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La Tata, i campi e il dilemma del modello di sviluppo

05/09/2008

Alla fine la Tata, il colosso industriale indiano, ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco e annunciare il suo ritiro. Non realizzerà più il nuovo impianto di Singur, nel Bengala Occidentale, dove si doveva assemblare la mitica “Nano car”, l'automobile low cost che fa sognare le classi medio-basse indiane. Alcune centinaia di milioni di dollari in fumo e una sorprendente vittoria per il movimento contadino di Singur, che da due anni si opponeva con forza all'imposizione di un modello di sviluppo industrialista calato dall'alto, subendo repressione, morti e la fame in seguito alla confisca delle terre fertili.

Ma per Rajan Tata, che siede anche nel consiglio di amministrazione della Fiat con cui esiste una partnership strategica, potrebbe essere solo un arrivederci. Coloro che speravano in un posto di lavoro nella fabbrica, pur se sfruttati, e il governo “comunista-liberista” dello Stato, puntano il dito contro i movimenti contadini. Il rischio nelle prossime settimane è quello di una vera e propria guerra tra poveri. Allo stesso tempo la questione Singur è entrata ancor più nell'agenda nazionale e il governo centrale cerca una mediazione. Oggi i movimenti locali chiedono la restituzione di una parte della terra, la compensazione per i danni subiti e voce in capitolo nelle prossime decisioni su come eventualmente completare l'impianto e dove. Insomma, una vittoria politica senza precedenti, ma i risultati di giustizia sono ancora lontani.

Il magnate indiano, con la complicità degli investitori stranieri, potrebbe semplicemente aspettare che i poveri si scannino e la polizia li reprima per poi mostrarsi aperto a tornare, ma a condizioni ancora più vantaggiose, dopo aver rivisto i suoi piani industriali a causa dell'aumento stratosferico del ferro e delle materie prime – che rende la Nano car più non tanto low cost. Oggi è il momento di rilanciare con forza la solidarietà con il movimento di Singur in una sfida paradigmatica degli interrogativi sul modello di sviluppo da seguire nella nuova fase in cui entra la globalizzazione.

Ancora una volta è un caso simbolo in India – come le battaglie per l'acqua e contro le dighe negli anni '80 – ad aprire una nuova era nelle lotte per la giustizia sociale, dove lo stesso concetto di solidarietà internazionale va reinventato. Emerge drammaticamente il dilemma a cui si trovano di fronte le popolazioni soprattutto delle cosiddette economie emergenti. In questi conflitti spunta fuori prepotentemente la domanda centrale ad ogni processo di sviluppo, quando si parla di investimenti transnazionali che vanno a trasformare territori, relazioni sociali e modelli politici e culturali: chi decide in questo mondo globalizzato? Perché gli investitori devono accampare dei diritti nei confronti delle comunità locali? E quali? La battaglia per la democratizzazione degli investimenti globali è iniziata, in India e a breve anche da noi.

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