Su Il Sole - 24 ore del 18 luglio il prof. R. Perotti afferma che da parte degli avversari si farebbe "una caricatura" delle posizioni dei liberisti, "per concludere trionfalmente che degli economisti così ottusi non avrebbero mai potuto prevedere né capire la crisi, e sono oggi inutili e screditati".
Perotti forse potrebbe utilmente rileggersi un libro pubblicato nell'agosto del 2007 dai suoi colleghi A. Alesina e F. Giavazzi (autori con lui di numerosi articoli), in cui essi sostengono che "la disoccupazione cala quando … si liberalizzano i licenziamenti"; che i giovani italiani sono affetti dal "virus della scarsa ambizione", perché preferirebbero un lavoro "sicuro anche se mal pagato" a uno "meno sicuro ma con migliori prospettive di reddito"; che l'Europa ha avuto, dopo la metà degli anni Settanta, un mercato del lavoro più regolamentato che nei decenni precedenti, e che a questo è dovuto l'aumento della disoccupazione; che la "liberalizzazione finanziaria" ha avuto il merito di stimolare le banche ad abbandonare "un comodo tran-tran nel quale rischiano poco"; che "l'aumento della produttività nel settore finanziario degli Stati Uniti è stato straordinario", e che in quel paese "quasi la metà della crescita di produttività è dovuta al settore bancario e finanziario"; che è meglio che ciascun lavoratore possa scegliere da solo "la modalità che preferisce", "al fine di ottenere rendimenti adeguati", nella gestione dei fondi che dovrebbero servire a finanziare la sua pensione; che se il lavoratore non ne capisce nulla gli si "potrebbe impartire un breve corso di finanza … come si insegna il codice della strada, gli si fornirebbero i rudimenti della finanza, di sicuro più semplici di quelli automobilistici".
E' forse per cercar di prendere le distanze da queste posizioni – di cui sarebbe difficile fare una caricatura – che Perotti inizia il suo intervento indossando un cappello keynesiano, e cita un suo articolo scritto con Blanchard a sostegno dell'utilità della spesa pubblica a fini anticongiunturali. Peccato che Perotti trascuri di ricordare come un paio di mesi fa ribadisse, insieme ad Alesina, che "la teoria, e in parte l'evidenza empirica, confermano l'idea che il moltiplicatore [keynesiano] sia piccolo, se non addirittura negativo" (pur aggiungendo subito dopo, forse nel tentativo di cautelarsi, che "su questo punto c'è molta incertezza"). E in effetti, nonostante i suoi toni, sembra che il germe del dubbio si stia insinuando nelle certezze econometriche del prof. Perotti. Egli parla infatti di grandi risultati, ma evita di citarne alcuno: rimbrotta i rozzi economisti che per stabilire quale sia la relazione tra il PIL e la spesa pubblica si limiterebbero a "guardare il grafico delle due serie", ma non ci dice cosa la sua "analisi statistica più sofisticata" abbia scoperto, oltre al fatto che "non vi sarà mai certezza". In ultima analisi, Perotti ritiene che il "vero grande progresso della scienza economica degli ultimi trenta anni" consisterebbe nell'affinamento degli strumenti usati, e non in quello che tali strumenti permetterebbero di vedere: come se Galileo fosse grande per i miglioramenti da lui apportati al cannocchiale, e non per la scoperta, fatta anche grazie ad esso, delle lune di Giove.
Il prof. A. Guarino, guardandoci dalle brughiere inglesi, nello stesso numero del giornale si dichiara preoccupato dello "stato del dibattito italiano", e mostra di condividere la tesi ormai diffusa tra gli economisti, che leggere testi pubblicati qualche decennio fa sia assurdo, come per un chimico o un fisico "leggere libri di due secoli fa". Guarino naturalmente non lo sa, ma è da più di un secolo che economisti come lui cercano di presentarsi come "scienziati" tout court, senza "posizioni politiche", senza aggettivi di sorta, e di apparentarsi alle scienze naturali. Dagli scienziati essi hanno ricevuto molti duri rifiuti, a partire da quando Sir Francis Galton nel 1877 chiese la soppressione della sezione "Scienza economica" della British Association, con la motivazione che l'economia era incapace di formulare "leggi definite, che portino … a risultati … accettati da tutti", fino a giungere alle ripetute proteste di parecchi scienziati per l'istituzione da parte della banca centrale svedese del cosiddetto Premio Nobel per l'economia, contro cui si sono espressi persino due economisti vincitori del premio, e di posizioni politiche opposte: Gunnar Myrdal e Friedrich von Hayek. Con buona pace di Guarino, l'economia non è una scienza naturale, e leggendo solo ciò che è stato pubblicato negli ultimi cinque o dieci anni gli economisti piuttosto che a Galileo finiranno per assomigliare sempre più ai pesci rossi, che pare abbiano una memoria molto corta (secondo alcuni di pochi secondi) che li condanna a vivere perfettamente contenti anche in quantità di acqua piccolissime: quando arrivano al limite dello spazio destinatogli avrebbero già dimenticato di aver nuotato solo per pochi centimetri.