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Il 22 dicembre 2010, il New York Times pubblicava una notizia singolare (almeno per noi): il National Labor Relations Board – agenzia federale degli Stati Uniti addetta alla salvaguardia del dirittto dei lavoratori a organizzarsi – ha dichiarato che chiederà alle aziende di informare (via bollettini interni o posta elettronica) i propri lavoratori sul loro diritto alla sindacalizzazione. Tale proposta avrebbe suscitato, oltre all'applauso dei sindacati, lo sconvolgimento delle aziende!

 

Questo provvedimento, definito una delle azioni pro-sindacato del Consiglio nazionale in cui il presidente Obama ha insediato proprie persone, ha provocato anche il biasimo della Camera di commercio degli Stati Uniti, che lo ha definito una delle tante misure “contro i datori di lavoro”! Il provvedimento, coerente con il National labor relations act, richiede 60 giorni per commenti e osservazioni.
Singolare vicenda, si diceva, ma non troppo, se si considera che negli Stati Uniti il sindacato nel settore privato, che negli anni 50 aveva una adesione oltre il 35%, raggiunge oggi a mala pensa l'8%! E, anche (vedi articolo precedente di Doug Meyer), che la proposta di legge sostenuta dai sindacati sulla libertà di sindacalizzazione (Employee free choice act) non sembra avere alcuna speranza di passare! Tanto meno, (neanche è all'ordine del giorno), la ratifica da parte del Congresso delle Convenzioni internazionali dell'OIL sulla libertà di associazione (1948) e sul diritto alla contrattazione collettiva (1949).

 

Inoltre, dalla presidenza Reagan in poi e con ulteriore accentuazione sotto quella di Bush jr., l'attacco ai sindacati , con forti investimenti delle imprese per la distruzione o la proibizione di creare sindacati nei posti di lavoro hanno portato ad una situazione catastrofica dal punto di vista dei diritti e della democrazia nei posti di lavoro. Le delocalizzazioni (a sud o fuori dagli US) e il potere pressoché assoluto delle multinazionali (sia locali che provenienti da Europa o Giappone) nell'era della globalizzazione hanno portato alla perdita di qualche milione di posti di lavoro. La crisi e le prospettive di bancarotta di Chrysler hanno fatto il resto...

 

Le aggressive politiche liberiste delle varie amministrazioni, hanno evidenziato sempre più la fragilità e i limiti della democrazia americana rispetto al lavoro. Il diritto e i diritti del lavoro sono raccolti in una serie disomogenea di leggi federali e dei singoli Stati, anche in contraddizione, il diritto di sciopero non è contemplato nella Costituzione, ma previsto, con molte limitazioni, nel National Labor relations act; il Consiglio nazionale, incaricato di far applicare questa legge, dipende dalle nomine del presidente e quindi dalle politiche dell'amministrazione. Ben 22 Stati hanno adottato le leggi su “diritto al lavoro” che, nate con l'obiettivo di impedire l'obbligatorietà dell'iscrizione al sindacato per essere assunti e restare a lavorare, sono diventate potenti strumenti per impedire la formazione del sindacato e la conseguente possibilità di contrattazione collettiva nelle aziende. Contrattazione collettiva solo aziendale o di gruppo, non esistendo associazioni imprenditoriali nazionali di settore o categoria, né, ovviamente, contratto collettivo nazionale. In ogni azienda può esserci un solo sindacato, votato a maggioranza semplice, dai lavoratori. Inoltre, nella maggior parte degli Stati, ancora oggi, pur dopo misure legislative contro la discriminazione, il lavoratore può essere licenziato senza alcuna ragione.

 

Alcuni Stati, tra cui il Michigan, territorio delle tre grandi case automobilistiche – Ford, GM, Chrysler – e di un relativamente più forte sindacato (UAW. Sindacato dei lavoratori dell'auto) si sono opposti alle leggi “diritto-al-lavoro”, e il sindacato ha potuto fare accordi collettivi che includono clausole per garantire la presenza del sindacato, come quelle sull'Union shop (proibito dalle leggi sul diritto al lavoro), versione più soft del closed shop (considerato illegale). L'union shop (luogo di lavoro con sindacato) prevede infatti che possano essere assunti lavoratori anche non sindacalizzati, ma che debbono iscriversi al sindacato obbligatoriamente una volta entrati e il lavoratore che si toglie dal sindacato viene licenziato!

 

Questo drammatico quadro spiega l'enfasi con cui oggi il sindacato americano UAW (passato da un milione e mezzo della fine anni 70 a circa 400.000 iscritti attuali) affronta il problema della sindacalizzazione, come fattore indispensabile della democrazia. Dice il recentemente eletto Presidente dell'UAW, Bob King, : “Non c'è democrazia sulla terra che possa prosperare senza sindacati democratici. Il concetto di grandi multinazionali con carta bianca – senza sindacati che gli chiedano conto, senza sindacato per far valere sicurezza e standards ambientali, senza sindacato che parli per i lavoratori nei posti di lavoro o nello spazio pubblico – sollevano lo spettro di un terreno desertificato a beneficio e profitto di pochi privilegiati che possono dominare non solo il mercato ma anche il processo politico. Stampa libera e sindacati liberi dipendono dalla libertà di parola e dalla libertà di associazione, che in questo paese sono iscritte nel primo emendamento* della Costituzione. Il diritto ad organizzarsi sindacalmente è il Primo emendamento per i lavoratori. Negli Stati Uniti questo diritto NON ESISTE per i lavoratori del settore privato. A cominciare dagli anni Settanta molte grandi imprese nel nostro paese hanno adottato una politica di terra bruciata per distruggere i sindacati. Il loro obiettivo, chiaramente espresso, era di operare “liberi da sindacati”, (“Union busters:=distruttori di sindacati) di fare piazza pulita di questa fondamentale gamba della democrazia.

 

Hanno cominciato con l'assumere consulenti antisindacali che con poco sforzo hanno trasformato il processo elettorale previsto dal National labor Relations Board in una farsa e una vergogna. Quelle elezioni non somigliano per niente ad elezioni democratiche serie.

 

Le direzioni aziendali licenziano o minacciano di licenziare i lavoratori coinvolti in campagne di sindacalizzazione. Ai lavoratori si chiede di partecipare a riunioni obbligatorie dove verrà loro detto che l'azienda è pronta a chiudere se decidono di sindacalizzarsi. I capi fanno pressione sui singoli, dicendogli che il loro lavoro e il loro futuro sono a rischio. Discorsi denigratori, volti a dividere e infiammare gli animi, sui sindacati, sono costanti. Non importa se queste minacce sono legali o no , dal momento che la legge non prevede sanzioni significative. Lo scopo finale è quello di creare insicurezza e un clima di paura.

 

La democrazia non può coesistere con la paura.

 

Mentre la UAW sostiene con forza la proposta di legge sulla libertà di scelta Employee free choice act , non intendiamo stare seduti passivamente aspettando che passi! Secondo la nostra più forte tradizione assumeremo iniziative dirette, con ogni mezzo possibile, per tutelare tutti i lavoratori nell'esercizio dei loro diritti da Primo emendamento.”

 

Il discorso prosegue annunciando una carta di linee guida per una elezione sindacale corretta che la UAW sottoporrà alle aziende dove non c'è sindacato chiedendo di sottoscriverne i principi e verificando in base al voto segreto se i lavoratori vorranno iscriversi o meno al sindacato. “Ma se le aziende non accetteranno, minacceranno di licenziamento o licenzieranno chi vuole iscriversi al sindacato, allora la UAW non tollererà la violazione del Primo emendamento dei lavoratori. “Siamo per una strada di comune interesse, strategie e successi condivisi, ma se dobbiamo lottare allora lotteremo con tutte le nostre forze. Nella tradizione di Martin Luther King jr, dell'arcivescovo Oscar Romero, dell'arcivescovo Desmond Tutu, il nostro obiettivo NON è la vendetta o la rappresaglia. Il nostro obiettivo è conquistare valori e principi democratici”.

 

* Primo emendamento: «Il Congresso non promulgherà leggi che favoriscano qualsiasi religione, o che ne proibiscano la libera professione, o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea, e di fare petizioni al governo per riparazione di torti»

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