Nel maxiemendamento alla legge di Stabilità, l’articolo 4 quater prevede la vendita dei terreni agricoli demaniali per risanare il debito pubblico. Una norma – secondo l’ong Crocevia, da oltre 50 impegnata nella difesa dell’agricoltura contadina – che maschera dietro la facciata un’operazione per nuove speculazioni edilizie e non aiuta i giovani a creare nuove aziende agricole.
Il pretesto, sollevato da molti in queste settimane, è l’enorme quantita di terreni di proprieta dello Stato, dato che in Italia molta terra appartiene a Amministrazioni, Enti Pubblici e Proprieta Collettive gestite da Comuni o Enti, per ettari SAU (superficie agricola utilizzata):
• Amministrazione o Ente pubblico 269.375,50
• Ente o Comune che gestisce proprieta' collettive 445.123,65
Il totale di 714.499,15 ettari di SAU, corrispondenti a 1.955.734,71 di superficie agricola totale (SAT), sono ripartiti tra 2.600 aziende. Ma ricordiamolo subito – anche al ministro dell’agricoltura Romano – le terre coperte da varie forme di usi civici o comunque di proprietà collettiva, per un totale di oltre 1 milione di ettari, sono inalienabili, appartengono a tutti i cittadini e comunque non appartengono ai Comuni anche se questi le amministrano. E quindi non possono essere vendute!
Esiste un fenomeno di concentrazione della proprietà delle terre agricole dove circa 22.000 aziende, con una taglia superiore ai 100 ettari, si spartiscono oltre 6,5 milioni di ettari di SAT. Dedotte le terre pubbliche, restano 4,5 milioni di ettari che sono concentrati in circa 19.000 aziende private, tutte con una taglia superiore ai 100 ettari, che hanno aumentato in dieci anni di oltre l’8% la SAU che controllano e del 16% il loro numero totale.
La vera questione rimane quella dell’accesso alla terra che, in Italia, è necessario sia per la creazione di nuove aziende in cui le nuove generazioni possano avviare un’attività agricola, sia per allargare la maglia poderale delle aziende di dimensione inferiore ai 30 ettari, quelle che negli ultimi 10 anni hanno subito la mortalita più elevata, a seguito delle politiche pubbliche – incentivi monetari, sostegni e facilitazioni – tutte basate sull’idea che più si riduce il numero delle aziende e meglio va l’agricoltura. Ma accesso alla terra non significa proprietà, acquisto/vendita, significa solo un insieme di normative che favoriscano e proteggano l’uso agricolo della terra e non il possesso, che sostengano chi vuole iniziare un’attività agricola mettendogli a disposizione l’uso di terre a affitti garantiti ed equi. Assolutamente niente di nuovo. Basta dare uno sguardo alla carta costituzionale.
Recita l’Articolo 42: “La proprieta è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprieta privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti…” Quindi, le politiche pubbliche possono limitare la proprietà privata “allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.
In particolare per quanto riguarda l’uso agricolo l’Articolo 44 dice: “Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà…”
Ecco cosa serve oggi all’agricoltura italiana per riportare i giovani nelle campagne. Le aziende che sono scomparse non possono rinascere e la sofferenza di quei fallimenti non sara compensata, ma almeno si puo immaginare di consolidare le piccole aziende contadine e di crearne delle nuove per fermare il processo di desertificazione agraria che ai più sembra ormai inarrestabile.