La promessa di investimenti per più di 300 miliardi è diventato un investimento di 21 miliardi al quale si dovranno affiancare i soldi dei privati. È improbabile che nel clima di sfiducia che attraversa l'economia europea le imprese decidano di co-finanziare la ripresa. Niente a che vedere con un New Deal europeo
Eccoli, sono arrivati. I 315 miliardi di euro di investimenti europei - promessi dalla scorsa estate – sono stati presentati ieri al Parlamento europeo dal neo-presidente Jean-Claude Juncker. Il fulcro del piano è la costituzione del Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici, organismo nuovo che si occuperà dei progetti di investimento e del loro finanziamento. Il piano dovrebbe essere operativo a partire dal giugno 2015, con un ruolo chiave della Banca Europea degli Investimenti (BEI), che affiancherà neonato Fondo per rafforzarne la capacità d’azione sui mercati finanziari internazionali.
Ai governi nazionali non si chiedono soldi, ma gli eventuali contributi volontari da parte degli stati membri saranno sollevati dal vincolo del patto di stabilità. Tali contributi, tuttavia, non condizioneranno gli investimenti da finanziare: le decisioni sui paesi in cui investire e le attività da finanziare saranno prese dal personale tecnico e dalla Commissione, per evitare – dice Juncker - “una politicizzazione della selezione degli investimenti e della loro destinazione”.
Ma da dove vengono allora i 315 miliardi? E’ questo il principale punto oscuro del piano definito da Juncker “il più grande sforzo finanziario nella storia recente della Ue”. Le risorse immediate disponibili - i soldi provenienti dal bilancio Ue o da suoi organismi come la Banca Europea degli Investimenti - sono pari a 21 miliardi di euro, circa il 6% dei 315 annunciati. Di questi 21 miliardi, 5 sono quelli che verranno forniti dalla BEI – il cui bilancio è finanziato da contributi dei singoli Stati membri - mentre i 16 rimanenti vengono in parte da fondi già presenti nel bilancio Ue. La metà di questi verrebbe sottratta al progetto Horizon 2020, il programma per la ricerca e l’innovazione tecnologica, mentre l’altra metà sono impegni di pagamento e cioè risorse ancora non disponibili.
Il segreto del piano sta in due vocaboli sibillini pronunciati più volte ieri da Juncker: leva finanziaria e moltiplicatore. Il passaggio dai 21 miliardi “concreti” di oggi, agli attesi 315 di domani avverrebbe attraverso un poderoso meccanismo di leva finanziaria che – assicura Juncker - sarebbe in grado di moltiplicare le risorse finanziarie in un rapporto da 1 a 15. Una volta fornito il patrimonio al neonato Fondo attraverso le risorse descritte in precedenza, la Banca Europea degli Investimenti emetterà delle obbligazioni garantite dal Fondo stesso e destinate al finanziamento di specifici progetti di investimento. Le risorse proprie che poi la BEI impegnerà per questi progetti, tuttavia, non potranno superare il 20% dell’ammontare complessivo dei progetti medesimi. La restante parte del finanziamento delle obbligazioni - e quindi dei piani di investimento sottostanti - avverrà nella speranza che all’iniziativa partecipino capitali privati disposti a coprire l’80% circa di ciascun progetto. Ecco svelata la leva finanziaria. L’emissione di 60 miliardi di obbligazioni da parte della Banca Europea degli Investimenti consentirebbe il materializzarsi dei 300 miliardi attraverso un meccanismo per cui, per ogni miliardo messo dalla BEI, ne arrivano altri quattro da finanziatori privati.