Si può tornare a vincere! Questo ci dicono Justice for Janitors e le altre campagne portate avanti negli Stati Uniti sotto il nome di organizing per sindacalizzare e garantire un contratto migliore ai lavoratori delle pulizie, ai braccianti agricoli e ai lavoratori dell’edilizia. E si può vincere proprio in quei contesti che la discussione accademica e sindacale ha spesso in maniera più o meno esplicita definito irraggiungibili e insindacalizzabili, fra lavoratori e lavoratrici fortemente ricattabili, privi di potere contrattuale, spesso migranti e non sempre provvisti di documenti, impiegati in orari che li rendono invisibili e in strutture produttive fortemente disperse sul territorio.
Quelle campagne ci dicono però anche che, per vincere, c’è bisogno di un profondo ripensamento e di una radicale trasformazione del modo di fare sindacato. Bisogna tornare a interrogarsi, a partire dalla consapevolezza della profonda crisi in cui si trovano le organizzazioni sindacali nei paesi a sviluppo avanzato, su come si ricostruisce e si esercita potere. Da questo punto di vista, gli Stati Uniti costituiscono da alcuni anni un punto di osservazione particolarmente significativo per chi è interessato al tema del rinnovamento e del rilancio dell’azione sindacale. Perché, in un contesto storico e sociale radicalmente differente da quello che ha caratterizzato lo sviluppo delle esperienze sindacali in Italia e nell’Europa continentale, caratterizzato da bassissimi tassi di sindacalizzazione (nel settore privato oggi meno dell’8% dei lavoratori è iscritto al sindacato), un sistema di relazioni industriali ormai evidentemente ostile all’organizzazione dei lavoratori e un clima ideologico e normativo che ha sempre sfavorito l’azione sindacale, le organizzazioni dei lavoratori americane hanno dato il via, ormai da un paio di decenni, a una discussione che ci parla di potere e rinnovamento. La riflessione sull’organizing si articola su tre elementi fondamentali: la relazione con gli iscritti, attuali o potenziali, le forme di esercizio del conflitto e le relazioni con soggetti esterni al movimento sindacale.
Un sindacato “attivista”
Per quanto riguarda il primo elemento, il modello organizing ha due nodi caratterizzanti, entrambi, che vedono nel legame tra e con i lavoratori nel luogo di lavoro la risorsa fondamentale che il sindacato può mettere in campo per costruire e mantenere rapporti di forza. Da un lato, quindi, estendere la sindacalizzione a settori storicamente non organizzati della forza lavoro – migranti, precari, lavoratori dei servizi – diventa un obiettivo strategico fondamentale, praticato attivamente attraverso campagne mirate alla sindacalizzazione di specifiche aziende o specifici settori della forza lavoro per cui vengono appositamente stanziate risorse e formati funzionari.
All’interno di questa profilo, in letteratura spesso definita “esterno” di organizing, si sviluppa volutamente anche un nuovo rapporto fra lavoratori e organizzazione. L’organizing è, infatti, spesso definito come un modello “attivista” di sindacalismo. Il sindacato si concepisce non tanto, o non solo, come un prestatore di servizi, siano essi contrattazione e tutela individuale o assistenza fiscale, finanziaria e previdenziale, quanto come un facilitatore dell’autorganizzazione dei lavoratori che da ultimo restano gli unici titolari delle battaglie che portano avanti e responsabili della loro riuscita.
Un secondo elemento che caratterizza il modello organizing è l’innovazione nelle forme di esercizio del conflitto, spesso più simili a quelle dei movimenti sociali e delle organizzazioni non governative che agiscono a livello transnazionale, come Greenpeace (si pensi alla recente campagna contro l’utilizzo di sostanze tossiche da parte dei giganti dello sportswear) o, più direttamente coinvolta con i diritti dei lavoratori, la Clean Clothes Campaign, che non a quelle tradizionalmente proprie delle organizzazioni sindacali. Molto importanti sono le forme di azione diretta, la dimensione mediatica e la spettacolarizzazione del conflitto, che hanno l’obiettivo di andare ad agire sulla dimensione economica e di produzione del valore non in maniera diretta, attraverso uno stop della produzione, ma in maniera mediata, agendo sulla propensione al consumo attraverso il danneggiamento del brand dell’azienda.
Anche in questo caso, ciò è sicuramente legato in maniera profonda alle caratteristiche del sistema americano di relazioni industriali, caratterizzato da una forte ostilità delle controparti nei confronti del sindacato e dalla presenza di un sistema normativo che ostacola l’attività sindacale e rende molto difficoltoso l’esercizio del diritto di sciopero.
La ricerca finalizzata alla campagna è un’altra delle caratteristiche peculiari di questo modello, perché ha permesso al sindacato di agire nelle pieghe del capitalismo reticolare scoprendo e muovendosi nei nodi deboli della filiera, plasmando la propria azione non sui rapporti giuridici formali tra aziende e lavoratori, ma focalizzandosi sui nessi reali di potere, dentro le catene degli appalti, concentrando il conflitto su chi effettivamente determina le condizioni di lavoro. In questa direzione ha agito, ad esempio, la campagna Justice for Janitors, quando per migliorare le condizioni contrattuali dei lavoratori delle pulizie ha identificato come controparte non tanto le aziende che impiegavano i pulitori, quanto i proprietari degli edifici che definivano i capitolati d’appalto, facendo in modo che questi si assumessero le proprie responsabilità nei confronti di lavoratori che non erano dipendenti diretti.
Un sindacato che costruisce coalizioni sociali e territoriali
Da ultimo, va sottolineata la costante ricerca di alleanze e coalizioni con soggetti esterni al movimento sindacale. Anche qui si possono evidenziare due diversi momenti, uno per così dire più tattico, mentre l’altro di più ampio respiro.
La costruzione di alleanze, infatti, è vista e perseguita in primo luogo come un meccanismo per rafforzare il potere contrattuale dei lavoratori, allargando il fronte o sfruttando una posizione più favorevole da parte di altri soggetti. Il coinvolgimento di rappresentanti religiosi nelle tornate contrattuali per il rinnovo del contratto collettivo dei lavoratori della sicurezza aveva infatti l’obiettivo di sfruttare la grande considerazione di cui essi godevano all’interno della comunità afro-americana e, quindi, agiva sui potenziali problemi derivanti alle aziende coinvolte da una pubblica espressione di condanna del loro operato.
In maniera simile, la costruzione di coalizioni può essere perseguita anche per riuscire a stabilire contatti con soggetti tradizionalmente lontani alle organizzazioni sindacali e che non si riesce ad avvicinare attraverso le tradizionali modalità di azione. Questo è abbastanza comune nel caso dei migranti, spesso inseriti in reti comunitarie molto forti, che vengono coinvolte direttamente dal sindacato oppure attraverso il finanziamento di Workers centres, strutture di primo aiuto sindacale localizzate all’interno delle comunità.
Allo stesso tempo, però, la costruzione di alleanze ampie, che guardano ai movimenti studenteschi, alle organizzazioni delle comunità locali, ai gruppi ambientalisti e alle associazioni di consumatori deriva dalla consapevolezza del fatto che, nel quadro di una sempre più forte egemonia neo-liberale, agire esclusivamente all’interno del campo del lavoro è insufficiente e che diventa necessario costruire un movimento contro-egemonico di cui il sindacato è sicuramente un elemento fondamentale, ma solo una parte. La costruzione di coalizioni rispecchia, quindi, la tendenza di queste organizzazioni sindacali a identificarsi come parte di un movimento sociale più ampio per la giustizia economica e sociale e a costruire e praticare attivamente azioni comuni.
Un modello vincente?
Queste campagne hanno mostrato risultati notevoli, seppur ancora piuttosto isolati nel contest americano. Dopo decenni di progressiva erosione, la copertura contrattuale nelle città interessate dalla campagna ha raggiunto livelli scandinavi (fino al 90%), sono state estese le tutele e accresciuti i salari dei lavoratori coinvolti, e spesso sono stati moltiplicati (anche del doppio) gli iscritti a quei sindacati che, come SEIU, hanno fatto dell’organizing il proprio nuovo asse strategico. Tutto questo non è giunto senza conflitti: resistenze organizzative in un sindacato abituato a basare la propria azione su un modello che gli americani definiscono bread and butter, ossia rivendicazioni puramente economiche nei luoghi di lavoro, sono state molte. Ma la condizione di profonda crisi ha favorito chi proponeva un rinnovamento e ha aperto spazi di innovazione. Perché, al di là di tutto, si può cambiare per vincere.