In base ai dati diffusi recentemente, e ripresi con grande risalto dalla stampa internazionale, gli Stati Uniti sembrano essersi definitivamente messi alle spalle gli effetti della recessione avviata dalla crisi finanziaria del 2007 e sembrano proiettati verso un nuovo American dream.
L’economia statunitense sta infatti registrando ottime performance, come confermano lo strabiliante 5% di crescita reale registrato nel corso del terzo trimestre del 2014 (il più alto tasso di crescita trimestrale dal 2003) e la continua riduzione del tasso di disoccupazione che, in base ai dati più recenti, si attesta al 5,6% (il valore minimo registrato da giugno 2008, mentre il saldo netto di posti di lavoro creati dall’economia statunitense nel 2014 è il più alto dal 1999).
Tanto ottimismo si attenua, però, quando l’attenzione si sposta dalla crescita verso le diseguaglianze. Nulla segnala, infatti, che negli Stati Uniti le diseguaglianze si stiano riducendo; anzi emergono segnali di una loro ulteriore crescita. Nel 2014, la crescita del PIL e la riduzione della disoccupazione si sono accompagnati a una riduzione di circa 0,2 punti percentuali dei salari orari e molta della crescita occupazionale sembra legata all’aumento di contratti part-time “involontari”. I principali indici di diseguaglianza (fermi al 2012) segnalano, inoltre, che dal 2007 al 2012, negli Stati Uniti, la forbice distributiva ha continuato ad allargarsi: il coefficiente di Gini dei redditi lordi equivalenti è cresciuto dal 44,4% al 46,3%, le quote di reddito detenute dal top 1% e dal top 0,1% (anche senza considerare i capital gains) sono aumentate, rispettivamente, dal 18,3 al 19,3% e dall’8,1 all’8,8% e il rapporto fra la retribuzione del 90° percentile e del lavoratore mediano è cresciuto da 2,30 a 2,44.
Crescita del PIL e della diseguaglianza continuano, quindi, ad andare a braccetto negli Stati Uniti. Della crescita economica si appropriano soprattutto, se non esclusivamente, i più abbienti mentre le retribuzioni dei restanti lavoratori ristagnano o diminuiscono. Ma, allora, cosa sarebbe cambiato dal periodo pre-crisi? A ben vedere, una differenza c’è e riguarda il tenore di vita dei nuclei meno abbienti, che sembrerebbe a rischio di un’ulteriore riduzione, anche al di là di quanto mostrano le statistiche ufficiali.