituzioni, della politica e dell'economia), bassa fecondità, ineguale ripartizione del lavoro di cura. Una condizione aggravata dallo stato del mercato del lavoro attuale, nel quale è la generazione precaria – e in essa, con peso particolare le donne - che sta pagando di più le conseguenze della crisi. Il tutto contrasta fortemente con il cambiamento della cultura, del ruolo e della presenza femminile nella società, e con l'aumento della qualificazione e dell'istruzione delle donne. Contro questo stato di cose, non c'è una bacchetta magica o una chiave universale, ma un elenco di strumenti – possibili, a portata di mano, già sperimentati in altri paesi o comunque ben raffinati nell'elaborazione teorica – a cui si può metter mano da subito. Proviamo qui ad elencarli, tirando le fila delle nostre e di altre proposte. Lo facciamo in forma di alfabeto: un alfabeto aperto, da cambiare, integrare e rileggere insieme.
A. Assegno di maternità universale. Un importo da corrispondersi per cinque mesi a tutte le madri, indipendentemente dal fatto che siano dipendenti o autonome, stabili o precarie, che lavorino o non lavorino ancora. L'attuale legislazione sulla maternità è modellata sulla donna lavoratrice dipendente, e non corrisponde più alla realtà: il 43% delle donne con meno di 40 anni non accede ai diritti delle lavoratrici “standard”. Proposta del gruppo Maternità-Paternità.
B. Bilancio di genere. Che ogni amministrazione, dal governo centrale ai comuni, valuti le proprie decisioni di bilancio in un'ottica di genere, per capire se vanno ad aumentare o diminuire le disuguaglianze attuali; e che ogni amministrazione dichiari in che misura gli obbiettivi che si propone con le proprie scelte di bilancio contribuiscano alla diminuzione delle disuguaglianze di genere. Il bilancio di genere assume particolare rilevanza in un momento in cui il ridimensionamento dei bilanci pubblici va a colpire in modo particolare servizi alla famiglia e alla persona, che cambiano in modo sensibile la vita e il lavoro delle donne. (Per un buon esempio si legga l'intervista all'assessora Dini sul bilancio di genere a San Giuliano Terme).
C. Congedi di paternità obbligatori, per un periodo di tempo non simbolico – da 6 a 12 settimane - nell'arco dei 4 mesi dopo il parto. E' una delle possibilità, della quale fortemente si discute in Europa, per cambiare la “C” di conciliazione: le misure finora tentate in Italia per aiutare la conciliazione tra lavoro retribuito e lavoro di cura non hanno ribaltato una posizione platealmente discriminatoria. Non si tratta più di aiutare le donne a conciliare casa e lavoro, ma di redistribuire il lavoro di cura tra donne e uomini. Fintanto che i diritti di congedo continueranno ad essere diseguali per madri e padri, le donne e gli uomini verranno spinti dalle imprese, dalle famiglie e dalla società a perpetuare i ruoli di genere tradizionali, oppure a distanziarsene solo al prezzo di grandi sacrifici delle donne che lavorano. Inoltre, molti studi dimostrano come in una coppia la nascita di un bambino sia un episodio cruciale nel processo di sedimentazione delle differenze economiche e di ruolo. Un riequilibrio del lavoro di cura aiuterebbe i padri ad andare incontro al loro desiderio (crescente, dicono le indagini) di presenza familiare, e le madri a distanziarsi da un modello sociale di “madre perfetta” che chiede performance sempre più elevate.
D. Distretti family-friendly. La conciliazione famiglia-lavoro, il riequilibrio dei ruoli, la gestione del part-time richiedono spesso pratiche difficili e a volte costose, soprattutto per le piccole imprese. Ma se messe in rete possono essere realizzate più facilmente e diventare un fattore di competitività. Si legga cosa racconta nei pressi di Mantona Arianna Visentini, consulente d'impresa.
E. Età della pensione. L'aumento dell'età di pensionamento delle donne, già in atto nei fatti da anni in Italia e in tutt'Europa (una sintesi la si può trovare nell'articolo di Corsi), è adesso sancito per legge nel pubblico impiego. La stessa legge prevede che i risparmi tornino alle donne, in forma di spesa per servizi di cura. Ma finora questo non è successo. Proponiamo un monitoraggio sistematico, pubblico e trasparente del “tesoretto” delle pensioni delle donne e del suo uso. Qui la proposta dell'associazione Pari o Dispare.
F. Fisco. La revisione del sistema di imposizione personale sul reddito, per incentivare il lavoro femminile e allo stesso tempo favorire i redditi più bassi e le famiglie numerose. Il dibattito politico corrente è concentrato sul modello del quoziente familiare, che tuttavia può scoraggiare il lavoro femminile, mentre evidenze empiriche mostrano che il rischio di povertà è maggiore nelle famiglie monoreddito (vedi articolo di redazione). Non a caso il quoziente familiare è stato abbandonato anche dal Forum famiglie che ha elaborato una diversa proposta (ne ha parlato Paladini su questo sito). Un fisco “women friendly” dovrebbe articolarsi in due mosse: 1) concessione di Working Family Tax Credit alle tipologie di donne a rischio di bassi salari e di esclusione del mercato del lavoro. Si tratta di un sussidio per ora lavorata che viene ridotto in modo graduale quando i guadagni superano una certa soglia. A seconda della tipologia di donna, la misura potrebbe essere affiancata dalla garanzia di servizi di cura all’infanzia gratuiti o comunque notevolmente sussidiati; 2) fiscalità di vantaggio a imprese che offrono servizi di cura.
G. Generazione zero. Ogni mese i dati Istat ci ricordano che il peso maggiore della crisi è sulle spalle dei più giovani. C'è un'intera generazione a rischio, sul mercato del lavoro. (v. articolo di Villa). Sistema contrattuale, regole, regime fiscale e contributivo, vanno ripensati per ridurre la flessibilità “subìta” e lasciare in piedi una flessibilità positiva, utile per la conciliazione dei tempi di vita e lavoro di donne e uomini.
I. Imprenditrici. Misure per l'imprenditoria femminile: 1) monitoraggio sulla discriminazione di genere nell'accesso al credito – evidenze recenti mostrano in Italia una penalizzazione delle imprese femminili allo sportello (v. articolo di Corsi su lavoce.info); 2) sostegno alle imprenditrici in maternità: un buon esempio è quello dell'imprenditore volante (una pratica avviata in Belgio e in Finlandia: un servizio a disposizione delle imprenditrici in maternità, che invia un sostituto/a nel periodo di assenza dall'azienda della titolare). 3) va valutata anche la possibilità di inserire un “bollino rosa” negli appalti pubblici, per allargare la presenza dell'imprenditoria femminile (articolo di Scott).
L. Legge 40. E' la legge più restrittiva in Europa in tema di procreazione assistita, ponendo il divieto di fecondazione eterologa ed entrando pesantemente nella procedura medica al fine di tutelare l'embrione, a scapito della salute della donna. In seguito a numerosi ricorsi, in particolare da parte di coppie portatrici di patologie, sulla legge è già intervenuta la giurisprudenza costituzionale. Una revisione della legge in senso antiprobizionista ci metterebbe in grado di tutelare la salute e il desiderio femminile, e affrontare con libertà e coscienza il dibattito aperto in tutto il mondo sulle frontiere della scienza, della bioetica e dell'alternativa regolamentazione/proibizione sui nascenti mercati della riproduzione. (Leggi l'articolo di Ergas).
M. Maternità. Oltre ai molteplici interventi già accennati (su assegno universale, paternità, conciliazione) occorre eliminare i costi della maternità che restano a carico del datore di lavoro (ne parla l'articolo di Gasbarrone), e trasferirli a carico dell'Inps o della fiscalità generale.
N. Nidi e altri servizi. L'Italia è a meno della metà della copertura indicata come obiettivo di Lisbona 2010 (33,3% di bambini da 0 a 3 anni all'asilo nido), e molte nostre regioni sono al di sotto del 5%. Il piano straordinario 2007-2010 si è chiuso e non è più stato rifinanziato, i comuni in crisi di bilancio tagliano i fondi. Gli asili nido sono l'argomento più usato quando si parla di donne lavoratrici, e il più negletto nella pratica. Il piano-nidi va rifinanziato. Ma allo stesso tempo vanno presi in pari considerazione tutti gli altri servizi per la cura, per toglierli dal peso della famiglia e farli entrare in una strategia nazionale dei servizi. Tale politica avrebbe il duplice affetto di favorire l'occupazione femminile – agevolando la conciliazione – e creare essa stessa occupazione in infrastrutture sociali (v. voce Occupazione).
O. Occupazione. La crisi economica non ha colpito solo le donne, ma l'austerity dei bilanci pubblici (in tutt'Europa) e l'impatto specifico della crisi sull'occupazione giovanile (soprattutto n Italia) colpiscono più le donne che gli uomini. Una strategia di genere per uscire dalla crisi prevede: misure orientate al sostegno del lavoro femminile; un rilancio della domanda pubblica che privilegi le infrastrutture sociali; un piano dei servizi per la cura degli anziani. Una strategia per la cura è anche una strategia per l'occupazione, come spiega l'articolo di Bettio e Simonazzi.
P. Pendolari. Aumento delle risorse per il trasporto collettivo, per arrivare a una riduzione dei tempi di spostamento nelle città. Una recente ricerca stima che quasi tutto il tempo “recuperato” dalle donne che lavorano in termini di riduzione del lavoro domestico è stato assorbito dagli spostamenti: la politica dei trasporti italiana, tradizionalmente orientata al trasporto privato a scapito di quello collettivo, non solo ha un impatto negativo sull'ambiente e sul benessere collettivo ma rende anche più difficile la conciliazione tra lavoro retribuito e di cura (qui si trovano utili info).
Q. Quote. La ridotta presenza femminile ai vertici politici – centrali e locali - richiede un intervento temporaneo e mirato con regole e azioni positive, sulla scia di quanto già è successo in molti paesi europei (sintesi dello stato delle cose e proposte nell'articolo di Corsi). Le soluzioni tecniche possibili sono molteplici e su di esse il dibattito è aperto (anche su questo sito: si veda il dossier "prendiamo quota") ma non si può prescindere, nella nuova legge elettorale, dall'introduzione di un meccanismo di quote che preveda una presenza paritaria delle donne nelle istituzioni, e sanzioni efficacemente le pratiche che vanno in direzione opposta. Ma se la politica è colpevole, l'economia non è da meno. La presenza femminile ai vertici delle società quotate in borsa è risibile: il 5%. Va approvata subito la legge in discussione - che il senato sta insabbiando - che prevede una presenza minima del 30% del genere meno rappresentato nei CdA delle società quotate e società pubbliche: previsione che va allargata alle municipalizzate, e assistita da sanzioni adeguate – la decadenza immediata del CdA che non rispetti i requisiti – senza le quali la previsione potrebbe restare lettera morta.
R. Ru 486. A oltre un anno di distanza dalla sua formale introduzione in Italia, la pillola per l'aborto farmacologico è distribuita in modo difforme e in condizioni diverse nel nostro territorio. Chiediamo che la RU486 diventi disponibile in tutte le Regioni, in tutte le Asl e in tutti le aziende ospedaliere, e affinché la terapia farmacologica venga somministrata secondo un protocollo unico nazionale che rispecchi il più possibile le evidenze e le indicazioni scientifico-mediche della comunità internazionale. (vedi gli articoli di Salerno-Sciandra e di Ronchetti)
S. Stage. Cosa succederebbe se si abolissero stage e tirocini gratuiti? Se si prevedesse una soglia di rimborso minima? Potrebbe essere un modo per limitare gli abusi e incentivare un maggior investimento da parte delle imprese sulla formazione delle e degli stagisti e tirocinanti. Lo stage retribuito potrebbe creare una soglia minima di reddito di entrata nel mondo del lavoro. Utili indicazioni nel Blog di Giovanna Cosenza in cui la docente dialoga con gli studenti su stage e tirocini.
T. Tempo pieno. Il tempo pieno è una proposta pedagogica di qualità per bambini e ragazzi oltre che un sostegno indiretto all’attività lavorativa dei genitori: è necessario dunque assicurarlo ed estenderne l’applicazione a tutto il territorio nazionale. Durante i periodi di vacanza scolastica, in Italia molto più lunghi che negli altri Paesi europei, si propone l’utilizzo fino a fine luglio delle scuole con programmi appositi per bambini e ragazzi attraverso l’utilizzo degli insegnanti rimasti senza lavoro. Proposta del progetto sorElle d’Italia.
U. Università. Le donne si laureano di più e meglio, cosa succede quando decidono di fare carriera in accademia? In Italia il 45,2% dei ricercatori sono donne, mentre la percentuale di donne tra professori ordinari e associati è rispettivamente del 20,1% e del 34,2%. I conti non tornano, come farli quadrare? In Spagna ci stanno provando con le quote in commissione di valutazione e i risultati si vedono, soprattutto ai livelli alti nel passaggio da associato a ordinario. Leggi l'articolo di Bagues e Zinovyeva. E visto che per cambiare lo status quo c’è bisogno di cambiare la cultura sarebbe bello che, così come succede in tutti i paesi anche in Italia venissero riconosciuti gli studi di genere attraverso la creazione di corsi di laurea specifici sostenuti da dipartimenti interdisciplinari (almeno nei grandi atenei).
V. Violenza. I fondi antiviolenza vengono stanziati ma non utilizzati da anni (ancora attuale l' articolo di Molfino per inGenere), chiediamo quindi che vengano utilizzati per finanziare il piano nazionale antiviolenza elaborato dall’associazione nazionale dei centri antiviolenza. Inoltre è necessario che i servizi rivolti alle donne in difficoltà e vittime di violenza siano qualificati e capillari per questo chiediamo un centro antiviolenza ogni 100 000 abitanti.
Z. Zoom. Non una regola ma un consiglio ai registi televisivi: per ogni zoom su un sedere femminile, uno zoom su un sedere maschile nei pressi.