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L'idea di giustizia di Sen. Una recensione

20/07/2010

“La mia ricerca riguarda la possibilità di trovare un’intesa fondata sulla ragione su come ridurre l’ingiustizia nonostante le nostre diverse idee sullo stato ‘ideale’ delle cose ”(p. 28, nota).

E’ con questa definizione che Amartya Sen descrive, nel libro “L’idea di giustizia” (Allen Lane 2009; Mondatori, 2010, l’ambizioso progetto di fornire gli strumenti concettuali per accrescere la giustizia, rispondendo a domande quali: Perché dobbiamo accrescere la giustizia? Giustizia di che? Come mettersi d’accordo per accrescere la giustizia? Entro quali confini (comunitari, nazionali, globali)?

L’idea di giustizia di Sen è una teoria dell’azione, contro l’indifferenza e l’inerzia. Come scrive Sen, le basi concettuali di ogni azione per accrescere la giustizia devono essere chiarite “affinché essa goda di un’adesione consapevole e continua nel tempo” (362). E’ quanto egli fa, proponendo, in modo non fazioso ma neppure onnicomprensivo, principi e indirizzi per sottoporre a valutazione, comunicare, migliorare e rafforzare le azioni rivolte contro l’ingiustizia. Evitando l’autocompiacimento e offrendo, a un tempo, ponti verso le teorie oggi dominanti e argomenti di difesa da esse, Sen ci mette a disposizione strumenti per la battaglia quotidiana a favore della giustizia. Fornisce i mezzi per costruire quel discorso pubblico che egli colloca al centro sia della democrazia, sia dello sviluppo.

 

Prendendo le mosse dalla critica della teoria della giustizia di John Rawls, Sen sceglie di “incentrare la questione della giustizia anzitutto … su ciò che accade effettivamente (anziché sulla mera valutazione di accordi e istituzioni) e, in secondo luogo, sull’analisi comparata dei passaggi attraverso i quali promuovere la giustizia (anziché sulla definizione di accordi perfettamente giusti)” (414). Compie questa scelta partendo dai “sentimenti, [dalle] preoccupazioni e [dalle] facoltà mentali che ci accomunano in quanto esseri umani” (418): da un lato, la capacità di esprimere simpatia, di essere mossi dal dolore e dall’umiliazione degli altri, di preoccuparsi della libertà; dall’altro, la capacità di ragionare, discutere, dissentire e consentire. A causa di queste caratteristiche umane, “la generale aspirazione alla giustizia assai difficilmente potrà essere cancellata, anche se diversi possono essere i modi per provare a realizzarla” (419). Partendo da questi aspetti peculiari dell’essere umano, Sen sviluppa una teoria su come prendersi cura, attraverso lo strumento dell’imparzialità, e come ragionare, attraverso la valutazione pubblica. Come egli scrive nelle pagine conclusive del libro, il progetto è perseguito facendo uso dello strumento dell’imparzialità nel confronto pubblico e “privilegiando la teoria della scelta sociale rispetto a quella del contratto sociale” (415). Questo punto di vista gli consente di confrontarsi con le “nostre diverse idee in merito allo stato di cose «ideale»” (28, nota).

 

Tenendo conto degli obiettivi del progetto, la sua verifica ultima sta nella capacità di offrire veramente alle persone che promuovono la giustizia gli strumenti per lavorare meglio, per mettere in dubbio le proprie motivazioni, per razionalizzare le proprie azioni, per essere più attrezzate nel confronto pubblico. Sembra quindi appropriato riassumere e presentare il ricco materiale del libro nella forma di risposte ad alcune domande pragmatiche che ogni persona impegnata nella promozione della giustizia dovrebbe porsi. Per arrivare a queste domane (paragrafo III) è bene partire – come fa Sen – dalla critica della teoria della giustizia fin qui più avanzata e consolidata: la teoria della giustizia di John Rawls (paragrafo II).

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