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"Chiediamo al Presidente Obama, come vincitore del premio Nobel, campione del multilateralismo e orgoglioso di provenire dall'Africa, come persona che ha in quel continente fratelli e sorelle, di portare gli Stati Uniti all'interno del protocollo di Kyoto. E' tempo di salvare il mondo, non di reinventare da capo quello che abbiamo già concordato''. Al quarto giorno di lavori la tensione, al vertice di Copenhagen sul clima, cresce ancora. Il presidente Usa Barak Obama ritira il Nobel per la pace, ma riceve anche un attacco “al cuore” del suo mandato politico dall'Ambasciatore del Sudan e coordinatore del gruppo G77+Cina Lumumba D'Aping of Sudan e dalla ambasciatrice Yu Qing-tai, inviato speciale cinese sui cambiamenti climatici e coordinatrice per il gruppo sul Protocollo di Kyoto. Nel quotidiano incontro con la stampa nel corso della COP15 a Copenhagen, Lumumba ha ricordato che ''secondo gli esperti del Panel delle Nazioni Unite sul clima, con un aumento di 2 gradi celsius della temperatura globale, che e' il tetto posto dai G8 a l'Aquila, in Africa la temperatura si amplificherebbe di 1,3 volte, raggiungendo un aumento di 3-4 gradi. Questo vuol dire la morte per l'Africa! Non potete scambiare la vostra convenienza economica con la vita''.

 

 

Si, infatti è sempre una questione di soldi. Quando si parla di finanziare la lotta ai cambiamenti climatici, a chi pensate che vadano quei soldi? Le tecnologie non sono no profit! Noi non diciamo che non ci sia bisogno di soldi. Diciamo che c’è bisogno di più soldi, ma anche di decidere insieme a chi e per che cosa verranno spesi”. Parola di ambasciatrice cinese che afferma anche che il mondo ''ha risorse sufficienti per affrontare il problema in modo più radicale.Aiutare il mondo in via di sviluppo a combattere le emissioni - ha sostenuto - e' un obbligo per chi ha un debito storico per essere, come gli Stati Uniti, il piu' vecchio e forte responsabile delle emissioni. Abbiamo bisogno di 200 miliardi di dollari per affrontare il problema dei cambiamenti climatici, il Fondo Monetario Internazionale dice che ci sono altrettanti fondi non spesi per la crisi, possiamo utilizzarli''. Sotto pressione non solo il presidente, ma anche il Congresso: ''Avete erogato miliardi di dollari per salvare banche e budget - ha rilanciato Lumumba - perche' volete tirarvi indietro quando si deve salvare il mondo? C'e' bisogno di un cambiamento di consumi, di modello di produzione, ma anche di leadership - ha concluso -. Gli USA sono intervenuti in tutto il mondo per assicurare la pace negli ultimi decenni. Oggi sono in discussione la sicurezza e la pace del mondo. C'e' bisogno degli Stati Uniti''.

 

Anche dal versante europeo, però, le contraddizioni non mancano. I leader si vedono a Bruxelles per il summit dei capi di Stato e di governo dei Ventisette, e cercano in qualche modo di “oliare” l’ingranaggio della COP15 a distanza presentando, come di consueto, tutto un elenco di “disponibilità” a finanziare il 'fast start', cioè il fondo di intervento immediato per consentire ai Paesi in via di sviluppo di arginare i cambiamenti climatici. Sui circa 6-7 miliardi di euro cui punta la presidenza svedese dell'Ue, siamo già arrivati a circa un terzo. Dopo le offerte, rese note i giorni scorsi, di 800 milioni di sterline (884 milioni di euro) della Gran Bretagna e di 765 milioni di euro della Svezia, oggi si sono infatti aggiunti il Belgio con 150 milioni di euro, la Danimarca, con 160 milioni di euro e la Finlandia con 100 milioni. Siamo così a un totale provvisorio di 2,055 miliardi di euro. Alcune decine di milioni dovrebbero arrivare dalla Polonia. La somma totale dovrebbe esser raggiunta probabilmente questa sera alla cena dei leader. “È importante che diamo dei soldi -ha commentato il ministro svedese agli Affari europei Cecilia Malmstroem, arrivando a Bruxelles per il vertice - ciò mostra di nuovo la leadership dell'Ue sulla questione”.

 

Quello che i soldi non riescono a comprare, però, è una posizione politica comune per tutti i Paesi dell’Unione rispetto alle priorità di governo delle emissioni. Nella bozza di conclusioni del vertice europeo, infatti, viene ribadito il principio della condizionalità: “la Ue ribadisce la sua offerta condizionata di passare dal 20 al 30% di riduzioni rispetto al 1990 a condizione che altri Paesi sviluppati accettino sforzi comparabili”. Il premier svedese Fredrik Reinfedlt, presidente di turno della Ue, ha spiegato infatti che la Ue ritiene “che gli impegni presi dagli Usa non sono comparabili agli sforzi assunti dall'Unione europea e pensiamo che non sia il momento di prendere la decisione di portare i nostri sforzi di riduzione al 30%”. Reinfeldt ha escluso che questa decisione possa essere assunta tra oggi e domani: “noi attendiamo sforzi supplementari degli altri paesi sviluppati e sarà solo in questo caso che si creeranno le condizioni per avanzare”. Al contrario, il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha detto di volere procedere “il più rapidamente possibile” verso una riduzione del 30% in Francia delle emissioni di gas a effetto serra. Con Parigi, è schierato anche il premier britannico Gordon Brown, secondo il quale la Unione europea deve mantenere la leadership nel taglio dei gas ad effetto serra. Contraria ad accelerare il passo la Polonia: “al momento, non ci sono le condizioni per fare salire il nostro obiettivo dal 20 al 30”, ha detto il ministro polacco degli affari europei Mikolaj Dowgielewicz, secondo il quale il passaggio non può essere affidato ad una sola decisione politica, ma deve essere basato “sui risultati della valutazione di impatto, chiesta alla Commissione Ue per il vertice di primavera prossimo”. Insomma taglieremo solo se non ci fa male al portafoglio, sostengono alcuni leader. Ma chi ci ha assicurato che il pianeta ci farà davvero i saldi di fine stagione?

 

*biologo, socio fondatore di [Fair]. In diretta da Copenhagen www.faircoop.net/faircoop

Tratto da www.faircoop.net
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